Il Messaggero, 20 gennaio 2023
Castelvetrano, al corteo contro la mafia soltanto trenta persone (uno su mille abitanti)
Spunta l’arcobaleno mentre sventolano i fogli bianchi davanti alla chiesa. Ma l’orizzonte di questa cittadina non sembra sereno. Non c’è aria di conciliazione e non soffia vento di liberazione: perché della mafia qui ancora in tanti hanno paura. «Sì, per sfidarla ci vuole coraggio – dicono le poche donne che hanno risposto all’appello del nipote-ribelle di Matteo Messina Denaro – I nostri concittadini temono a metterci la faccia e poi ci sono anche i complici». Il risultato è quello di una manifestazione che doveva essere un messaggio forte, il segno di una gioia collettiva per la fine della latitanza del super boss, invece è la plastica dimostrazione che sulle coscienze e sulle connivenze c’è ancora molto da lavorare.
FORZA
Il prete fa suonare le campane, ma a sentirsi con più forza sono i silenzi della gente. Le assenze sul sagrato invaso di telecamere, giornalisti e poliziotti, sono un segno di allarme. E Giuseppe Cimarosa, il figlio di una cugina di Matteo Messina Denaro e di un ex collaboratore di giustizia ucciso da Cosa Nostra nel 2017, alza il tono della voce perché la rabbia si senta ancora di più: «Di cosa dobbiamo ancora avere paura? Ognuno di noi dovrebbe avere invece un buon motivo per essere qui, perché la mafia in un modo o nell’altro ha fatto del male a tutti. Io ho rinunciato al programma di protezione e ogni giorno rischio di subire la stessa sorte di mio padre. Sì, certo, temo che mi facciano del male ma questo non basta per fermarmi. Né a zittirmi: certo, oggi speravo che qui con me ci fosse una fetta più alta dei miei concittadini». A Castelvetrano, dove Matteo Messina Denaro è nato e cresciuto, dove ha gestito una parte importante della sua attività di imprenditoria delinquenziale, abitano circa trentamila persone. Ma nella piazzetta della chiesa, a venti metri dalla casa in cui vivono le sorelle dell’ex primula rossa, si presentano a malapena in trenta. Un cittadino su mille è venuto a dire quel no silenzioso in cui sperava Giuseppe Cimarosa e nel quale credeva anche il sindaco Enzo Alfano, che però sui toni si mantiene più prudente. «C’è poca gente – sostiene – anche perché questa è la terza manifestazione che si svolge in tre giorni. E poi c’è stato poco preavviso, forse la gente non ha avuto il tempo di organizzarsi. Però l’arresto di Matteo Messina Denaro posso dire che è un bene per la nostra comunità, che non sarà più associata alla sua latitanza». Non c’è il boss, ma restano le infiltrazioni: il potere e l’influenza dei clan da queste parti non si riducono.
GRIDO
E c’è chi non ha paura di dirlo anche davanti alle telecamere delle tv straniere. «Io penso che sia meglio essere in pochi a gridare che restare tutti in silenzio – sostiene la psicologa Simona Puleo – Un grido comunque si è sentito. Noi non ci siamo fermati, anche se nessuno ha provato a impedirci di organizzare questa manifestazione». «Noi non ci ritiriamo – aggiunge Lillo, imprenditore agricolo quarantenne – Cosa possono farci? Ci ammazzano tutti? E allora che ci provino».
Nic.Pin.