la Repubblica, 21 gennaio 2023
La risposta alle critiche è in stile Måneskin
“Nel nome di Apollo, Elvis e Jimmy Page…”, prima dell’arrivo dei quattro Måneskin appare Alessandro Michele, magistrale colpo di scena grazie al quale, dopo aver clamorosamente abbandonato la Maison Gucci, dopo essere sparito dai radar nel buio del mistero, è magicamente ricomparso come officiante del simbolico matrimonio collettivo del gruppo nella cui immagine c’è anche la sua preziosa firma. Tutto ciò in un improvvisato altarino allestito in una saletta del fastoso Palazzo Brancaccio, appena ottanta posti a sedere, con tutti noi stipati a studiarci, armati di cellulare, per capire la conta di questo inaspettato esclusivo privilegio: tra gli altri Baz Luhrmann e Paolo Sorrentino in prima fila (i simbolici parenti stretti?), poi il primo coach Manuel Agnelli e Fedez, Sabrina Impacciatore, Dybala e Pellegrini per la Roma, perché a Roma siamo, e per i Måneskin è sempre forza Roma, celebrando un matrimonio che è anche tra la capitale e Las Vegas, tra il rock e il grandguignol, tra autenticità di quartiere edecadenze da basso impero.
Michele annuncia, parte la marcia nuziale e la tenda non si apre, sembra fatto apposta, uno scherzo, la marcia nuziale riparte, diventa un loop, passano molti minuti, gli invitati si scambiano battute: lo sposo, o la sposa, a seconda dei punti di vista, ha abbandonato il matrimonio? Ma è solo un ingarbuglio di macchine e fotografi all’entrata, finalmente le tende si aprono e gli sposini arrivano, in tenuta bianchissima da matrimonio, Thomas e Damiano a fare i maschi, Victoria ed Ethan a fare le signorine. E la cerimonia può partire, pronunciano i voti.
Alessandro Michele chiede: «Se qualcuno ha qualcosa in contrario lo dica subito, o taccia per sempre» e lì ovviamante nessuno aveva nulla a che ridire, se invece l’avesse detto in una tribuna social sarebbe stato sommerso da una valanga di commenti a dir poco sgarbati. Il fatto è che i Måneskin sembrano fatti apposta per far incazzare tutti, esasperando invidie, paternalismi (“bravi ragazzi sì, però…”) sublimando nostalgie di passati in cui la musicaera una roba seria, aizzando virtuosi come Uto Ughi, che lì alla cerimonia avrebbe detto sì, qualcosa da dire ce l’ho, è una vergogna, questi ragazzi sono un insulto all’arte, fornendo un fantastico assist al gruppo, perché basta guardarli per capire che tutto possono essere tranne che un insulto alla bellezza.
A Palazzo Brancaccio è tutto un gioco, ma fuori tutti sembrano prenderlo troppo sul serio, ma come resistere al gioco angelico di quattro ragazzi sbalzati nel cielo dei sogni del rock’n’roll, che hanno scardinato l’immutabile liturgia delle presentazioni discografiche, perché alla fine di questo si trattava, di una esagerata, sproporzionata, presentazione del nuovo album Rush! con una festa limitata a pochi. Dress code: kinky. «Damiano, Ethan, Thomas e Victoria, volete prendervi in matrimonio promettendo di esservi fedeli l’uno l’altro sempre, nella gioia e nel dolore, nell’amore e nell’onore ogni giorno della vostra vita?». Sì, certamente. Giusto il tempo di lanciare il bouquet agli invitati e poi photocall, saluti, torta e finalmente il vero motivo per cui alla fine di tutto, al netto di eccessi, glamour, bellezza e ambiguità erotica, si è tutti lì, ed è la musica, anzi la musica dal vivo. In un’altra saletta c’è un miniservice pronto a scuotere le mura dell’antico palazzo e a imbambolare i presenti, arricchiti da una seconda ondata (inclusiva di fan) che riempie ogni metro disponibile, e quando partono sì che ci si diverte, si suda e si salta perché dal vivo è tutt’altra cosa, anche lo scettico recensore americano che li ha stroncati su Atlantic avrebbe dovuto ammettere che non saranno i salvatori del rock, ma del resto non hanno mai preteso di esserlo, e che ora dal vivo hanno imparato bene, sanno trasmettere l’energia che hanno raccolto nel mondo. Partendo da Sanremo, dove (l’annuncio di Amadeus è di ieri sera) torneranno da ospiti).
Passato il momento dell’ascesa, della sorpresa, della simpatia, del tifo, è arrivato il momento delle critiche, inevitabile, come ovvia ritorsione dopo tanta fortuna. Ed è il momento più difficile, quello che servirà a capire se di tanta bellezza ci si può fidare.