Corriere della Sera, 20 gennaio 2023
Intervista a Guillermo Ochoa
«Per adesso ho visto solo Capri, da lontano: bellissima». Per fare il turista, spiega Guillermo Ochoa, 37 anni, iconico portiere messicano ingaggiato dalla Salernitana a gennaio, c’è tempo. Dopo aver disputato il suo quinto Mondiale ha accettato una sfida complicata – è reduce da una settimana da brividi: ha preso 8 gol dall’Atalanta, l’allenatore Nicola è stato esonerato e poi richiamato – con convinzione assoluta. Con coraggio, anche. Otto gol tutti insieme in carriera non li aveva mai presi, Ochoa non perde il sorriso. Va avanti, con la forza dell’esperienza: «Ne ho viste tante per abbattermi. Dispiace, certo. Ma il calcio è così. Quando cadi così male, ti rialzi e sei ancora più forte. Dopo aver perso 8-2 si può solo migliorare. Non crede!?».
Lei ci crede?
«Sono qui per giocare, voglio concentrarmi sull’obiettivo salvezza. La serie A è un sogno. Qui sento la stessa passione della mia terra per il futbol, che è vissuto come una religione. Sto bene, di fisico e di testa. Per noi salvarci è come vincere lo scudetto: vogliamo regalare questa felicità».
Con il tecnico Nicola?
«Ma certo, lui ama moltissimo Salerno e la Salernitana. Questo è il suo posto, accanto a noi. Abbiamo una partita dura contro il Napoli insieme a lui siamo più forti».
La serie A come un sogno, dice. Eppure il nostro campionato non è più quello di trent’anni fa.
«Non sono d’accordo, la serie A è sempre la serie A. Solo che adesso ci sono anche altri campionati di alto livello, come la Premier, mentre prima c’eravate solo voi. I campioni oggi hanno più scelte».
Metà delle squadre hanno portieri stranieri, fra i quali c’è anche lei. La scuola italiana è in crisi?
«Sono i tempi che cambiano, il calcio si globalizza, gli stili si mescolano. Voi avete portieri fortissimi: Donnarumma, Sirigu, Meret. E poi il più forte del mondo, Buffon».
Buffon è ancora il più forte al mondo?
«La categoria non importa. Gigi è una leggenda, infatti a 45 anni gioca ancora. Un campione infinito. Il mio mito d’infanzia. Se gioco in porta, è per lui».
Quindi non per il mitico Campos, il coloratissimo messicano che a metà anni 90 giocava anche da attaccante?
«Un grande portiere, un idolo per il mio pueblo, ma diverso. Gigi è Gigi».
Di lei dicono che è il migliore ogni 4 anni, perché ai Mondiali para tutto, ma nei club non ha avuto una carriera di primissima fascia.
«Il mio problema è stato uno solo: il passaporto. Fino a tre anni fa ero extracomunitario e difficilmente le grandi squadre prendono un extracomunitario in porta, preferiscono tenere il posto per un attaccante. Ma mi hanno sempre cercato».
Lei ha 3,4 milioni di followers, moltissimi. Si ritiene un personaggio cult?
«Se ho tutti quei followers è perché sono un bravo portiere, credo. Ho giocato in Messico, in Europa e ho disputato 5 Mondiali. Un po’ di visibilità me la sono guadagnata».
È vero che punta al sesto, che sarebbe il record l’assoluto? Nel 2026 avrà 41 anni. Obiettivo o sogno?
«Tutti e due. Mi sento in forma, voglio provarci. Si giocherà nel mio Messico, oltre che in Usa e Canada. Sarebbe un finale di carriera splendido».
E poi? Che farà una volta chiusa la carriera?
«Quello che ho già iniziato a fare, cioè l’imprenditore. All’università ho studiato Business Administration, ho dovuto smettere per il calcio, ma investimenti e management sono una mia passione. Campo immobiliare, diritti d’immagine, ristorazione: opero in diversi ambiti, diversifico, come è giusto».
I suoi tifosi dicono: il Messico ha già un muro, si chiama Ochoa. Uno sportivo ha il dovere di occuparsi pubblicamente di politica e di questioni sociali, oppure deve concentrarsi solo sul suo lavoro?
«Che tu lo voglia o no, se sei un personaggio pubblico è inevitabile che tu sia esposto. Ma credo che uno sportivo sia uno sportivo: i politici ci sono apposta».
In Qatar ha tenuto banco la questione dei diritti civili.
«Quando vai in un Paese che non è il tuo hai il dovere di rispettare le tradizioni. Non è lo straniero che arriva un mese per giocare a pallone che può o deve cambiare la cultura di un popolo».
Quando si parla del suo, di Paese, spesso ci si sofferma sulla violenza. Col rischio che poi non si veda tutto il resto.
«È come per l’Italia, no? Pizza, mafia. Il Messico per chi non lo conosce è tre cose: tequila, narcos, Cancun. Un po’ è colpa delle serie televisive, che mitizzano la violenza. Amo il Messico, per questo ho fatto anche da guida turistica per un programma tv: voglio mostrare che il mio Paese non è solo sparatorie. Siamo una terra piena di storia e di arte. Vicino a casa mia c’è il museo Frida Kahlo: stupendo».
È vero che ha sei dita?
«Ancora con questa storia! È uno scherzo, in Messico il 28 dicembre si festeggia una cosa che è come il vostro pesce d’aprile, sui giornali e in tv tutti scherzano e dicono cose non vere. Il mio segreto sono le sei dita? Magari. Sono solo cinque, ma ben allenate».