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 2023  gennaio 23 Lunedì calendario

“SONO PORTATO A CREDERE CHE ALCUNI DI QUEI MAGISTRATI SI SIANO INVENTATI LA STORIA DELLA TRATTATIVA” – BOMBASTICO ESTRATTO DI “HANNO FERMATO IL CAPITANO ULTIMO”, DI PINO CORRIAS: “I MAGISTRATI DELLA PROCURA, SECONDO ULTIMO, SI INVENTANO CHE I CARABINIERI TRATTANO CON LA MAFIA BUONA DI PROVENZANO PER FREGARE QUELLA CATTIVA DI RIINA E RISTABILIRE LA CONVIVENZA” – IL RAMMARICO SU CASELLI E LA MANCATA PERQUISIZIONE DELLA VILLA DI RIINA: “AI TEMPI CI DIEDE RAGIONE, MA DOPO ANNI…” -



È uscita in questi giorni la nuova edizione di “Hanno fermato in capitano Ultimo” di Pino Corrias, edizioni Chiarelettere, l’avventurosa storia di Sergio De Caprio, colonnello del Ros, l’uomo che il 15 gennaio 1993 arrestò Totò Riina a Palermo.

Che negli anni successivi ha indagato su Provenzano, Finmeccanica, la banca vaticana dello Ior, i 49 milioni spariti dai bilanci della Lega, la cooperativa Cpl Concordia di Modena.  Qui di seguito due brani della nuova edizione.



Gian Carlo Caselli. In quanto alle vecchie storie che l’hanno inseguito per tanti anni, l’altro rammarico di Ultimo è per Gian Carlo Caselli che nei processi e nelle dichiarazioni ha sempre scaricato su di lui e su Mario Mori la mancata perquisizione della villa di Salvatore Riina.

“Quando in anni recenti dissi che un magistrato dovrebbe assumersi le sue responsabilità, mi ha cercato al telefono, ma non gli ho mai voluto rispondere. Lui ai tempi non era uno spettatore, era il procuratore capo di Palermo, il responsabile delle indagini e quindi anche della perquisizione da fare o da non fare.

I carabinieri della Territoriale di Palermo volevano farla. Io proposi di non farla. I mafiosi non sapevano che avevamo individuato la casa di Riina e di conseguenza identificato la famiglia sconosciuta dei Sansone che lo ospitava. Potevamo continuare a seguirli senza scoprire le nostre carte. Mori era d’accordo. Caselli ci diede ragione.

“Ma dopo anni, quando i suoi colleghi ci hanno messo sotto inchiesta, lui non ha mai avuto il coraggio di ammetterlo. Disse che non sapeva, non immaginava… Invece sapeva tutto. Compreso il fatto che il cancello di via Bernini che dava l’accesso al comprensorio delle ville, non si poteva sorvegliare, i miei carabinieri sarebbero rimasti troppo esposti. Invece ha negato. Sempre. 

“Disse che per 18 giorni lo avevamo tenuto all’oscuro. Sia io che Mori. Ma qualcuno può immaginare che dopo quell’arresto clamoroso, mentre decine di investigatori lavoravano giorno e notte, si riunivano, parlavano, andavano e venivano, tutti assediati dai giornalisti, dalle televisioni, dall’urgenza delle indagini, Gian Carlo Caselli, il capo di tutte quelle operazioni, non chiede niente proprio a noi? E noi non lo aggiorniamo ogni volta che spunta il sole?

“La verità è che ci vedevamo e ci parlavamo tutti i santi giorni con lui e con il suo vice, Luigi Patronaggio. Li aggiornavamo sui pedinamenti dei Sansone. Sapevano tutto. Anche che Ninetta Bagarella, la moglie di Riina, era tornata con i figli a Corleone, il giorno dopo l’arresto, perché il maresciallo del paese aveva avvertito sia il comando che la Procura. Non c’era nessun mistero. Nessun fraintendimento.

Ma ai processi e negli anni delle polemiche, non ha mai detto nulla. Muto. Così che quando tre anni fa mi ha chiamato credo per chiarire, o forse per scusarsi, non gli ho voluto più parlare. Non voglio averci più niente a che fare. Non siamo più amici, né niente. Io con lui ho collaborato col cuore. Ci ho parlato tantissimo. Avevo il massimo rispetto per lui. Come può lui dubitare di me? Gli ho voluto bene.

Ho fatto tutto quello che era in mio potere per combattere la mafia con lui. Era bravo, competente, coraggioso. Poi passano gli anni e mi tradisce così su questa storia. Perché l’ha fatto? Immagino avesse paura dei sui colleghi in procura che erano pronti a metterlo sotto inchiesta per la storia della perquisizione: anche lui infangato con il sospetto di favorire la mafia. Quindi sì, ha avuto paura. E allora ha scaricato tutto su di me. Ma come si è permesso?”.

L’invenzione della Trattativa. I magistrati della Procura, secondo Ultimo, fanno anche di più. Spiega: “Se penso a come sono andate le cose, sono portato a credere che alcuni di quei magistrati, temendo di essere accusati per avere abbandonato Falcone e ignorato Paolo Borsellino, si siano inventati la storia della Trattativa, accusando i carabinieri e i politici di oscure trame, oscuri patti.

Si inventano che i carabinieri trattano con la mafia buona di Provenzano per fregare quella cattiva di Riina e ristabilire la convivenza. Così scatta il favoreggiamento. Peccato che non esiste mafia buona e mafia cattiva. Peccato che quando Mori va da Ciancimino, il 5 agosto del 1992, lo fa per acquisire informazioni, non per trattare.

Tanto più che in quel momento, tutti credono che Provenzano sia morto. Sarà il pentito Cangemi Salvatore, un anno dopo, nel luglio 1993, a dire che Provenzano è vivo. Quindi Mori sarebbe andato a trattare con un vivo e con un morto? E la mafia buona, dopo averci consegnato Riina per far terminare le stragi, va avanti con le stragi? 

“Così noi saliamo sul banco degli imputati e loro in quello degli accusatori. A quel punto si sentono al sicuro. L’inchiesta, lontano dalla procura, li protegge. Nessuno si sogna più di chiedere come mai Falcone fosse così isolato e così detestato in quegli uffici. Nessuno si chiede come mai non ci sia stata una indagine seria su Pietro Giammanco, che all’epoca delle stragi è il procuratore capo di Palermo.

Quello che ha distrutto il pool antimafia creato da Antonino Caponnetto. Che ha smontato le indagini di Falcone assegnandole a altri magistrati e che si divertiva a fargli fare anticamera per umiliarlo. Per non dire di quello che fece a Paolo Borsellino. In una informativa noi del Ros, un mese dopo Capaci, indicavamo proprio Borsellino come probabile obiettivo di un prossimo attentato. Giammanco si tenne l’informativa nel cassetto, senza avvertire Borsellino, che quando venne a saperlo si infuriò.

“Giammanco è mai stato inquisito, pedinato, intercettato? Mai. Dopo via D’Amelio chiese di essere trasferito in Cassazione, ottenne il via libera a tempo di record, e nessuno degli ottimi segugi della procura si interessò più a lui. Nessun seguito investigativo. Nessuno scheletro della Procura venne più analizzato. Quel che contava coltivare erano i sospetti sugli uomini che i mafiosi li avevano pedinati, intercettati e arrestati. Alla fine l’operazione è riuscita. Si sono annessi Falconi che invece detestavano. Si sono annessi Borsellino, che invece ignoravano. Vergogna”.