La Stampa, 21 gennaio 2023
Il ritratto di Messina Denaro appeso nel salotto buono della mamma
E chissà se un giorno, in questa storia di Matteo Messina Denaro che supera la trama di un film, scopriremo che fine ha fatto la Natività di Caravaggio, trafugata dalla mafia nel 1968 dall’Oratorio di San Lorenzo a Palermo e al primo posto nella lista dell’Fbi delle opere d’arte più ricercate al mondo. Per ora ci dobbiamo accontentare di sapere che fine ha fatto il più modesto ritratto di Matteo Messina Denaro medesimo, realizzato dalla pittrice ed ex modella Flavia Mantovan insieme con altre «facce di mafia» – così si chiamava la serie – ed esposto al Museo di Salemi dedicato a Cosa Nostra, che Sgarbi aprì tra le polemiche nelle vesti di sindaco, assessore Oliviero Toscani. Correva l’anno 2009 e sembra un secolo fa, quando solo pensare di musealizzare padrini, boss e stragi era una provocazione. Tanto più a Salemi, cittadina a un passo da quella Castelvetrano che ha dato i natali all’ex imprendibile.
Ebbene, quel quadro che raffigura il boss con la corona sulla testa da numero uno e le fiamme riflesse negli occhiali, «le fiamme delle stragi di Capaci e via D’Amelio di cui era ritenuto mandante» come spiega l’autrice, si trova nel posto insieme più incredibile e più ovvio possibile. Dove? A casa della signora Lorenza Santangelo, madre di Matteo Messina Denaro, appeso sulla parete del salotto buono, come un maxi-santino, come una magnifica foto ricordo. Bello di mamma. Stessa sorte, viene da dire, del boss in carne e ossa, anche lui trovato nel posto insieme più incredibile e più ovvio: vicinissimo a casa sua. Consapevole forse, come nella «Lettera rubata» di Edgar Allan Poe, che «il posto migliore per nascondere qualsiasi cosa è in piena vista».
E così come nessuno si chiedeva chi fosse – in un paesino di undicimila abitanti come Campobello di Mazara dove tutti conoscono l’albero genealogico di tutti – quell’uomo sorridente e gentile venuto fuori dal nulla, nessuno nella catena che ha portato il quadro a casa della madre di Matteo Messina Denaro si è chiesto chi fosse il misterioso compratore disposto ad acquistare quel quadro «senza problemi di budget».
E pazienza se l’autrice, secondo l’impietoso critico d’arte, fosse ai tempi della realizzazione «un poco principiante» (valutazione che non gli impedì di portarla due anni dopo alla Biennale di Venezia), fatto sta che quel quadro godette subito di questa immediata fortuna non appena rientrato a Roma. «Si rivolse a me un gallerista romano che ora non c’è più, Carmine Siniscalco, dello Studio S, per chiedermi espressamente quel dipinto», ha raccontato il presidente dell’associazione culturale «Horti Lamiani», nome d’arte Daniele Arzenta, che aveva sostenuto la mostra a Salemi di Flavia Mantovan. «Mi disse che il suo misterioso acquirente non faceva questione di prezzo, che era pronto a versare anche una cifra cospicua. Siniscalco mi confessò poi che lo aveva venduto ottimamente, anche se non mi disse a chi».
Non è dato sapere se l’appassionato d’arte fosse Iddu in persona, o se dietro ci fossero altri prestanome. Di certo era qualcuno che in soli tredici giorni di esposizione a Salemi aveva avuto il tempo di vederlo e di apprezzarlo. Matteo Messina Denaro in persona tra i visitatori del Museo della mafia di Salemi ad ammirare il suo ritratto? Certo, l’ultimo posto dove si sarebbero aspettati di trovarlo. Anche qui, Edgar Allan Poe insegna. —