la Repubblica, 22 gennaio 2023
Biografia di Colette, la scandalosa
Di un grande scrittore ci restano i libri che, anche a distanza di un paio di secoli, vengono riproposti e quindi letti dalla parte più volonterosa delle nuove generazioni. Ma se si tratta di uno scrittore che è una scrittrice, cioè una donna tra l’altro molto donna, nel senso della sua vita privata non del tutto monacale anzi molto vivace; se questa vita è un susseguirsi incessante di ciò che oggi vengono luttuosamente chiamate molestie, ma che ai tempi di questa signora, molto molestata e molto molestante, si consideravano inevitabili giochi di seduzione, passione e soprattutto apprendistato per cavarsela poi in un mondo di uomini con quella debolezza lì; è ovvio che la sua biografia, amori, corna, promiscuità, lesbismo, sono destinati a prevalere sul talento; e nel caso di Sidonie - Gabrielle Colette, sulla sua capacità letteraria che ha fatto di lei uno dei più amati scrittori di sempre, dai testi tuttora incantevoli. Ricordata poi solo col cognome, Colette, invenzione pubblicitaria del suo primo marito, se ne celebrano adesso i 150 anni dalla nascita, il 28 gennaio 1873: chi ha ancora il vizio di cercare emozioni nella lettura, ha a disposizione i suoi tanti romanzi e scritti autobiografici, ampiamente ripubblicati nel tempo, e dovrebbe regalarsene almeno uno, uno dei quattro Claudine (1900, 1901, 1902, 1903), o uno dei due Chéri (1920, 1926), o La Vagabonde (1910), ma anche Il puro e l’impuro (1921); e se invece la lettura oltre le sette righe è diventata uno di quei macigni che ti paralizzano il cervello, c’è sempre la valanga di film ispirati alla sua vita e ai suoi libri, ultimi Chéri di Stephen Frears con Michelle Pfeiffer (2009), e Colette di Wash Westmoreland con Keira Knightley (2018).
Nata in un paesino del dipartimento dello Yonne, nel centro della campagna francese, da amorevoli genitori borghesi, tre mariti e una compagna, due divorzi, una figlia, Colette, dal secondo matrimonio, molti amanti ambosessi, un semi incesto, una quarantina di libri; giornalista, critica letteraria, conferenziera, cantante, attrice, mimo, creatrice di creme di bellezza, truccatrice, geniale ricamatrice di tessuti d’arredamento, gran ghiottona e cuoca inventrice di ricette (il pollo alla cenere, il vino d’arancia, il tartufo a modo mio). È la seconda donna ad essere accolta all’Accademia Goncourt, ottantenne, la nominano Grande Ufficiale della Legion d’Onore; muore il 3 agosto 1954, il 7 riceve i funerali di stato, seconda donna dopo Sarah Bernhardt, la Chiesa le nega quello religioso perché divorziata.
La fortuna, se così si può dire, di Sidonie-Gabrielle è quella di attrarre, lei quindicenne, Henry Gauthier-Villars, detto Willy, critico musicale d’avanguardia, che sopravvive firmando libri pruriginosi, un omone baffuto di 32 anni un po’ imbroglione, che la trasformerà nella mitica Colette. Si sposano e la ragazza di campagna si trova a passare le sue serate con persone che l’ascoltano, e sono Proust, Debussy, Gide, Cocteau, Mauriac, Jarry. Il marito la chiude in casa e le regala dei quaderni di scuola a righe con la copertina nera, e sapendola molto sveglia, la obbliga a scrivere i suoi ricordi di adolescente sessualmente curiosa, trasformandoli nei quattro romanzi di Claudine, dal subitaneo successo e di cui Willy si appropria negandole la firma.
Ma lei lo ama malgrado le molte corna, e lo amerà, odiandolo, anche dopo il divorzio, vivendo altre vite, altri amori, altri successi, una fama mondiale.
È lui che ha sedotto la già predisposta giovinetta, lui che le insegna quale tesoro sia il suo corpo, la gioia che può darle e il potere che le assicura sugli uomini: anni dopo ricorderà «in poche ore un uomo senza scrupoli, fa di una fanciulla ignorante un prodigio di libertinaggio che non causa nessun disgusto. Il disgusto non è mai stato un ostacolo». Colette era stata di una bellezza fragile e pura, quasi severa e perciò di massima seduzione, sia da fanciulla con gli occhi bassi e la celebre massa di capelli sino a terra, sia da adulta, elusiva e sensuale, una massa di riccioli corti e mai un sorriso, quando per guadagnarsi da vivere sfida lo scandalo mostrandosi nuda sui palcoscenici.
Sono tempi di massima ipocrisia sessuale, di moralismo greve, quasi come adesso, eppure lei osa: la sera del 3 aprile 1907 al Moulin Rouge, nell’insensata pantomima Rêve d’Égypte, è una mummia che si denuda a poco a poco e poi si avvinghia in un lungo bacio in bocca al maschio in scena negli stracci di un vecchio negromante: che però è la sua amante ufficiale, Mathilde detta Missy, divorziata dal marchese di Belbeuf, figlia del duca di Morny che è figlio naturale della regina Ortensia d‘Olanda, figliastra di Napoleone. Una celebrità che è una specie di dea del più intellettuale dei tanti circoli lesbici parigini d’epoca, quello della ricchissima americana Natalie Clifford Barney. Missy si veste da uomo, fuma il sigaro, ha un paio di baffi posticci fatti con i peli del suo cagnolino, non è attraente né come donna né come uomo; ma molto invitata e ammirata. Quella sera del 1907 la scena proibita è attesa dai tanti benpensanti che affollano il teatro: fischi, grida, ululati, tutti in piedi a sradicare e gettare le poltrone verso il palcoscenico, solo Willy, presente con la sua nuova amante, la giovanissima ballerina Meg, batte le mani, e quindi viene insultato, strattonato, bastonato e costretto a fuggire.
Arriva la polizia, e il prefetto proibisce per sempre alla marchesa di tornare sulle scene. Quell’anno esce il primo libro firmato non più Willy ma Colette Willy, Il rifugio sentimentale, e di lei si innamora perdutamente il ricco, mondano, fascinoso Auguste Hériot, 25 anni (lei ne ha 12 in più), figlio del proprietario dei Grand Magasins du Louvre, che invano le chiede di sposarlo. Colette approfitta della sua ricchezza e giovinezza, ma vive ormai con Missy, anche se dice di amare più gli uomini che le donne: «Due donne abbracciate… sono una immagine malinconica e toccante di due debolezze, forse rifugiate nelle braccia una dell’altra per dormire, piangere, fuggire l’uomo spesso crudele e gustare, più che il piacere, l’amara felicità di sentirsi simili, infime, dimenticate…».
Il “Cherubino”, come lo chiama lei, sarà il modello di Cheri, che nel 1920 esce a puntate su La vie Parisienne, e Gide se ne dichiarerà entusiasta per la meraviglia della scrittura. È il suo giovane innamorato a presentarle Henry de Jouvenel, fascinoso redattore capo del quotidiano Le Matin, e lei se lo sposa in un baleno, dopo aver vissuto una specie di pochade in cui l’amante di Jouvenel la insegue ovunque per ucciderla, e Jouvenel insegue l’amante per fermarla, e i bidonati Hériot e Missy piangono insieme.
Il nuovo marito ha un figlio che a 16 anni ha finalmente il permesso di conoscere la matrigna: Bertrand è bello, malinconico, colto, Colette, che ha 30 anni più di lui, lo seduce una notte d’estate e ne fa per cinque anni il più appassionato, e amato, dei suoi amanti.
La capacità di trasformare la vita in teatro è parte del suo protagonismo amoroso: è a tavola con Bertrand e il di lui padre e di lei marito, e all’improvviso rivela il suo doppiamente crudele tradimento. Si immagina una scena sconvolgente, seguita subito dalla separazione. Anni dopo, Colette è alla finestra e Bertrand (che racconterà ne Il grano in erba) già in strada, si allontana per andare a una cena in cui dovrà conoscere la fidanzata che la madre ha scelto per lui; lei gli getta un bigliettino con scritto, «ti amo», e lui a quella cena non andrà.
Ci sarà un terzo matrimonio, l’uomo d’affari Maurice Goudeket, prestante e colto, che ha sedici anni meno di lei, ma che importa. Di lei ultracinquantenne, Paul Léautaud scrive, «è ancora molto bella, no, bella non è la parola: lei respira la voluttà, la passione, l’amore, con un fondo di malinconia…». Goudeket è ebreo e agli inizi del ’41, nella Parigi occupata dai nazisti, viene arrestato, ma Colette conosce le persone giuste, per esempio l’innamorato di un tempo, Bertrand de Jouvenel, diventato scrittore e giornalista che parteggia per i tedeschi, e riesce a farlo liberare. Viaggiano molto lei e il marito, che le resterà gelosamente vicino sino alla fine, impedendo ad amiche, ammiratori e anche a Bertrand, di disturbarla. Ma gli anni passano, quel suo celebre corpo si sforma nel grasso, una inesorabile artrosi la paralizza, le fotografie di Cecil Beaton la mostrano con i suoi gatti e un viso che è una maschera: «Non posso più camminare, come è strano, vivo distesa, come è semplice». Scrive, scrive, scrive, il suo rifugio, la sua evasione, la sua prigione, l‘unica cosa che ha sempre detestato. Lo ha detto tante volte, anche in vacanza: «Scrivere mi fa orrore, vorrei continuare questa vita di lusso sfrenato… piedi nudi, una maglia di lana scolorita, una vecchia giacca, molto aglio e tanti bagni…».