Corriere della Sera, 23 gennaio 2023
Gli amici di Zeffirelli
Rudolf Nureyev aveva acquistato Li Galli, il piccolo arcipelago di fronte alla villa di Franzo Zeffirelli a Positano. Andava spesso a trovarlo, era una delle sue guest star, si fermava a dormire da lui. A Positano Nureyev aveva conosciuto un giovane del posto. Cenarono insieme, fecero le ore piccole. Ma la notte finì male. Il ragazzo si ritrasse. Nureyev non la prese bene. Quando il grande ballerino rientrò in villa, si trovò il cancello, attraverso cui si accedeva al mare, chiuso. Così mise in moto la vendetta. La rabbia aveva scombussolato il suo stomaco. Insomma disseminò di piccoli escrementi tutto il viale che portava al soggiorno. Non entrò: irruppe come una furia.
I pugni del figlio adottivo al grande danzatore
Gli ospiti di Zeffirelli erano ancora lì a conversare, mentre il regista, avvolto come al solito nella tunica sgargiante, si era ritirato in camera da letto. Nureyev cominciò a mandare in frantumi tutti gli oggetti a portata di mano. Luciano, uno dei due figli adottivi di Franco, quello che gli faceva da autista e bodyguard per il fisico prestante (l’altro è Pippo che manda avanti la Fondazione Zeffirelli a Firenze), bussò alla stanza del maestro: «Franco, guarda che a quel pazzo siberiano è andata storta la serata e sta distruggendo tutto». «È lo sfogo di un artista, lascia fare», fu la risposta. Nureyev proseguì nella sua opera di distruzione, ridusse in mille pezzi un vaso prezioso a cui Zeffirelli teneva molto. Luciano ribussò: «Franco, guarda che...». A quel punto, disteso sul letto a mo’ del triclinio di una domus romana, fece pollice verso come un antico imperatore. Nureyev e Luciano si resero protagonisti di una scazzottata memorabile, tra gli sguardi attoniti degli altri ospiti.
Umorale e imprevedibile
Ecco, questo episodio, certamente laterale nella vita di Zeffirelli, racconta molto di lui. Il 12 febbraio sono cent’anni dalla sua nascita. Era generoso, capriccioso, ribelle, umorale, imprevedibile. Zeffirelli era diverso da come viene descritto. Aiutava, da osservante cattolico, chi è in difficoltà, e non lo faceva sapere. La sua villa sull’Appia Antica (oggi tornata in possesso del proprietario Silvio Berlusconi di cui era stato amico) era una sorta di corte dei miracoli. Gli habitué, che negli ultimi vent’anni erano Carla Fracci, le sorelle Kessler, la famiglia D’Amico, si mescolavano al direttore di scena dell’Opera di New York, il Met, rimasto senza lavoro. Franco lo ospitò per mesi e mesi, e così tanti altri. Risultava irritante, estremo, quando parlava di politica o di calcio. Parlava con disprezzo di comunismo quando ormai non esisteva più o si era mimetizzato, oppure della Juventus. Per uscire da quel vicolo cieco dicevo: e Scirea, cosa mi dici di Gaetano Scirea, era ladro anche lui? Lì si fermava: «Scirea no, Scirea era un galantuomo».
Quelle boccette di Penhaligon’s
Zeffirelli è stato il mio primo datore di lavoro. Gli scrivevo i programmi di sala delle regie d’opera che poi risultavano redatti da lui. Di recente ho visto un documentario su Luchino Visconti che era stato suo mentore. Franco diceva: «Sapete come mi ricompensava? Con una boccetta del profumo Penhaligon’s, e poche lire in una busta». Posso dire di avere avuto qualcosa in comune col mio amico Franco Zeffirelli: il mio compenso consisteva in una boccetta di Penhaligon’s e una busta con poche lire. È in contraddizione con la sua generosità? No, penso che avesse a che fare col rapporto contraddittorio, viscerale, passionale, fatto di luci e ombre, che lo legava a Visconti, in cui si specchiava.
Allievo di Visconti
Franco era stato suo scenografo, cominciò così la carriera. Quando stava per spiccare il volo, chiamato nel 1959 all’Old Vic di Londra, primo regista italiano in un tempio shakespeariano per fare nientemeno che Romeo e Giulietta, Visconti cercò di dissuaderlo, ma cosa vai a fare tu lì, che sei ignorante. Luchino insistette così tanto, mi disse Franco, da capire che era la scelta giusta. Il successo di quello spettacolo gli aprì le porte alla carriera internazionale. Era amico e lavorava con i grandi dell’epoca, Laurence Olivier, Richard Burton e Liz Taylor, Judi Dench... Ma non successe quello che succede in Italia, quando il successo arride prima all’estero e poi si riversa in patria. Zeffirelli in Italia è stato osteggiato dalla cultura egemone che dal dopoguerra fino a... ieri, è stata di sinistra. Ma nella prosa, e soprattutto nella lirica, Zeffirelli è stato un gigante.
Da De Filippo a Puccini
Due soli esempi: la Piccola Scala lo chiamò all’ultimo, in sostituzione di Eduardo De Filippo a cui era morta la figlia Isabella. Non c’era tempo, non c’erano soldi. Franco mise in scena, in dieci giorni, Lo frate ‘nnamurato di Pergolesi, utilizzando un materiale povero come la juta. E come non ricordare La bohème del 1963, con i due piani sovrapposti: all’epoca fu un’idea rivoluzionaria, a distanza di 60 anni è ancora in cartellone, la Staatsoper di Vienna l’ha appena riospitata.
Lo scontro sull’Arena di Verona
Era capriccioso, Franco, e poteva essere anche crudele. Un giorno mi arrivò una lettera, intestata Senato della Repubblica. Era lui che mi scriveva: per il bene che ancora ti porto, volevo informarti che il Corriere della Sera ti sta licenziando. Mi contestava di avere scritto un articolo «infame» sull’Arena di Verona, dove debuttò tardi, a 72 anni. Aveva compiuto un’operazione fuori misura, dando spazio ad allestimenti innovativi, mentre quello spazio, anch’esso fuori misura, dove si addensano accanto all’elegantissima platea migliaia di turisti che seguono l’opera bevendo birra e mangiando panini (almeno così usava), per vocazione non può che ospitare pochi titoli, sempre quelli, popolari, messi in scena in modo piuttosto convenzionale. Il Corriere diede voci a favorevoli e contrari a quel progetto. Per Zeffirelli, avrei dovuto far parlare soltanto le voci contrarie. Il bello è che in quell’edizione non figuravano suoi spettacoli. E soprattutto, lui non era più senatore (di Forza Italia) da un pezzo.
I ricordi di Positano
Per anni non ci rivolgemmo la parola. Fino a quando mi capitò di scrivere di una sua regia d’opera. Mi chiamò l’indomani: «Ma sai che non mi ricordo perché abbiamo litigato... Perché non vieni stasera a cena da me?». I ricordi più divertenti sono legati a Positano. Un’estate c’era Robert Powell, che era stato il suo Gesù al cinema. Era un uomo mesto e triste, si metteva in un angolo, nel patio dove si mangiava, solo, col suo borsello a tracolla. Uno sguardo da cane bastonato. «Lo vedi – mi punzecchiò Franco – se gli togli gli occhi, quello doveva fare il postino».
La composizione di Bernstein per lui
In un’altra estate, Leonard Bernstein si mise al piano, la canottiera bianca, il foulard, il bicchiere di whisky e la sigaretta penzolante. Compose all’impronta un musical, Caro Franco francamente, dove assegnò una parte a ciascun ospite: sarebbe stato il dono per il padrone di casa, che stava rientrando a Positano dove aveva lasciato i suoi ospiti.
L’alto e il basso presente alle sue feste
Il resto dell’anno nella villa a Roma, dove troneggiavano due saloni, la camera da pranzo dove pendeva il lampadario Tiffany che gli aveva donato il drammaturgo Edward Albee, il pianoforte su cui Nino Rota suonava, le foto con Maria Callas, il giardino con i pini secolari, le rose, il limoneto che costeggiava la piscina adornata di due statuette, dono di Luchino Visconti. Alle feste incontravi l’alto e il basso, Michael Jackson e Valeria Marini. Carla Fracci, pasionaria della sinistra ma questo non inficiò l’amicizia con Franco, trasparente come il vento, incrociò mia figlia Costanza e le disse: «Ma tu mangi tutte queste cose?». Erano piselli e carote.
Figura rinascimentale
Franco Zeffirelli preparava scene e bozzetti dipingendo nello studio quadri a olio. Veniva dall’Accademia delle Belle Arti. È stato un artista del ‘500, una figura rinascimentale, un gigante del secolo scorso non del tutto amato e soprattutto compreso.