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 2023  gennaio 23 Lunedì calendario

Intervista ai genitori di Giulio Regeni

Mentre alle otto della sera il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, dal Cairo era sui tg a pronunciare quello che si sente da sette anni – «Abbiamo chiesto al presidente Al Sisi collaborazione sul caso Regeni» – Fiumicello, casa di Giulio, si preparava ad accogliere mercoledì 25 l’ “onda gialla” (una giornata tra gli altri con Marco Paolini, Ascanio Celestini, Carlo Lucarelli, Pif).
Paola e Claudio Regeni, con accanto il loro avvocato Alessandro Ballerini, sono qui, sempre dalla stessa parte.
Sono passati sette anni dalla morte di Giulio, un altro 25 gennaio senza “verità e giustizia” come si legge sugli striscioni appesi in tutta Italia. Ve lo immaginavate diverso?
«Per noi ogni giorno è il 25 gennaio, anzi il 27 gennaio, quando la console italiana al Cairo ha chiamato per dirci che Giulio non aveva fatto ritorno a casa dalla sera del 25 gennaio. Da allora la nostra vita è stata drammaticamente stravolta.
Diciamo che da tempo ci aspettiamo un 25 gennaio diverso, con dei risultati concreti, ma purtroppo oltre ad aver dovuto imparare a decodificare gli avvenimenti o non avvenimenti, siamo ormai preparati anche all’inerzia-incoerenza della politica. Il giallo non è solo un simbolo a Fiumicello ma è ormai un colore che si è diffuso in tutta l’Italia e non solo. È il colore di Giulio che continua a fare cose, continua ad unire le persone, continua a ricordare da che parte bisogna stare, il giallo è il colore che illumina la richiesta di verità e giustizia. Per Giulio, ma come diciamo sempre anche per tutti i Giuli e le Giulie. Ci piace sapere che ci sono più di cento panchine gialle dedicate a Giulio, un’iniziativa che riteniamo importante perché permette di ricordare la tragedia di nostro figlio, non solo visivamente ma con azioni concrete: in fin dei conti la panchina dovrebbe essere anche un luogo di relazioni interpersonali. In questi lunghi e dolorosi sette anni, il Popolo giallo che è divenuto anche scorta mediatica è cresciuto in maniera esponenziale e ci è sempre vicino attivamente».
Il processo ai quattro agenti della National Security, il servizio segreto civile egiziano, accusati del sequestro, la tortura e l’omicidio di Giulio è ancora in fase di stallo: senza notifica non può ripartire. Ma senza collaborazione dell’Egitto non può esserci la notifica. Avevate detto, davanti alla decisione dei giudici di bloccare il dibattimento, «non ciarrenderemo mai». È ancora così?
«Certo, siamo determinati più che mai. Perché sappiamo che Giulio ha subito un’intollerabile violazione dei diritti umani».
Qual è la cosa che più vi ha ferito in questi anni?
«Diciamo, tutte le promesse mancate, l’ipocrisia, le strette di mani come mera esibizione, la retorica di certi discorsi o comunicati, la chiara prevalenza degli interessi sulla tutela dei diritti umani, alla parola interessi sarebbe da sostituire il termine interessamento che pone una veraattenzione alle persone».
Avete ancora fiducia nel nostro Paese?
«Fiducia in chi? Se rivolta alla Istituzioni, siamo costretti ad averla, viviamo in Italia. Questa è una domanda che ci pongono spesso tutti i giovani che incontriamo e che osservano e valutano il mondo politico.
Rispondere è sempre molto complicato».
Avete avuto mai la sensazione di essere soli in questa battaglia?
«No, per fortuna ci sono i cittadini che vivono l’impegno».
In questi sette anni aveteavuto come interlocutori sei governi e cinque presidenti del Consiglio. Avete avuto modo di sentire la premier Giorgia Meloni?
«Non abbiamo incontrato nessuno membro del Governo attuale».
Ieri il ministro degli Esteri Tajani era al Cairo a incontrare Al Sisi. Ha detto, come avevano fatto tutti i suoi predecessori, di aver chiesto collaborazione. Ci credete ancora? Cosa vi aspettate da questo esecutivo?
«Non abbiamo aspettative, noi pretendiamo, verità e giustizia, come azioni concrete. Basta, per favore, basta finte promesse.
Pensiamo sia oltraggioso questo mantra sulla “collaborazione egiziana” che invece è totalmente inesistente».
Ritenete giusto che l’Italia continui ad avere rapporti con l’Egitto tanto da continuare a vendergli le armi?
«Ricordiamo il nostro esposto, contro lo Stato italiano che prevede che non si vendano armi a paesi che violano i diritti umani, come l’Egitto.
Purtroppo non ci risulta sia stata compiuta una efficace istruttoria, non abbiamo mai avuto una risposta. Un Paese che vuole essere democratico, dovrebbe anche sapere fare delle scelte. La realpolitik non può sconfinare nella complicità con i dittatori».
Sette anni dopo, Giulio continua a fare cose?
«Si tantissime, abbiamo un’immensità di testimonianze dalle persone che ci supportano nella nostra richiesta di giustizia.
Non ci sentiamo mai soli, e per questo vogliamo ringraziare tutti quelli che ci sostengono. In un certo senso Giulio sta aiutando a costruire e mettere insieme le buone sinergie del nostro Paese.
Però, come diciamo spesso, Giulio fa cose ma non può fare tutto lui».