la Repubblica, 23 gennaio 2023
I numeri di mafia spa
Nel covo di Matteo Messina Denaro hanno trovato scontrini per cene da 700 euro in ristoranti di lusso, ma di denaro contante solo pochi spiccioli e nessuna traccia di conti intestati a terzi ma a lui riferibili. Dove sono i soldi del superlatitante che ha inguaiato decine di imprenditori nei più svariati settori, che hanno subito solo per lui confische e sequestri per quasi 4 miliardi di euro? E dove si trovano i tesori dei tanti boss arrestati dalla Sicilia alla Lombardia, da Bernardo Provenzano e Totò Riina ai capi delle famiglie Piromalli e Mancuso in Calabria passando per gli Schiavone e gli Amato-Pagano in Campania? A queste domande decenni di indagini di fatto non hanno saputo dare una risposta. Perché se è vero che prendendo a riferimento solo gli ultimi cinque anni la criminalità organizzata ha fatturato almeno 200 miliardi di euro, secondo le stime di uno studio della Banca d’Italia, e se è anche vero che secondo altri centri di ricerca, come l’Eurispes, si potrebbe quintuplicare questa cifra (arrivando a mille miliardi nello stesso arco di tempo), la certezza è solo una: appena una piccola parte è stata confiscata e sequestrata anche dopo gli arresti dei capimafia.
Negli ultimi cinque anni secondo la Direzione investigativa antimafia è poco più di 35 miliardi di euro il valore dei beni messi sotto sigilli. Il resto del tesoro delle mafie è scomparso nel nulla e ai grandi latitanti arrestati non è stato trovato un euro in contanti o in altra forma, nei loro covi o dopo aver ricostruito i loro movimenti: «Dai nostri database risulta un sequestro di 100 mila euro a Domenico Raccuglia, quando lo abbiamo arrestato ad Altofonte, oppure un sequestro di circa 50 mila euro a un collaboratore di Francesco Pesce, capo della ’ndrangheta a Rosarno. I grandi boss risultano quasi poveri e poi scopriamo che i figli vanno a studiare nelle migliori università non solo italiane ma europee per lavorare nella finanza a Milano o a Londra», racconta un investigatore dei Reparti operativi speciali che ha dato la caccia a camorristi, mafiosi e ‘ndranghetisti.
Il fatturato di mafia spa
La Cgia di Mestre, riprendendo proprio l’ultimo studio di Banca d’Italia che stima una cifra intorno al 2% del Prodotto interno lordo per calcolare gli affari delle tre grandi mafie in Italia, ha ribadito come almeno 40 miliardi di euro ogni anno vengano fatturati da Cosa nostra, camorra e ’ndrangheta. E questa cifra riguarda soltanto “l’emerso” per così dire, e cioè i profitti stimati da traffico di droga, scommesse e racket. A questi numeri andrebbero sommati quelli del “sommerso”, cioè delle attività sulla carta lecite che però sono frutto di capitali mafiosi, e qui si entra già nella sfera dei conti impossibili da quantificare.
Una seconda certezza però è che i soldi delle mafie seguano i flussi finanziari normali, e cioè siano concentrati nelle regioni ricche del Nord Italia e all’estero. La Direzione investigativa antimafia, nell’ultima relazione consegnata in Parlamento, scrive che nel secondo semestre dello scorso anno su 68.955 segnalazioni di operazioni bancarie sospette, 10.485 sono state esaminate per legami con la mafia. Si legge nella relazione: «La maggior parte, corrispondente al 93% circa, è stata originata da intermediari bancari e finanziari. Seguono a notevole distanza gli operatori di gioco e scommesse con il 3%. L’aumento rispetto all’anno precedente è del 21%. Il 16% è stato segnalato in Lombardia, stessa cifra del Lazio, poco meno in Veneto e Emilia Romagna».
I pochi sequestri
Ma a fronte di un flusso finanziario “anomalo” che va verso il Nord, leconfische riguardano soprattutto beni della ristretta cerchia dei boss e legati al territorio di origine. La gran parte dei beni è stata confiscata recentemente in Sicilia (circa 8 mila tra beni immobili e aziende), Calabria e Campania (3.300 beni): la Lombardia non arriva a 2 mila beni, meno di mille l’Emilia Romagna e ancora meno il Veneto. Come se nelle regioni ricche del Paese non circolassero i soldi della mafia, quando invece le segnalazioni sospette sono concentrate soprattutto in queste regioni. La spia che anche dopo gli arresti trovare i soldi delle mafie e recuperarli in qualche modo è impresa difficile.
I soldi nascosti
I grandi patrimoni di boss restano liberi di girare per il mondo: mai recuperato o sequestrato il tesoro del finanziere della mafia Vito Roberto Palizzolo in Africa, mentre non sono mai stati recuperati i soldi che il boss calabrese Luigi Mancuso stavaper investire per rilevare la rete di distribuzione della benzina di un colosso dell’Europa dell’Est come Rompetrol: si parla di una cifra oltre il miliardo che la famiglia stava per offrire ad Arman Magzumov, arrivato a Lamezia Terme per trattare direttamente con il boss. Il tesoro di Vito Ciancimino, il sindaco mafioso di Palermo, non è stato mai recuperato, salvo scoprire che una parte di quei soldi era finito perfino in una azienda di rifiuti in Romania.
Dall’America al Kazakistan, dall’Australia all’Africa, i soldi delle mafie sembrano imprendibili. Eppure segnali che a volte queste ricchezze spesso portate all’estero possano ritornare sotto forma di investimenti ci sono: a esempio i vecchi boss della mafia, sconfitti dai corleonesi di Totò Riina, si stanno riaffacciando in Sicilia per investire in centri scommesse, alberghi e ristoranti, oppure nell’edilizia in Emilia Romagna e Lombardia. Persone imparentate con Giovanni Brusca, braccio destro di Riina che ha sul groppone decine di omicidi compreso quello del piccolo Di Matteo sciolto nell’acido, con paccate di soldi stanno rilevando alcuni grandi alberghi nell’isola. Da dove provengono questi soldi? Già, bella domanda. Come quella che resta nell’aria: dove si trova davvero il grande tesoro delle mafie?