la Repubblica, 21 gennaio 2023
Ritratto di Antonino Turicchi
ROMA – Il grande salto lo deve a Giulio Tremonti. Fu l’ex ministro dell’Economia a farlo diventare il primo direttore generale della nuova Cassa depositi e prestiti. Era il 2002 e Antonino Turicchi, giovanissimo dirigente del Tesoro, fu chiamato a preparare l’uscita della Cassa dal perimetro pubblico e la sua trasformazione in Società per azioni, completata un anno dopo.
C’è anche un altro nome, sempre espressione della destra oggi al governo, nel percorso di Turicchi, che Giorgia Meloni vuole mettere a capo del nuovo Dipartimento del ministero dell’Economia per il controllo delle società partecipate. È quello di Gianni Alemanno. Finita l’esperienza con Tremonti, Turicchi passa al Comune di Roma. È stretto collaboratore del sindaco, ricoprendo il ruolo di direttore esecutivo. Due anni, dal 2009 al 2011, in cui la figura del tecnico diventa sempre più legata agli ambienti della destra politica romana. In quella giunta era assessore al Bilancio Maurizio Leo, oggi vice ministro dell’Economia di Fratelli d’Italia.
Legami che si sono mantenuti negli anni e che ora tornano utili alla premier, alle prese con la difficoltà di trovare manager di livello per le caselle più importanti della Pubblica amministrazione. Per Meloni, Nino, come lo chiamano i più intimi, è un uomo di assoluta fiducia. Perquesto ha provato fino all’ultimo a convincere Giancarlo Giorgetti che era lui il profilo adatto a sostituire Alessandro Rivera alla guida del Dipartimento del Tesoro. Tentativo fallito, ma riproposto e portato a termine con la gestione delle partecipate di Stato.
Intanto Turicchi è impegnato con Ita, dove è arrivato, in qualità di presidente, a novembre dell’anno scorso, proprio per volontà di Giorgetti. Il momento è delicato, bisogna chiudere con Lufthansa. Un’ipotesi è che il manager si sposti al Tesoro a giugno, dopo aver definito l’operazione con i tedeschi. Ma anche se la ristrutturazione del Tesoro prendesse un binario accelerato,Meloni non è preoccupata per l’eventuale doppio ruolo che Turicchi si troverebbe a ricoprire, al vertice della compagnia di bandiera e al Mef. Prima di muoversi, infatti, è stato verificato il tema dell’incompatibilità. Ed escluso grazie a un precedente illustre: Mario Draghi, che nel 1998 sommò le cariche di direttore generale del Tesoro e presidente di Sace.
Per Turicchi, appassionato di barca a vela e di corsa, sarà la terza volta all’Economia. La prima quasi trent’anni fa, quando nel 1994 entra da semplice funzionario. Cinque anni dopo diventa dirigente: assegnato alla direzione del debito pubblico. Nel 2016 ritorna al Mef per guidare la VII direzione del Dipartimento del Tesoro. Tra le funzioni spicca proprio la gestione delle partecipate. Allora era l’uomo che preparava le carte per il direttore generale, un anello della catena che dai candidati per i vertici delle società risaliva verso l’alto, passando poi al ministro dell’Economia.
Ora le cose sono ben diverse. Per Turicchi, sulle partecipate, è pronta una poltrona da direttore generale. Non dovrà rispondere all’altro direttore generale, Riccardo Barbieri, che perde la delega. Sarà lui il guardiano di un pezzo importante dell’economia di Stato. Per conto di Meloni.