La Stampa, 21 gennaio 2023
L’importanza dei social per Teresa Ciabatti
Abbandonare i social? «Ognuno faccia quello che vuole ma spero che qualcuno rimanga, così io potrò continuare a osservare e scoprire e imparare». Teresa Ciabatti oggi ha «solo un profilo Instagram», su cui predominano libri e interviste: si inserisce perlopiù nella categoria degli «spettatori» (soprattutto di video dei Ferragnez), forse, sottolinea, «perché quando si invecchia è così». Per molti anni, invece, è stata molto attiva e provocatoria: su Twitter nella sua biografia si leggeva «persona cattiva» e su Facebook aveva creato «un alter ego prepotente, odioso, fastidiosissimo» giocando sulla confusione fra reale e virtuale, sul confine indefinito tra persona e personaggio. Accese polemiche nel momento in cui con La più amata era in corsa – arrivò seconda dopo Paolo Cognetti – per lo Strega. «Mi taggavano e mi insultavano. Sono uscita dai social». Era il 2017. «Dopo qualche mese – racconta – ho provato a rientrare ma ho abbandonato subito l’idea. E non per le cattiverie, oggi penso che le reggerei, ma perché quello era stato un esperimento letterario e quella voce narrativa si era esaurita, era finita una fase. Ma senza Facebook, e l’equivoco creato, ci avrei messo molto più tempo a trovare la voce narrante del romanzo – rivendica -. Avevo una vita triste e piatta, non era materiale da racconto, e ho capito che serviva un falso sé. Tutti, più o meno consapevolmente e per fortuna, mettiamo in scena un falso sé. E non solo sui social».
Social che, sostiene la scrittrice, con i loro pericoli e i loro limiti, erano e rimangono «utilissimi». Per «farci sentire più vicini a ciò che sta accadendo in Iran», per permettere a scrittori come Hanif Kureishi di «fare un racconto bellissimo, struggente e doloroso» di quello che gli sta succedendo, per «permettere a mia figlia di 13 anni di avere un rapporto molto più libero con il suo corpo di quanto lo avessi io».
Ciabatti partecipa al dibattito ospitato su La Stampa a partire dall’articolo di Concita De Gregorio, che invita alla fuga dai social per riprendersi le proprie vite. Ma la sua prospettiva è diversa. «Inseguiamo i poeti, non gli influencer» ha scritto De Gregorio. Invece per la scrittrice, il cui ultimo romanzo è Sembrava bellezza (Mondadori), «non esiste distinzione fra alto e basso. Io seguo ciò che mi affascina, chi riesce a fare una narrazione che cattura. Come è quella dei Ferragnez, molto intelligente e divertente. È come un libro su una famiglia di oggi». E le critiche per i figli troppo esposti? «Lo fanno in modo garbato». E i bambini che da grandi si trovano la loro vita spiattellata sui social a loro insaputa? Per Ciabatti non si può generalizzare, e «i Ferragnez lo fanno in un modo intelligente, che non sarà motivo di trauma o vergogna tra 20 anni».
«I social non si impadroniscono delle nostre vite se sappiamo gestirli – sostiene Ciabatti -. E ci sono grandi rischi ma anche grandi possibilità. Poi io parlo per me, che sono adulta, e per mia figlia che ha 13 anni ed è ancora abbastanza piccola. Io non sento il rischio di farmi fagocitare dai social, li ho usati come esperimento narrativo. Ne sono uscita per le reazioni violente di allora ma non ci sono tornata, su Facebook o Twitter, semplicemente perché sentivo di non avere più niente da dire su quei canali. Oggi per la mia ricerca letteraria mi sono più utili i reportage. Per il resto uso Instagram. Lo guardo appena mi sveglio, soprattutto i video dei piccoli Ferragnez o di Belén con sua figlia, e poi più volte al giorno per vedere il mondo, da spettatrice, che è molto interessante. Scopro cose che altrimenti non scoprirei. Poi certo – sottolinea – può essere pericoloso. Io ho sempre avuto come foto profilo un’immagine di Joyce Carol Oates, la mia scrittrice di culto, e ricevo continuamente richieste da finti dottori americani, finti piloti. Truffe amorose. Gente che vede la foto di una signora anziana e prova a truffarmi. Io mi arrabbio molto e in un paio di casi ho anche fatto una lunga strigliata moralista all’utente in questione. Che mi ha bannata».
Per i giovani «i rischi ci sono eccome, basta pensare a quanto denunciato da Dalila Bagnuli mesi fa con la Boiler summer cup, praticamente una gara su TikTok in cui faceva punti chi conquistava in discoteca ragazze che pesavano di più. Una cosa di una violenza incredibile. Penso però anche che se mia figlia con il suo corpo ha un rapporto meno impacciato di quanto fosse il mio, ereditato da mia madre e pieno di tabù, è anche grazie a TikTok. E lei ovviamente non balla su TikTok ma davanti a me, serena».
Raccontarsi sui social per Ciabatti non significa «farsi merce, cosa che invece può succedere con la tentazione, in cui cadiamo un po’ tutti, di pubblicizzare quello che facciamo». Per De Gregorio la popolarità, l’affannarsi nella collezione di follower, ha sostituito la competenza, la fatica. «Solo a breve termine, perché poi la competenza ha valore eterno – sottolinea la scrittrice -. Poi certo, oggi tutti danno opinioni su tutto, ma penso che le persone sappiamo distinguere. Senza contare che avere seguito ti responsabilizza, e penso che sia importante».
Per Selvaggia Lucarelli «i social sono come il successo, non trasformano la gente, la smascherano». «Io ho meno fiducia nella verità dei social – ragiona Ciabatti -, parto dal presupposto che siano una messinscena, una narrazione, consapevole o meno, e mi interessa proprio quel livello di racconto. Non credo smascherino. È un po’ la retorica della televisione, dell’essere vero. Per me è normale che ciò che vedi sia un artificio, la narrazione che fai di te stesso. La verità non c’è da nessuna parte, nemmeno nel vissuto reale, perché con la memoria ricostruiamo, e non tutti nello stesso modo. E, aggiungerei, per fortuna! Il gioco sta proprio nell’andare a vedere la costruzione di questo sé, nel cercare di capire quanto si allontani o avvicini alla realtà. C’è l’illusione che esista qualcosa di immobile ma non è così: noi non abbiano un’identità sempre costante. E per fortuna, ripeto, perché evolviamo». —