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 2023  gennaio 21 Sabato calendario

Intervista a Saverio Raimondo


Uscito il 20 gennaio, giorno del suo trentanovesimo compleanno “Saverio Raimondo Live a Studio 33” è su tutte le piattaforme
Un’ora di show dove spazia dall’ansia ai sentimenti, fino al sesso
«Per il compleanno mi sono regalato un disco. Ma siccome sono un megalomane, non ne ho chiesto uno qualsiasi: e così è arrivato il primo stand up comedy album mai uscito in Italia. Il mio. Ho quasi quarant’anni, cominciano a spuntarmi i primi peli pubici bianchi, modestamente posso vantarmi di avere l’apparato genitale brizzolato.
Continuo a somigliare a Luigi Di Maio ma almeno nelle parti basse ricordo George Clooney…».
La comicità di Saverio Raimondo – 39 anni il 20 gennaio, auguri! – è questa.
Verrebbe da dire senza peli sulla lingua, se solo non cozzasse proprio con la sua battuta.
Irriverente, spudorato, politicamente scorretto.
Scorrettissimo. Autore televisivo, speaker radiofonico, implacabile recensore diRobinson, persino doppiatore di un film di successo come il cartone Disney Pixar Luca,adesso l’attore romano festeggia l’uscita diSaverio Raimondo Live a Studio 33 dopo lo speciale realizzato qualche tempo fa per Netflix che si intitolavaIl satiro parlante. Proprio dal 20 gennaio il disco è disponibile su Spotify e su tutte le piattaforme digitali di podcasting. Un’ora di live show durante la quale Raimondo passa dall’ansia al porno amatoriale, dall’angoscia dei piatti da lavare ai soldi che non bastano mai, dalle turbe adolescenziali ai sentimenti.
Uno contro tutti, come nella tradizione della stand up comedy americana. Genere assai in voga da quelle parti, visto che ogni anno alcuni album vincono regolarmente persino i prestigiosi Grammy, gli Oscar della discografia. Lo spettacolo, come da titolo, è stato registrato allo Studio 33 di Trastevere, molto più che un club: una sala dedicata alla produzione e fruizione musicale in Hi-Fi, un bel posto dove bere un buon bicchiere di vino naturale e scoprire, per esempio, la comicità «del più raffinato e, a un tempo sboccato, dei nostri commedianti all’impiedi» come Raimondo è stato definito dalla rivistaRolling Stone.
Saverio, partiamo dalle basi. Come nasce questo progetto?
«Avevo voglia di fare un nuovo special di stand up comedy ma volevo trovare un modo diverso di proporre lo spettacolo al di fuori della dimensione live. E l’unico modo, o almeno quello più efficace, per trasmettere allo spettatore l’energia di uno show dal vivo, è proprio quello della registrazione audio, ancor più che il video su YouTube. Ascolti il disco con gli auricolari, ti isoli, si crea una atmosfera più intima. E poi il fatto che ci sia solo la voce e non l’immagine, sollecita ancora di più l’ascoltatore, lo stimola ad evocare e lo connette in maniera più profonda con quello che sta sentendo».
Certo, un progetto ambizioso. Ci vorrebbe una voce particolare…
«Adesso non cominciamo a offendere. Non volevo essere giudicato per la mia statura, ma solo per la mia voce di merda. Per questo ho deciso di fare un album».
Pure permaloso. Stavo per dire che ci vuole una voce particolare, quella di un doppiatore internazionale come te per esempio.
«Ah ecco, ora ci siamo. Che poi la mia non è nemmeno una voce di merda.
In realtà io da bambino volevo suonare la tromba, solo che i miei genitori – grazie al cielo – non me l’hanno mai regalata. E allora mi sono ribellato trasformando la mia voce inuno strumento: non solo è squillante, qualcuno direbbe fastidiosa, ma io cerco di usarla come Miles Davis nella seconda metà della sua carriera. Con distorsioni, elettrificazioni, virtuosismi. Alla fine questa voce-tromba così particolare l’ho messa a reddito, diciamo così».
Ti sei mai chiesto perché la stand up comedy sia arrivata in Italia con trenta o quarant’anni di ritardo rispetto al mondo anglosassone?
Forse perché siamo atterriti dal politicamente scorretto?
«Anche, ma credo che principalmente sia un fatto culturale. La nostra comicità affonda le sue radici nella commedia dell’arte, è una comicità di maschere. La stand up comedy anglosassone, invece, è una comicità smascherata. Il comico è nudo davanti agli spettatori, non si nasconde dietro a un personaggio. Al contrario, è spudoratamente esposto, racconta se stesso. E per noi è una totale novità. Ecco perché io dico sempre che fare stand upcomedy vuol dire sputtanarsi. E più ti sputtani e più la gente ride.
Incredibile questo fatto, non credi?».
E infatti tu cominci lo show dicendo che sei un pessimista cronico. Anzi, un disincantato…
«Vero, io lo so che le cose finiscono sempre male. Pensa che a Natale, quando faccio il presepe, il bambinello lo metto già crocifisso.
Tanto va così la storia, no?».
Guarda, se è per questo dici pure che sei così ansioso che ti svegli ogni notte tre o quattro volte per controllare se hai chiuso il gas.
«Ma anche per controllare se c’è ancora la macchina posteggiata fuori».
Ma tu non hai la macchina!
«Appunto. Vedi come sto messo? E poi anche per accertarmi che le tavolette dei bagni siano chiuse…».
Pure questo…
«Certo, non si sa mai cosa può arrivare dalle fogne. Topi, serpenti, ragni. Così mi sento più sicuro».
Mi hai convinto, da stasera lofaccio pure io. Torniamo allo show, fin dall’inizio “avverti” il pubblico con due o tre battute non consigliate ai benpensanti. Un modo per dire: io sono così, prendere o lasciare.
«Sì, mi piace mettere le cose in chiaro fin da subito. Il pubblico deve sapere cosa è venuto a vedere, non voglio nascondermi né, tanto meno, fare il ruffiano. Non mi piace perdermi in preliminari, diciamo così».
Solo sul palco, mi auguro.
«Stai sereno».
Certo, essere così ansiosi condanna a una perenne infelicità…
«No, guarda, non cadiamo nei soliti luoghi comuni. Per esempio, io quando mi sveglio la mattina mi rendo conto di non essere morto nella notte. Non è meraviglioso? Uno che non è ansioso non vivrà mai certi momenti di felicità».
Se lo dici tu. Hai deciso di anticipare l’uscita del disco con un’anteprima, anche video, sul trasloco. L’evento più doloroso per un essere umano.
«Forse secondo solo al parto. Che, se ci pensi, a suo modo è un altro trasloco no? Tra l’altro più doloroso perché stavolta a cacciarti via non è un padrone di casa ma tua madre. E soltanto dopo nove mesi. È chiaro che se uno comincia così, poi il trauma del trasloco se lo porta dietro per tutta la vita».
Ne hai fatti tanti?
«Non molti, soltanto tre. Ma sto per fare il quarto, sono già devastato».
Quanta roba si perde durante un trasloco?
«Ma sai che non è vero nemmeno questo? A me capita sempre di ritrovare cose delle quali sconoscevo l’esistenza e non so nemmeno dove metterle. Tra l’altro il trasloco è una di quelle cose che sai quando cominciano ma non sai mai quando finiscono. Pensi di aver aperto tutti gli scatoloni e ne spunta sempre uno nuovo. E proprio vero: un trasloco è per sempre».
Senti, com’è questa storia che ti sei reso conto dell’emergenza abitativa in Italia guardando il porno amatoriale?
«Io di porno homemade, come si dice adesso, ne ho visto tanto sul web.
Praticamente ho finito Pornhub. Ma ogni volta che rivedo qualcosa, mi sento in imbarazzo. Ti sei mai reso conto di quanto sono brutte le case di chi fa questi video? Ma li hai visti gli arredamenti, i divani, i punti luce.
Orrendi. Non c’è mai un quadro bello, un soprammobile di gusto. Vogliamo dire la verità? Il porno amatoriale è uno spaccato immobiliare tristissimo del nostro Paese. Lo so che non farà piacere, ma qualcuno doveva pur dirla questa cosa».
A meno di quarant’anni hai fatto di tutto. Autore di testi per artisti come i fratelli Guzzanti, televisione, radio, teatro, libri. Hai doppiato per la Disney, massacri “Robinson”, hai inciso il primo disco della storia italiana di stand up comedy. Che ti manca ancora?
«Ti dirò, se Woody Allen ripassasse da Roma e mi volesse per una scena di un suo film, pure nella parte di un passante sfuocato in fondo alla strada che non si vede nemmeno, io sarei l’uomo più felice del mondo.
Nell’attesa, non mi dispiacerebbe cimentarmi in sfide meno impossibili tipo scrivere un film, magari una serie tv, chi lo sa. E poi mi piacerebbe, anzi mi piacerà, rifare tutto quello che ho fatto, perché tanto ogni volta è diverso, un’emozione nuova. Come ogni spettacolo davanti al pubblico: lo replicherai cento volte ma resterà sempre uno show diverso. Ed è la cosa più bella per chi fa questo lavoro».