il Giornale, 23 gennaio 2023
Ritratto al veleno di Stefano Coletta
Voi non vedete lui, ma lui vede voi, sempre. Dall’altra parte dello schermo sceglie i programmi, decide i conduttori, raschia il palinsesto, palin psaomai, e a volte il barile, costruisce la programmazione, vi guarda guardare la tv, di mattina, di pomeriggio e soprattutto in Prime Time. È il Dr. Gibaud della fascia oraria di massimo ascolto. È lui che decide - va detto: non sempre con scelte felicissime - cosa va in onda in prima serata sulla Rai, la cassaforte pubblicitaria di viale Mazzini. Dicono di lui: è l’uomo più potente della televisione italiana. Potere, poetica e political correctness. Stefano Coletta, generone del geneRai romano, uomo di audience e di telecomando, è il direttore dell’Intrattenimento, l’uomo che trasforma tutto ciò che tocca in un’industria dello spettacolo gay friendly, la televisione come ininterrotto flusso domestico e la fluidità di genere come normalità di rete. È il padrone dello Zeitgeist arcobaleno del servizio pubblico e l’artefice dei Sanremo dei record, trasformando il festival in un X-factor generalista. Il nazional-popolare con nuance Indie. La liquidità sessuale come state of mind, il trionfo queerness di Blanco&Co., il gay-glam di Achille Lauro, eros ultrapop e piume di struzzo. Il tweet trend topic Sanremo2022 fu quello di Mario Adinolfi: «Una volta Sanremo era lo specchio del Paese. Ora pare un manicomio dove sono tutti fluidi e vanno in giro mezzi nudi e coi capelli pitturati come un tribù cheyenne».
Abruzzese originario di Roio del Sangro, terra della tribù osco-umbra dei Marrucini, romano di nascita, quartiere Prati di rinascita e viale Mazzini come destino topografico, Stefano Coletta, detto il direttore-filosofo per la laurea in Lettere, sogna una Rai solo di intrattenimento, senza altri programmi che distraggono. «Il mio compito - è solito dire a se stesso - è quello di dirigere nani e ballerine». Dolcevita in cashmere, giacche di ottima sartoria, barba arruffata, occhiale modello «Vorrei essere un hipster ma non ci riesco», ermeneutica e paillettes (però è innegabile: di televisione ci capisce), sa orchestrare come pochi il circo RAInbow della prima serata come un generoso mangiafuoco indulgente e comprensivo che si è messo in testa di guidare la transizione dalla tv di genere alla gender television.
Single, nessuno e centomila amici, 57 anni, uomo-azienda da trenta, una carriera tutta nei corridoi della Rai - redattore, autore, inviato, vicedirettore (quando soffriva l’incompetenza di Daria Bignardi) e poi direttore di Rai3, quindi elevato su Rai1 dal governo giallorosso - Stefano Coletta è il «Genitore 1» dell’Italia democratica, progressista e Lgbtq, legatissimo al «Genitore 2», Serena Bortone, nel cui programma le casalinghe si commuovono perché il figlio del portinaio non può pagarsi gli ormoni per la crescita delle tette.
Estetica camp, etica planetaria, una passione per il mondo delle drusille, la vita come un film in loop di Ferzan Özpetek, se fosse per lui, Stefano Coletta metterebbe l’inclusività anche nel segnale orario. Se sei goffamente binario non si offenda nessuno oggi non sei degno di nota. E le famiglie tradizionali si guardino Mattino Cinque!
Momenti indimenticabili della vita professionale di Coletta. Quando, spiando da dietro le quinte dell’Ariston, vide baciarsi con la mascherina! - Fiorello e Amadeus, ed era il rito propiziatorio per un buon Sanremo. Il venerdì sera, quando inizia Ballando con le stelle, da godersi dopo cena con gli amici: seta, raso, piume, civetterie, vendette e spetteguless. Il giorno del matrimonio di Alberto Matano col suo compagno, e Stefano era felice come se fosse lui lo sposo. Quando gli bocciarono un gioco a quiz sulle darkroom condotto da Damiano dei Måneskin. E la volta che stava per convincere l’amministratore delegato della Rai a cambiare logo del festival di Sanrem*, e scriverlo con la schwa. L’idea non passò. Peccato.
Momenti dimenticabili della vita professionale di Coletta. Quando Fiorello rivelò di avere un profilo su OnlyFans: «Mi esibisco di spalle col nick Culotto96. Il capo struttura Rai, Stefano Coletta mi ha riconosciuto e ha minacciato di licenziarmi, a meno che non gli consentissi di esibirsi con me. Il suo nick è Culatto94». Se sente qualcuno parlare di GayUno, GayDue, GayTre («Basta con queste bassezze!»). Ogni volta che deve rinviare la messa in onda dello show sulle drag queen Non sono una signora con la Parietti. Le mattine alle dieci quando gli passano i dati di ascolto di certi suoi programmi. E il giorno dopo, quando legge le recensioni di Aldo Grasso.
Che poi. Coletta è persona molto educata, affabile, lobbista, di immediata simpatia e di raro cinismo, snob feroce come sa esserlo solo un provinciale, vanitoso come tutti gli uomini di tv. Di fatto è una show girl mancata con la sua voglia matta di apparire, dimenticando l’imperativo aureo secondo cui il funzionario autorevole scompare nel momento in cui appare.
Cultura sopra la media Rai, un’intelligenza prensile con la politica velatamente di area Pd, all’epoca vicino ai renziani, ora con il cambio di governo sta scegliendo i suoi vice nell’area di destra «per cercare il dialogo» - è uno che fa simpatia quando si presenta citandoti gli ultimi libri che ha letto. E infatti nell’ambiente passa per essere bravo, figo, molto cool, uno tutto share, cucina healthy, analisi quantitativa, casting e ci rivediamo a Sanremo. «Perché Coletta è Coletta!».
Anche se qualche frontale con l’Auditel lo ha fatto anche lui. Flop di Stefano Coletta. Una scatola al giorno, il programma condotto dal suo amico Paolo Conticini, realizzato in collaborazione con la «Stand by me» della sua amica Simona Ercolani, che non ha visto nessuno. L’Almanacco del giorno dopo di Drusilla Foer, un attore che va bene a teatro o per le ospitate, non per un intero programma Rai. L’inutilmente strombazzato Mi casa es tu casa di Malgioglio, battuto anche dai film natalizi di Tv8. Il disastroso esordio di Da grande di Alessandro Cattelan. Boomerissima, il varietà trans-generazionale di Alessia Marcuzzi, che non è un disastro, ma si accontenta di andare malino Il fatto è che per un programma di intrattenimento di successo servono idee buone e autori ottimi, e non è facile. Fare della buona televisione popolare e generalista, detto in termini scientifici, sono cazzi. E Coletta sembra più bravo a recuperare vecchi format e personaggi che a inventare nuovi talenti. In fondo, sotto gli strass dorati si nasconde un tradizionalista.
Il dorato mondo di Coletta. La «narrazione», la rete come romanzo popolare, l’intento pop, «Perché dovere del servizio pubblico è non solo informare ma consegnare una quota di leggerezza», la sentimental tv e la cazzata di mettere l’alto nel basso e il basso nell’alto, e così finisci per piazzare Massimo Recalcati che ti dà lezioni di psico-vita dove una volta filosofava (perché i fantasmi ti perseguitano sempre) Angelo Guglielmi.
Comunque, se segui su Instagram Stefano Coletta dove è attivissimo millantando una sua certa cultura accademica - per affinità l’algoritmo ti suggerisce: Tiziano Ferro, Vladimir Luxuria, Alberto Matano, Drusilla Foer, Arisa, Achille Lauro e Fiorella Mannoia con la foto account che sventola la bandiera arcobaleno. Non se ne esce.
Non c’entra niente. Ma come diceva Laura Betti, che le diceva Pier Paolo Pasolini: «Diffida dei froci moralisti».