Tuttolibri, 21 gennaio 2023
Su "Le rive della collera" di Caroline Laurent (e/o)
Sulla mappa del mondo esistono isole cui è difficile credere, tanto sono minuscole, sconosciute, irrilevanti. Eppure, insolenti, queste isole esistono. E a un certo punto, dopo secoli di silenzio, stanche della dimenticanza e dell’usurpazione coloniale, prendono a reclamare rispetto e libertà.
«Non è granché, la speranza. Per noi figli delle Isole lassù, è una bandiera nera dai riflessi oro e turchese»: a stento quell’avverbio lassù colloca sulle mappe le isole Chagos, un arcipelago dell’Oceano Indiano posto a sud delle Maldive e soprattutto a nord di Mauritius, e teatro, anzi bianchissima spiaggia, del romanzo Le rive della collera di Caroline Laurent, scrittrice franco-mauriziana pubblicata in Italia dalle Edizioni e/o con una traduzione dal francese di Giuseppe Giovanni Allegri.
Diego Garcia, «immacolata come il guscio delle uova di tartaruga», è l’isola principale delle Chagos: qui è nata Marie-Pierre Ladouceur (un cognome che è già una promessa di seduzione), protagonista del romanzo di Laurent e madre del narratore che, decenni dopo la battaglia persa in nome dell’indipendenza, non smette di reclamare giustizia, «sorella cattiva della speranza». Su questa lingua di sabbia esageratamente piatta - «il mare come un paese» - si muove negli anni Sessanta la giovane Marie, operaia in una piantagione di cocco e già madre di una bambina, Suzanne, concepita con un uomo che se ne è andato presto: «era l’eterna storia degli uomini di Diego Garcia: padri non lo erano, mariti quasi mai. Un ricordo nel migliore dei casi; un rimpianto nel peggiore». Marie abita in una catapecchia fronte mare con la sorella Josette, suo cognato Christian e i loro figli; le giornate trascorrono irrequiete tra lunghe nuotate nell’oceano, polpi succosi cacciati con le mani come altrove si colgono le mele o le arance e qualche amore fugace, ma sempre a piedi nudi: da quando era bambina Marie ha sempre rifiutato d’indossare scarpe, incurante dei commenti maligni dei compagni che la chiamavano «piedona» per via dei suoi piedi troppo grandi rispetto alla sua vita sottile. L’unico avvenimento in grado di scuotere le vite accecate dal sole degli appena duemila abitanti delle Chagos è l’arrivo, ogni due o tre anni, di un cargo di passaggio a Mauritius: ecco allora che tutti gli isolani si riversano sulla spiaggia per godere di delizie lontane, quali carne (introvabile sull’isola), profumi, medicine, sapone - e anche un prete che possa unire in matrimonio le coppie che si sono formate nei mesi di attesa di una nave all’orizzonte.
Un mattino dell’estate infinita del 1967 il cargo Sir Jules non riversa sulla spiaggia di Diego Garcia solo carne e paccottiglia: a riva tra le merci Marie scorge anche il profilo elegante e irresistibile di Gabriel Neymorin, un mauriziano appena ventenne che sognava di diventare avvocato a Londra e diventato invece segretario del direttore della piantagione di cocco, Mollinart. Tra la giovane isolana dalla pelle scura e i fianchi roteanti e il pallido funzionario coloniale scoppierà la passione - «sembrava uno di quegli incantesimi scagliati da chi scrive romanzi» -, fino a quando, qualche mese dopo, l’isola Mauritius ottiene l’indipendenza dopo cento cinquantotto anni di dominazione britannica; formalmente le Caghos restano inglesi e soprattutto sole in mezzo all’Oceano Indiano. All’improvviso il sole smette di sorgere per quelle isole da sogno e si spalancano le tenebre coloniali: i nativi caghossiani sono radunati dai soldati che intimano loro di lasciare le loro terre, le loro case, i loro animali, letteralmente una vita, e andarsene. Ma andare dove, se intorno non c’è altro che sabbia bianca e mare trasparente?
«Cosa significa, indipendenza? Chi è indipendente? Voi lo siete? Ho creduto a lungo a questo sogno. Ma la libertà assoluta non esiste: si è sempre colonizzati da qualcun altro», riflette decenni dopo il narratore. Da quel giorno del 1967 la vita degli abitanti delle Caghos cambierà per sempre, deportati con forza a Mauritius (quando l’isola viene concessa agli Stati Uniti per scopi militari) e lì abbandonati, anzi condannati, a una vita di umiliazioni e di razzismo, trattati dagli abitanti dalla pelle chiara e dalla cultura cosmopolita alla stregua di selvaggi. E Marie sarà infine costretta a indossare il suo primo paio di scarpe.
Le rive della collera di Caroline Laurent è un romanzo che vuole essere un faro in mezzo all’Oceano Indiano, oggi stipato di resort e di turismo di massa. Per accendere la luce su una storia sconosciuta eppure ripetuta mille volte a partire dai Meli di Tucidide: il diritto negato ai piccoli ma fieri di esistere. E di amare. Cinquant’anni dopo le Chagos sono ancora al centro di una contesa internazionale arbitrata dall’ONU e i loro abitanti attendono ritorno e giustizia: «credetemi. Il nostro destino riguarda tutti voi, e forse ancora di più di quanto possiate immaginare».