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 2023  gennaio 23 Lunedì calendario

Tutto quello che c’è da sapere sulle lobbies e le Ong

Bruxelles è sempre la capitale mondiale delle lobby, che dall’interno delle istituzioni cercano di influenzare le politiche dell’Unione Europea. No peace without justice, e Fight impunity, già classificate come Organizzazioni non governative che si occupano di diritti umani e non perseguono fini commerciali, secondo la magistratura belga li perseguivano eccome, nelle persone dei propri capi: tangenti dal Qatar per migliorarne l’immagine alla vigilia dei mondiali di calcio. Era successa la stessa cosa nel 2013 al Consiglio d’Europa: il denaro arrivava dall’Azerbaigian per affossare un rapporto sul trattamento dei prigionieri politici, e ad incassare era una onlus di Saronno dell’allora presidente dell’Assemblea del Ppe Luca Volontè, che nel 2021 viene condannato in primo grado per corruzione, poi prescritto in appello e ora pende il ricorso in Cassazione. «Se il denaro scorre veloce tutte le porte si aprono», scriveva Shakespeare.
Le tre categorie
Nel 2011 per sapere «chi» incontra «chi» e «per parlare di cosa» è stato istituito presso la Commissione il «Registro per la trasparenza Ue», esteso nel 2021 (ben 10 anni dopo) anche a Parlamento e Consiglio. Il registro classifica le lobby in tre categorie: chi promuove i propri interessi (aziende); gli intermediari (studi di consulenza); e chi non rappresenta interessi commerciali (associazioni no profit, Ong). Al 19 gennaio 2023 il registro raccoglie 12.417 iscritti, di cui 8.229 classificati come «compagnie che perseguono i propri interessi commerciali» (461 quelle italiane), e 3.488 come Ong o no profit (161 quelle italiane). Transparency International rileva che però le linee guida sulle categorie sono vaghe e generali, il sistema di registrazione si presta agli errori e i controlli sono pochi. Le Ong o no profit, già classificate come tali dal loro statuto originario in Italia, per iscriversi a Bruxelles devono certificare che la finalità principale e/o settore di attività è di natura non commerciale o lucrativa. Si tratta di autodichiarazioni, e si iscrivono al Registro per concorrere ai bandi della Commissione sui programmi comunitari, o per sensibilizzare le istituzioni su temi di interesse collettivo. Tra le tante e nobili Ong che si occupano di tutela dell’ambiente, accoglienza dei migranti, benessere animale, cura delle malattie rare, disabilità, associazione genitori di bambini malati oncologici, troviamo anche questo lungo elenco.
No profit o profit?
Unione italiana per l’olio di palma sostenibile: dichiara di avere come obiettivo principale quello di promuovere l’olio di palma sostenibile da parte delle aziende. I suoi membri finanziatori sono infatti le aziende che vendono prodotti a base di olio di palma: Unigrà, Ferrero, Nestlé, ma la responsabile delle relazioni Ue Francesca Ronca dichiara: «Non perseguiamo interessi commerciali di una singola categoria, siamo un’associazione trasversale che ne riunisce diverse altre».
Consorzio italiano compostatori: raggruppa 144 aziende fra produttori e gestori di impianti di compostaggio, biometano, fertilizzanti organici. Dichiara un budget di 2 milioni di euro, tuttavia sono registrati come «organizzazione che non persegue fini commerciali».
Oitaf, ossia l’Organizzazione internazionale trasporti a fune: rappresenta i costruttori di funivie, filovie, produttori di funi, e gli esercenti. Il suo presidente Markus Pitscheider assicura: «Non abbiamo fini commerciali».
Wellness Foundation: sede a Cesena, promuove uno stile di vita sano. Classificata come Ong no profit. Il suo presidente è il titolare di Technogym, leader mondiale nella produzione di attrezzi per lo sport e il tempo libero. Che beneficerà commercialmente dalle attività della fondazione.
Wec Italia: riunisce tutti gli operatori del settore energetico ed è sostenuto dai contributi di Ansaldo Energia, Eni, Esso, Saipem, Gruppo Api, Snam, Terna. Anche questa da statuto è un’associazione che non ha scopi commerciali.
Piedmont aerospace Cluster: promuove l’industria aerospaziale del Piemonte e concorre ai bandi della Commissione per i progetti aerospaziali Ue. È sostenuta dalla Regione e dai suoi associati: colossi come Leonardo, Thales Alenia, Ge Avio.
Elettricità Futura: rappresenta 500 imprese fra cui Enel, Edison, Eni, A2A. Fino al 9 gennaio figura fra le no profit. Ma lo stesso giorno, dopo la telefonata di Dataroom, passa fra le «associazioni di commercio e affari».
Ente italiano di accreditamento: finanziato da vari ministeri italiani, rilascia i certificati di omologazione alle norme Ue, e riscuote le relative quote. Il 10 gennaio, alla domanda di chiarimenti, la portavoce Francesca Nizzero spiega: «Accredia è una no profit ed è stata assegnata alla categoria Ong per similitudine, il che non impedisce di chiedere una maggiore appropriatezza». Subito dopo, il 17 gennaio, Accredia si cancella dal registro.
Postepay spa: fino all’11 gennaio era classificata fra le «Ong che non perseguono fini commerciali». La mattina dello stesso giorno la responsabile delle relazioni Ue Francesca Cipollaro ci dice che «deve essere un vecchio refuso». Due ore dopo Postepay cambia e figura fra le compagnie che «promuovono i propri interessi o quelli dei propri affiliati».
Eto, ossia l’European tuning organization (letteralmente: «Messa a punto delle auto nell’Ue»): sul sito web afferma di rappresentare «centinaia di piccole e medie imprese, che generano decine di migliaia di posti di lavoro». Nel registro Ue, dichiara di «non rappresentare interessi commerciali». Il 12 gennaio, poche ore dopo la richiesta di spiegazioni di Dataroom, Eto ricompare nel Registro come «compagnia che promuove i propri interessi».
Gli italiani i più «distratti»
Ma perché si iscrivono come no profit quando rappresentano gli interessi dei loro finanziatori, il cui interesse finale è il profitto? E pertanto dovrebbero figurare fra le lobby commerciali o associazioni di categoria. Le possibili risposte sono due:
1) collocandosi all’interno di un mondo portatore di interessi collettivi e sociali è più facile avere presa sull’interlocutore istituzionale;
2) il portatore di interesse si iscrive «in buona fede» nella categoria sbagliata. Ma qualcuno controlla questo registro? Già nel 2018, la Corte dei Conti europea definiva «inaffidabile» la classificazione delle Ong, e nel 2021, a seguito di contestazioni, nove ispettori dipendenti dai vertici Ue hanno revisionato il Registro. Nel loro rapporto si legge: «3.360 controlli effettuati; il 30% è stato radiato per inammissibilità o mancato aggiornamento». Controllo evidentemente tardivo e insufficiente. Dopo la girandola di valigette piene di contanti, la presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola ora vuole che gli eurodeputati seguano le stesse regole della Commissione: obbligo di registrare gli incontri con i lobbisti di qualunque categoria, siano aziende, sindacati o associazioni umanitarie. Già, perché fino ad oggi sono solo «incoraggiati» (testuale). E gli europarlamentari italiani sono risultati fra i più «distratti»: negli ultimi 3 anni solo il 42% ha ufficializzato almeno un meeting con i portatori d’interessi. Contro il 76% della Germania, il 62% della Francia e il 54% della Spagna.
Tornando infine alle nostre Ong: delle 161 iscritte al registro, ben 132 dichiarano «zero incontri». Vuol dire in sostanza che si sono iscritte al registro in previsione di incontri futuri, oppure gli incontri ci sono stati ma i parlamentari non li hanno segnalati.