la Repubblica, 21 gennaio 2023
Intervista a Léa Seydoux
Léa Seydoux, il corpo e l’anima. In Un bel mattino, il film di Mia Hansen-Love già in sala (con Teodora), l’attrice francese incarna l’alter ego dell’autrice, regalandoci la sua prova più intensa. Senza trucco, lo sguardo dolente, i capelli cortissimi, Seydoux interpreta una traduttrice vedova che si prende cura del figlio e del padre, un professore di filosofia, la cui malattia degenerativa rende necessario il ricovero e la ricollocazione dei libri e degli oggetti di una vita. A illuminare la dolorosa quotidianità una nuova, complicata, travolgente relazione con un amico in crisi coniugale.
A 37 anni Léa Seydoux ha un fisico adolescenziale e l’aria timida, nell’intervista al parigino Hotel Du Collectionneur, per i Rendez-vous della rassegna Unifrance, indossa pantaloni morbidi e una felpa bianca e nera. Il trucco, se c’è, è invisibile.
La regista ha scritto il ruolo avendo lei in mente.
«È un onore. Il film racconta la storia di Mia, sono felice abbia pensato che fossi la persona giusta per esprimere le emozioni che lei ha attraversato durante la malattia di suo padre. Io e Mia siamo molto diverse, ma abbiamo lo stesso tipo di sensibilità».
In cosa siete diverse?
«Lei è molto più posata, è quella che ha studiato, i suoi genitori erano entrambi professori. Lei è l’intellettuale, rigorosa come io non sono. Ma entrambe abbiamo una vita interiore molto ricca. Ho cercato di restituire a Mia la riservatezza, la grande dignità, ma dentro lei è un vulcano».
La biblioteca del padre racconta chi è l’uomo, i libri che abbiamo in casa ci definiscono. I suoi?
«Amo i classici, perché non ho letto così tanto nella vita: Dostoevskij, Tolstoj, Proust, Zola, ogni tanto torno a quei testi, li rileggo».
Ha detto che finalmente, dopo cinque ruoli, è tornata con questo film a incarnare una donna comune.
«Mi piacciono le femme fatale ma mi piace anche cambiare. Di questa donna mi piace l’apertura, la vulnerabilità. E la sua immagine.
Ormai sempre più spesso, nei film e sui media, vediamo volti ritoccati, corpi corretti, anche chirurgicamente. Una sorta di falsità. Del mio personaggio adoro i capelli cortissimi, l’assenza di trucco, la naturalezza. Recitare con le chiome folte è più facile ma mi preferisco così, rispetto a trucco e parrucco e ai vestiti firmati di altri film».
In queste settimane in Italia c’è una nuova ondata di denunce dimolestie sul set e a teatro. Lei con “La vita di Adele”, dieci anni fa, ben prima del MeToo aveva denunciato i maltrattamenti psicologici di Abdellatif Kechiche durante le riprese. È stata anche tra quelle che hanno denunciato Weinstein.
«Sono stata la prima a parlare e ricordo bene che in tanti mi dicevano che dovevo tacere: “Hai appena vinto la Palma d’oro con il film... Perché devi raccontare cosa è successo sul set? Non è un affare che riguardi la gente, è un problema tuo”. Lo hanno detto persone a me vicine, persino in famiglia. E Kechiche ha dichiarato che io dicevo quelle cose perché sono una borghese: una cosa senza senso. È stato manipolatorio, ha spostato l’attenzione dal suo comportamento al mio essere una “borghese”, l’ha trasformata in una questione sociale, il mondo parlava di questo. Il punto è che io e Adele (Exarchopoulos, la coprotagonista, ndr) avevamo subitomolestie, psicologiche, sul set. La cosa folle è stata addossare a me la colpa perché avevo parlato: sono stata esclusa dalla promozione del film, licenziata, mi hanno impedito di andare ai Golden Globes. Perfino persone di famiglia mi ripetevano che ero “viziata” e avrei dovuto subire, benché sapessero quanto avevo lavorato, lottato, sofferto.
Tutto ciò mi ha ferita in modo profondo».
Oggi le cose sono cambiate.
«Sì, e ne sono davvero felice. Come lo sono di aver tenuto duro in quel periodo terribile, di avere avuto coraggio. Malgrado gli attacchi della stampa. Un famoso magazine mi fece una copertina indicandomi come la nuova star e la settimana dopo ospitò un’intervista a Kechiche che mi attaccava, dicendo che lo avevo mal interpretato».
Nei film lei ha fatto scene di nudo che, come in questo, sono importanti nella storia. E sarà “Emmanuelle” nel remake del classico erotico diretto da Audrey Diwan. Che sarà diverso dai vecchi film...
«Stavolta la prospettiva del racconto sarà femminile. È interessante, non mi pare sia frequente, al cinema, la narrazione dell’uomo come oggetto del desiderio. È sempre la donna. A noi piace avere un oggetto del desiderio, proprio come succede agli uomini».
James Bond è piuttosto desiderato.
«Ma erano le Bond girl a essere oggetto. Per fortuna da questo punto di vista anche 007 è diverso oggi, lo so bene perchè la mia Madeleine ha segnato un cambiamento nei personaggi femminili della saga, è una compagna che ha la stessa forza di Bond, che ne cambia la vita».
La disturbano le fake news su di lei sui media?
«Sì, a volte ci sono notizie false. Ma non leggo i tabloid. La mia vita, in realtà, è abbastanza noiosa».