la Repubblica, 24 gennaio 2023
John Elkann ricorda nonno Gianni Agnelli
«Quando me ne sarò andato, la crescita e il consolidamento di tutto ciò che è stato costruito alla fine dipenderà dalla qualità delle persone, e dal fatto che ci credano o no. Perché sono loro che dovranno affrontare le prossime avversità. E sono loro il patrimonio della Fiat: i suoi uomini». È il lascito morale di Gianni Agnelli consegnato a John Elkann, il nipote che per scelta dell’Avvocato guida la famiglia, la holding Exor e ha portato l’automobile italiana prima nell’avventura americana con Sergio Marchionne, infine nell’alleanza tra Fiat Chrysler e PSA, con la nascita di Stellantis. Vent’anni dopo la morte di Agnelli, Elkann (che presiede il gruppo Gedi, editore di questo giornale) ripercorre in un colloquio con Repubblica e col direttore dellaStampa Massimo Giannini il tragitto della Fiat in questo primo scorcio di secolo, confrontando la metamorfosi di Torino e le sfide che ha dovuto affrontare l’Italia con le attese e le ambizioni dell’Avvocato. Un periodo travagliato, dalla grande crisi finanziaria all’emergenza sanitaria fino alle inchieste sulla Juventus, e alla lotta in famiglia tra Margherita Agnelli e i suoi figli sull’eredità. «Ma ho imparato che ciò che conta è andare avanti, non fermarsi – dice —. L’ottimismo di mio nonno nasceva dalla fiducia nell’individuo e nella sua libertà. Così, io penso che con la libertà e l’impegno si può costruire il futuro».
Senza l’Avvocato, la Fiat nel 2003 perdeva una guida carismatica, in un momento difficile. «Il vero insegnamento che il nonno ci ha trasmesso – dice Elkann – è l’invito ad affrontare le tempeste con coraggio e responsabilità, puntando sempre sullo sviluppo. Alla base di tutto c’è questo ingaggio responsabile dei singoli. Prendiamo due momenti: nel ’45, con la scomparsa del senatore Agnelli subito dopo la guerra, tutto ciò in cui mio nonno aveva creduto è crollato. Lui, suo fratello, le sorelle e i cugini si trovarono davanti ad una scelta radicale, impegnarsi nell’azienda o tirarsi fuori. Ci voleva coraggio, in quei momenti, ma scelsero l’impegno e continuarono, pilotando l’azienda in un forte cambiamento, mentre risorgeva il Paese e nasceva l’Europa. Nel 2003, un anno di pesanti difficoltà, ci fu nuovamente un dilemma simile e la famiglia sotto la guida di mio zio Umberto (che il nonno ha sempre considerato il suo successore naturale) decise un’altra volta di impegnarsi. Mio nonno direbbe che queste sono le scelte che contano, perché sono decisive in momenti cruciali».
Ma che cosa contava di più per l’Avvocato? «La Fiat, l’Italia e Torino. È sempre stato convinto che più l’Italia si integrava nell’Unione europea più si sarebbe rafforzata. È accaduto proprio questo. L’altra sua convinzione forte era l’atlantismo, il rapporto con gli Stati Uniti: e se noi guardiamo agli effetti della guerra in Ucraina (proprio nelle zone in cui mio nonno era soldato) possiamo concludere che la Ue e l’Italia davanti all’invasione russa hanno rafforzato i loro legami con Washington». Ma il modello americano si è incrinato con il trumpismo, che ha prodotto addirittura un assalto al Campidoglio contro il verdetto elettorale: cosa avrebbe detto Agnelli di questa spallata eversiva? «Era convinto che le istituzioni americane sono comunque più forti degli individui: nei fatti, la forza delle istituzioni negli Usa ha impedito finora che chiunque possa portare il Paese lontano dalle fondamenta su cui è stato costruito. E questa è la cosa più importante, la tenuta della democrazia».
Per Elkann l’Italia non ha registrato un declino, in questi vent’anni: «Il sistema ha rivelato una forte vitalità – dice Elkann —. Per il capitalismo familiare legato al territorio, che è grande parte del nostro tessuto economico, il ventennio che abbiamo alle spalle è stato positivo e ha saputo generare realtà made in Italy leader nel mondo. Soprattutto, mentre eravamo un’economia di fornitori di beni industriali e strumenti, oggi l’Italia si segnala anche a livello di prodotto finito. E qui ci siamo anche noi, con il nostro impegno nell’innovazione e nella tecnologia, seguendo la convinzione di mio nonno, che era quella del Fondatore, il senatore Agnelli: Italian Tech Week, organizzata a Torino da Gedi, è il più grande motore di stimolo all’innovazione, Vento lanciata da Exor è il primo investitore in startup in Italia».
Ma oltre all’impresa tradizionale c’è oggi l’economia della bellezza, dell’arte e del cibo. Qualcosa di molto lontano dal mondo dell’Avvocato, legato alla catena di montaggio, al modello fordista e all’acciaio. «Nel mettere insieme bellezza, creatività e capacità ingegneristica non c’è superficialità, ma la vera sostanza dell’eccellenza italiana di cui la Ferrari è un esempio. Lui ha sempre difeso la capacità italiana di fare una sintesi del bello e dell’utile, frutto di grande ingegno e di un patrimonio storico e artistico che è il più importante del mondo. Ci diceva che c’è sempre un’immagine diversa dell’Italia a seconda se la guardi da lontano o da vicino. Da fuori, vedi emergere quelle eccellenze – dalla musica al design, dall’architettura alla tecnologia – che il mondo riconosce come tipicamente italiane e che in questi anni sono cresciute in esperienza, notorietà e dimensione».
Torino era il centro del mondo di Gianni Agnelli, la sua capitale. In questi vent’anni la città operaia ha dovuto cambiar pelle, per emanciparsi dalla dipendenza dalla Fiat, e in buona misura c’è riuscita. «Torino ha investito su sé stessa, a partire dai giochi olimpici del 2006 a cui mio nonno non ha potuto assistere, ma per i quali si era molto battuto. È stata l’occasione della svolta, il momento in cui Torino ha dato al mondo l’esempio di un’organizzazione perfetta, e ne ha ricavato un senso di orgoglio che ha permesso alla città di capitalizzare sul deposito di storia che conserva, sui musei, sull’arte, sullo sport con l’Atp che porta qui i migliori tennisti del mondo. Il risultato è che Torino ha preso fiducia in sé stessa e nella ricchezza del territorio che la circonda, dalle montagne alle Langhe. Merito anche dell’originale collaborazione istituzionale tra il sindaco Lo Russo e il governatore Cirio: un connubio pragmatico che sa guardare oltre alle differenze ed è capace di portare risultati». È la scoperta obbligata di una diversa vocazione della città dopo il secolo industriale? «Piano. A parte l’automobile, la trasformazione di Torino nell’ultimo ventennio viaggia con l’industria aeronautica e spaziale, dove nascono competenze e mestieri d’avanguardia. Viaggia con l’energia, nel secolo in cui dovremo trovare fonti alternative: è a Torino che è nata NewCleo, per realizzare mini reattori per la fissione nucleare di quarta generazione. La forza della missione è sempre la stessa: credere nel futuro. Non per caso Torino conta oggi 100 mila studenti universitari, che vengono da ogni parte d’Italia e da altri Paesi per costruire il loro avvenire». L’Avvocato diceva che delle quattro lettere del marchio Fiat, per lui la più importante era l’ultima, la “T” di Torino. Oggi la famiglia Agnelli ha abbandonato la città? «Guardiamo ai fatti: l’ultimo piano di investimenti di 5 miliardi per l’Italia è il più grande di tutta la nostra storia ed ha permesso a Mirafiori di essere uno stabilimento all’avanguardia nel mondo. E poi la realizzazione del nuovo stadio della Juventus, lo sviluppo del Lingotto con la Pinacoteca Agnelli e i giardini pensili più grandi d’Europa, l’Industrial Village per il mondo dei camion, la scuola Fermi. Infine l’impegno nel settore medicale, con lo sviluppo di LifeNet e con i progetti che mia zia Allegra ha realizzato con la Fondazione per la ricerca sul cancro di Candiolo».
Restano gli interrogativi sul destino della Fiat. Memoria a Torino, cuore ad Amsterdam e cervello a Parigi? «Rispondo con i numeri. Se confrontiamo l’azienda del 2003 e quella di oggi vediamo che i ricavi passano da 22 miliardi a 130 solo nei primi nove mesi del ’22; i modelli di auto prodotti allora, che impegnavano 49 mila persone, erano 22, per 4 marchi: oggi 280 mila persone producono oltre 100 modelli per 14 marchi. Abbiamo valorizzato il marchio Fiat, tanto che la 500 elettrica il prossimo anno sarà esportata anche negli Usa. Abbiamo rilanciato i marchi Maserati e Alfa Romeo e stiamo rilanciando Lancia. Inoltre oggi produciamo in Italia e vendiamo in tutto il mondo modelli di marchi non italiani di grande successo, come Jeep». La ricerca di partner per Fiat viene da lontano, spiega Elkann: «Mio nonno ha sempre avuto la preoccupazione delle dimensioni della Fiat. Diceva che fare automobili è un mestiere per giganti. Lui tentò la strada americana, in tre conversazioni con Ford, Chrysler e GM, e in Francia con Citroën. Poi fu la volta di Peugeot, e quindi di Renault. Abbiamo trovato un’intesa con Chrysler creando FCA e poi con PSA, che ha dato vita a Stellantis, dove le famiglie fondatrici assicurano un assetto stabile. Siamo andati nella direzione che già mio nonno aveva intrapreso nei suoi trent’anni di presidenza, e abbiamo realizzato quella visione nei due mondi in cui lui credeva: l’America e la Francia».
C’è però una lettura diversa, secondo cui con Stellantis la famiglia ha semplicemente venduto la Fiat. Cosa risponde Elkann? «Io posso solo rispondere con la realtà. Non è stato venduto proprio niente. Abbiamo comprato Chrysler per dare vita a FCA. E ci siamo fusi con PSA per creare Stellantis, di cui siamo il più grosso azionista, con una governance molto chiara: io sono il presidente esecutivo e al nostro fianco c’è la famiglia Peugeot con cui ci lega un accordo di consultazione. Insieme sosteniamo il piano di sviluppo a lungo termine Dare Forward, presentato dall’AD Carlos Tavares e dalla sua squadra». L’automobile dunque resta nel futuro di Stellantis. «Quando parliamo con Carlos di Stellantis – racconta Elkann – siamo consapevoli che è una società con le radici nell’800, ma ha solo due anni di vita. Quindi ha radici profonde, ma spirito innovativo. In una sala del museo dell’auto a Torino è disegnata sul pavimento la mappa della costellazione di costruttori di automobili che operavano in Italia tra il 1898 e il 1908, all’avvio dell’età dellemacchine. Incredibile: c’erano più di 100 aziende in Italia, e ben 70 erano a Torino. Oggi abbiamo lo stesso spirito di quei pionieri, mentre si apre una nuova stagione della mobilità. Al recente CES di Las Vegas Tavares ha presentato un rivoluzionario pick-up elettrico, tra gli altri prodotti, e ha annunciato l’investimento nelle auto volanti, che sono un incrocio tra l’auto e l’elicottero. D’altra parte la macchina che vola in Blade Runner è una Peugeot».
Non volano invece le grandi passioni dell’Avvocato, soprattutto il calcio e l’editoria, con la Juve che ha conquistato titoli e record ma è finita in scandali e inchieste che hanno ribaltato la governance guidata da Andrea Agnelli, e i giornali che cercano una seconda vita elettronica sul web, dopo il declino della carta: anche se il bisogno di informazione, e il suo consumo, restano fortissimi. «Prima di tutto a mio nonno farebbe piacere vedere che la sua famiglia è primo azionista dell’Economist (che lui leggeva ogni settimana), garantendo al giornale di continuare ad essere un riferimento per il mondo libero. La stessa cosa vale per la Stampa, che ha mantenuto e manterrà quella tradizione laica, liberale e progressista in cui lui ha sempre creduto. Di sé come editore raccontava di aver sempre incoraggiato una buona scrittura e un resoconto rigoroso, in un quadro il più imparziale possibile. Ripeteva: “Credo che un giornale debba essere stimolante e provocatorio ma anche affidabile, e ho sempre cercato di dare piena libertà ai nostri direttori della Stampa”». Al gruppo si è aggiunta Repubblica, ma ci sono voci che parlano di una sua vendita possibile: cosa risponde Elkann? «Dico che sono voci che mirano a generare instabilità.Repubblica è parte integrante di Gedi, e sta andando bene: ormai da mesi supera il principale concorrente, ilCorriere della Sera, per numero di utenti unici. Gedi è una bellissima organizzazione editoriale che mette insieme informazione e intrattenimento puntando sull’innovazione: OnePodcast a un anno dal lancio è il numero 1 nell’audio digitale e l’ultimo arrivo, Stardust, è leader nei social con un enorme potenziale. Forti del nostro passato, stiamo costruendo il nostro futuro: il successo diLimes conferma che se un editore dà a un giornalismo di talento la libertà di esprimersi e di manifestare la sua opinione, la sfida si può vincere».
Ma l’Avvocato oggi sarebbe orgoglioso anche della Juventus? «In questi 100 anni di vita insieme abbiamo attraversato un periodo di grandi soddisfazioni e di grandi difficoltà: negli ultimi 20 anni la Juventus ha vinto 11 scudetti sul campo, 6 supercoppe italiane, 5 coppe Italia, più i successi delle Women. Il titolo mondiale del 2006 e l’europeo del ’21 sono stati vinti da una Nazionale con forte dorsale juventina. E con la vittoria quest’anno dell’Argentina la Juve è la squadra con più giocatori che hanno conquistato un campionato del mondo». Si, ma ora bisogna fare i conti con la sentenza della corte sportiva, e i 15 punti di penalizzazione.
Qual è la reazione di Elkann? «La Juventus è la squadra italiana più amata e seguita: rappresenta il nostro calcio nazionale.
L’ingiustizia di questa sentenza è evidente: in molti l’hanno rilevato, anche non di fede bianconera, e noi ci difenderemo con fermezza per tutelare l’interesse dei tifosi della Juve e di tutti quelli che amano il calcio. Spero che insieme alle altre squadre e al governo possiamo cambiare il calcio nel nostro Paese, per costruire un futuro sostenibile e ambizioso. La Juventus non è il problema, ma è e sarà sempre parte della soluzione. Qui è in gioco il futuro della serie A e del calcio italiano, che sta diventando marginale e irrilevante». Tra le passioni che l’Avvocato ha frequentato c’è la vela, «con le imprese di Soldini sul trimarano Maserati e i record nella Rotta dell’oro e nella Rotta del the, e il primato di una settimana fa alla RORC Transatlantic Race». E c’è la Formula 1 con il ventennio contraddittorio della Ferrari: «Che dal 2003 ad oggi però ha collezionato 83 vittorie, 290 podi, tre titoli mondiali piloti e quattro titoli costruttori; quest’anno torna a Le Mans dopo cinquant’annidi assenza». Resta il Paese, che ha scelto la destra estrema di Giorgia Meloni. «È il primo premier donna, che ha la possibilità di costruire un Paese più forte. In un momento difficile per l’Italia, le istituzioni hanno tenuto, dal Quirinale in giù, e possono ora diventare ancora più solide. Credo che tutta una serie di decisioni prese in passato, come quelle di aderire al sistema europeo, alla Nato, ai valori del mondo occidentale siano oggi una grande opportunità per un Paese come l’Italia. Certo, va salvaguardata e valorizzata la democrazia, che ci consente di costruire il futuro nella libertà. Ma l’ordinamento democratico ancora una volta ha dimostrato resilienza in questo ultimo periodo di sfide sanitarie, economiche e geopolitiche». Alla fine, ciò che si è rotto in questi vent’anni è la famiglia, con Margherita Agnelli che rilancia la disputa successoria, prima contro sua madre poi contro i suoi figli. Cos’è successo dietro i muri di villa Frescot? «Una vicenda molto triste – dice John Elkann —, con mia madre che ha riaperto la questione ereditaria subito dopo la morte del nonno, in modo inaspettato e in un momento estremamente difficile perché tutto ciò che lui aveva realizzato sembrava traballare. Per lui questa vicenda sarebbe stata inaccettabile, perché contraria a tutto ciò in cui credeva».
Ma non è anche frutto di una sua imprevidenza nel definire il futuro, di una leggerezza dell’Avvocato nella gestione ereditaria? «Per nulla. Anzi, lui nelle sue disposizioni ha seguito lo schema che aveva già tracciato suo nonno.
La sua indicazione è stata molto chiara: chi è stata meno chiara è mia madre, che ha espresso delle contrarietà solo quando lui non c’era più. La verità è che in quel 2003 molti hanno pensato che per la Fiat i giochi erano finiti e la storia che era durata un secolo si stava disfacendo, come nel romanzo di Thomas Mann».
Elkann ha temuto questa deriva? «No. Ma ci siamo sentiti attaccati molto duramente, dall’interno e dall’esterno. E il sistema bancario e finanziario italiano, che da sempre aveva beneficiato della Fiat, in quel momento non ci ha sostenuto. Una vera e propria violenza, aumentata con la scomparsa di mio zio Umberto nel 2004. Ma quello è stato anche il momento in cui la mia famiglia si è unita per fare fronte comune, rafforzando il nostro legame con la Fiat ed esercitando le responsabilità che ne derivavano».
E adesso, i prossimi vent’anni? «Questi ultimi, senza mio nonno, li ho trascorsi con persone più anziane e sagge, e ho capito molte cose, ad esempio che se non lavori con le nuove generazioni, non hai un futuro. I prossimi vent’anni li voglio vivere con chi è più giovane di me: per imparare,per respirare il futuro».