la Repubblica, 21 gennaio 2023
Ritratto di Carlo Nordio
Neppure concentrando le loro forze, i vari De Magistris, Woodcock, Ingroia e via indietreggiando sino all’insuperabile Di Pietro, avrebbero saputo inventarlo meglio – e forse sarebbe giusto dire peggio – di così. Carlo Nordio suona infatti la carica come se fosse il ministro di Astio e Giustizia: “La democrazia dimezzata”, “il Parlamento supino”, “il pasticcio colossale”, “voi vedete mafia dappertutto”. Come se scrivesse il capitolo finale del suo libro “Giustizia ultimo atto”, Nordio si intesta dunque “la rivoluzione copernicana” e si trasforma nel Giustiziere della Giustizia.
Ed è come se davvero diventasse quel Charles Bronson al quale tanto somiglia fisicamente e del quale, è vero, c’è qualcosa in ciascuno di noi quando ci ricordiamo per esempio, della ministra Federica Guidi che dice al marito “mollami, tu mi tratti come una sguattera del Guatemala” o delle intercettazioni di quella disgraziata inchiesta denominata Vallettopoli quando il Pm di potenza Henry John Woodcock, divenne megafono di vizi privati, gestore di una videospazzatura a base di donnine, droga, yacht e transessuali. A nessuno piace che la propria vita privata finisca sui giornali, ma che goduriaquando ci finisce quella degli altri, si tratti di Vittorio Emanuele o di Fabrizio Corona oppure di Silvio Sircana o ancora di Piero Fassino.
Ebbene, anche quando denunzia giustamente l’inutile invadenza delle intercettazioni, il linguaggio mette subito Nordio dalla parte del torto. Davvero mercoledì scorso in Parlamento, la sua faccia sembrava quella incaica da immigrato lituano del giustiziere della notte che, virilone e spietato, trattava la magistratura come una bestia da addomesticare, usava il disprezzo e il dileggio, era il duro che emette la sentenza ed esegue la condanna, il borghese piccolo piccolo disegnato da Cerami per Alberto Sordi che in preda a nevrosi spericolate si mette a sparare. Infatti, mettendo le dita nella presa elettrica, è arrivato a “sparare” che le intercettazioni sono controproducenti perché «al telefono il vero delinquente non parla mai e se lo fa, dando per scontato di essere sotto controllo, racconta un sacco di fandonie per depistare gli investigatori». Tutti sanno che Matteo Messina Denaro, che di telefoni ne aveva due, è stato intercettato e catturato mentre Nordio, ormai cattivo perbontà, è diventato il ministro della Giustizia come lo vuole Marco Travaglio, il perfetto contraltare dei manettari e dei giustizialisti, il loro uguale e contrario.
Ma così, grazie a Nordio, l’Italia precipita nel passato, si risveglia trent’anni fa in piena apocalisse, in pieno giudizio universale: giustizialisti contro garantisti, giudici contro politici. Con la differenza che oggi le posizioni si spostano e si rimescolano in ciascuno di noi perché la storia è stata lunga e siamo stati tutti un poco bianchi con il sindaco di Lodi Simone Uggetti, molto maltrattato dai Pm, ma siamo sempre neri contro i mafiosi e contro i corrotti perché in fondo in Italia non c’è nulla di più valoroso e di più pulito della spazzatura, visto che quel che di importante è accaduto lo abbiamo appreso dalla spazzatura: dalla spada di latta del generale de Lorenzo al bunga bunga di Stato del cavaliere Berlusconi. In un paese dove tutto era falso e paludato, era posticcio e imbellettato, la verità spesso si trovava nella spazzatura. Così dalla spazzatura di Tangentopoli fiorì Di Pietro e nella spazzatura del “questo io lo sfascio” sfiorì Di Pietro. Rovistando nel sacco dell’immondizia abbiamo illuminato la morte di Giuliano e il delitto Montesi; l’emblematico Pasolini è morto nell’immondizia; la P2 era un grattacielo di immondizie. Nell’immondizia abbiamo trovato il caffè di Pisciotta ma anche il bacio di Andreotti. E nella spazzatura si innalzarono come grandezzele miserie di Maradona e di Pantani.
Dunque, si calmi, per favore, signor ministro, l’Italia è andata avanti, ma lei sembra ibernato. Anche la trattativa Stato-mafia è stata spazzata via dai giudici di merito. E l’antimafia di Palermo ha perso quella faccia da “la storia siamo noi”. Oggi i procuratori De Lucia e Guido sembrano garantisti e liberali di Bloomsbury. Metta a confronto l’arresto di Totò Riina, esposto e trascinato nella gogna, sotto la regia di Caselli con quello di Matteo Messina Denaro che senza manette è stato accompagnato e curato persino da una gentile carabiniera.
E per l’omicidio di Yara, ancora nel 2014, Bossetti fu arrestato in diretta, perfetto colpevole ben prima del giudizio perché si faceva le lampade e aveva le sopracciglia ossigenate. E invece nel 2021, al Mottarone, quando crollò la cabina e il reato era l’orribile strage colposa, il Gip non convalidò il fermo e infatti nessuno si ricorda com’erano fatti quegli imputati sottratti dal garbo del Diritto al destino di capri espiatori. E a Torino, senza insultare nessuno, Armando Spataro, quand’era capo della procura, vale a dire sino alla fine del 2018, rese esemplare l’uso delle intercettazioni.
Il rancore ottunde l’intelligenza e può diventare persino ideologia politica come dimostrarono gli allora ministri Matteo Salvini, agli Interni, e Alfonso Bonafede, alla Giustizia, che si precipitarono a Ciampino per accogliere quel Cesare Battisti con il quale furono solidali di ghigno e digrugno: quello si atteggiava a vittima, mentre loro due si atteggiavano a boia.
È vero che il rancore è un grande problema italiano. Ma proprio la recentissima autobiografia di Nordio, affascinante perché scritta come l’autobiografia di una nazione, dimostra che con il rancore non si amministra giustizia. Nordio racconta di essere stato «convocato dai probiviri dell’Anm, che non è un organo istituzionale, ma un semplice sindacato» per rendere conto di certi suoiscritti critici: «Potevo anche mandarli al diavolo ed è quello che feci: risposi pubblicamente al Tg1 che si trattava di un metodo stalinista, che non ci sarei andato neanche dipinto, e che se mi avessero espulso avrei risparmiato la quota annuale devolvendola da buon gattaro alla protezione animali». Ma si vendicarono e, quando arrivò la dovuta promozione a magistrato di Cassazione «fui promosso con l’astensione di nove membri, caso rarissimo nella magistratura. Mi fu suggerito di fare ricorso o almeno di attivarmi affinché quelle valutazioni critiche non fossero inserite nel mio fascicolo personale, ma risposi che al contrario ne ero ben lieto perché quelle astensioni erano solo sibili di rancore, per me un elemento di orgoglio».
Eccoli “i sibili di rancore” esibiti come “orgoglio”. Attaccato come unragno al filo di quel rancore Nordio non cerca, come tutti noi, il punto di equilibro tra l’uso lecito delle intercettazioni e l’inutile violazione della vita degli altri, tra il dovere delle indagini e il diritto alla riservatezza ma ci trascina in un’Italia che non esiste più. E leggendo il suo libro lo capisco bene quando arrivo al nome di Elena Paciotti, che oggi ha 82 anni, ed è ovviamente in pensione: «Tempo dopo un giornalista chiese alla dottoressa Elena Paciotti, allora presidente del sindacato e successivamente eletta nelle liste del Pds al Parlamento europeo, che fine avesse fatto la vicenda Nordio. La collega rispose con soave indifferenza che il problema non gli interessava più.Nondum matura est.Ci avevano provato».
Ecco, si può rivelare la verità su noi stessi anche così, acchiappando memorie che ancora fluttuano dense di scontri. E come la signora del film “Good bye, Lenin!”, che si addormenta nella Berlino comunista e si risveglia nella Berlino senza muro, ma nessuno le dice nulla, il passato diventa il presente. Carlo Nordio si batte contro il morto e intanto uccide il vivo.