Robinson, 21 gennaio 2023
La storia di Etty
Per Jean Améry, lo scrittore ebreo austriaco sopravvissuto ai lager nazisti, suicida nel 1978, l’esperienza concentrazionaria aveva rappresentato l’annientamento, la disfatta, dello spirito. Che differenza dalla stupefacente convinzione vitale dell’ebrea Etty Hillesum e dalla sua incrollabile crescita spirituale testimoniata nei celebri diari scritti durante gli anni dell’occupazione tedesca in Olanda, prima fermamente «libera» tra le restrizioni plumbee in cui vive a Amsterdam, consapevole dell’orrore ma «colma di felicità», poi, ancora, e sempre più, grata a Dio, nel campo di Westerbork dove il suo unico desiderio è portare conforto agli altri.
Il pensiero diventa ancora più chiaro dalla lettura del bel libro di Elisabetta Rasy Dio ci vuole felici. Etty Hillesum o della giovinezza
(HarperCollins), perché affonda a pieno le mani nell’esuberanza della “ragazza” inghiottita da Auschwitzpoco prima di compieretrent’anni.
L’incontro tra Rasy, tanti i suoi romanzi e i saggi dedicati a donne temerarie e creative, e Hillesum avviene per un processo di identificazione. Naturalmente non per le discriminazioni, né tanto menola detenzione e la morte che Etty subì per mano del Terzo Reich ( a Westerbork «tra me e lei si alza un muro» scrive Rasy quasi intimidita di poter abusare della sua memoria), ma proprio per l’animo libero, inquieto, irriverente della Hillesum, sempre indomabilmente alla scoperta di sé e del senso dell’esistenza, in cui si riconosce, sviluppando con lei «un sorprendente senso di intimità» fin da quando la lesse per la prima volta, nel 1985, quando spensieratezza, dubbi e certezze, felicità e infelicità si confondevano in «un intreccio di passioni nella strada tortuosa che si cerca di inseguire per arrivare a noi stessi» durante la giovinezza. Come la Hillesum.
Ed è infatti in uno stato d’animo simile, nel continuo ascolto di sé, dei propri pensieri, di quelli altrui e degli amati libri, e moltissimo del suo scalpitante erotismo, avvolta di contraddizioni e curiosità, che Etty si trova nel 1941 ad affacciarsi nelle stanze/studio di Julius Spier, berlinese, allievo di Carl Gustav Jung, emigrato in Olanda per via delle leggi razziali, e poi creatore di una certa parascienza, la psicochirologia, ovvero l’interpretazione dell’anima attraverso la lettura della mano, un “mago” per alcuni, un maestro senz’altro per Etty, un millantatore per altri.
Il compito che Hillesum attribuisce a S. ( così chiama sempre Spier nel Diario) è quello di «sciogliere il gomitolo aggrovigliato in cui era imprigionato il suo cuore», un’attitudine liberatoria verso l’amore intrecciata da Rasy con il suo vissuto e con quello di Katherine Mansfield, Edith Warthon, Virginia Woolf: ormai fuori dalla difficile famiglia di origine – così come nei più facili anni ‘ 60 e ‘ 70 tante donne in movimento verso la consapevolezza e l’essere libere faranno – la lezione appresa, costruita faticosamente da Etty, è che corpo e mente sono una cosa sola e non importa se scoprirlo comporti una discesa agli inferi, l’essenziale e ritrovare la propria anima «seppellita dagli atavici obblighi di una buona creanza femminile».
Anche Rasy ( a cui la rivista Il Giannone dedica ora un intero numero) ha vissuto «amori promettenti e minacciosi» nella sua giovinezza, «età di frontiera», età onnipotente come scriveva un altro autore tormentato e coraggioso, Joseph Conrad, ricorda Rasy. Tutto quel che faceva Etty era azzardato, vivere in una comune, voler diventare una scrittrice e sedere alla sua scrivania sentendola simile «al mondo nel primo giorno della creazione», avere due rapporti contemporaneamente, e averne avuti molti altri prima, (negli anni Trenta! In una famiglia borghese),sfrecciare in bicicletta per Amsterdam con i tedeschi agli angoli, sentire nonostante tutto il cielo sopra e intorno. La premessa interna per lei è «inventarsi un modo sperimentale di essere ragazza», vivere a modo suo, prendere l’onda di cambiamento che attraversa la femminilità per tutto il ‘ 900, incontrando se stesse. Per questo Rasy si rispecchia in lei.
Tanti gli sconcerti su Etty Hillesum, come faceva a essere così felice, a non sentire il peso della persecuzione, aspirare in quelle tenebre così tanto all’amore, a una carezza, a un eros felice? Se lo sono chiesti in molti. Ma Rasy ci ricorda continuamente di come Etty fosse consapevole fino in fondo della volontà nazista di cancellare il popolo ebraico. Lo scriveva, «accetto questa nuova certezza» e aggiungeva «non darò più fastidio con le mie paure... Trovo la vita ugualmente ricca di significato», «Farò ordine e ogni giorno dirò addio». Non sapeva e non voleva odiare. Rasy le avrebbe detto di fuggire, come fecero tanti altri. Lei desiderava vivere il destino del popolo ebraico: non si nascose. Era una acrobata. Alla fine sentiva Dio in ogni cosa, si rivolgeva a Lui come a se stessa: «Ti aiuterò mio Dio» gli diceva. La sua luminosità talvolta è abbagliante: Rasy illumina anche noi.