Corriere della Sera, 20 gennaio 2023
Ignazio La Russa non si pente di niente
«Una da conservare, l’altra da incorniciare», dice Ignazio La Russa indicando la prima pagina della Gazzetta dello Sport col titolone sulla sua «Super Inter» reduce dalla vittoria del derby di Supercoppa e la copia del Corriere della Sera col Caffè di Massimo Gramellini a lui dedicato, oggetti destinati a diventare cimeli di una giornata particolare, da cui la seconda carica dello Stato non si separa neanche quando deve raggiungere Montecitorio per il voto sul Csm.
Presidente, difficile dar torto a Gramellini. Lei è presidente del Senato ma sembra muoversi come un uomo di partito.
«Mi faccia fare una premessa. Quel corsivo nasce come una critica, e ci sta. Ma lo incornicerò lo stesso perché Gramellini mi riconosce una cosa che per me è un punto d’onore. L’essere rimasto me stesso senza mai rinnegare nulla e senza rinunciare a nulla».
Resta il tema della terzietà del presidente di una Camera, che stride con la vita quotidiana di partito. Non trova?
«Faccio io una domanda a lei. Vuole che inizi dal più recente andando indietro nel tempo o dal meno recente ai giorni nostri?».
Prego.
«Mi regolo da solo, facciamo in ordine sparso. Fanfani, Fini, Bertinotti, Grasso, Spadolini, Casini: tutte alte cariche dello Stato che, nel corso della loro presidenza della Camera o del Senato, hanno continuato a fare attività politica senza che nessuno sollevasse un mignolo. Fini e Grasso hanno addirittura fondato due partiti, Futuro e libertà e Leu. L’amica che mi ha preceduto alla guida del Senato, Alberti Casellati, ha partecipato a tutte le convention di Forza Italia, ad esempio a Napoli, durante il suo mandato. Potrei andare avanti per un bel po’, anche con foto alla mano».
Forse non tutti frequentavano la sede del loro partito con l’assiduità con cui lei va al quartier generale di FdI in via della Scrofa. O no?
«Non sono mai andato dentro gli uffici di FdI da quando sono presidente del Senato. Attenzione, non dico che sarebbe uno scandalo andarci. Dico però che non ci sono andato».
Che cosa risponde a chi le rimprovera scarsa terzietà?
«Semplicissimo. A differenza di alcuni miei predecessori sono a capo di un partito e non sto per fondarne uno. Di mia spontanea volontà non ho fatto né faccio interventi a particolare commento dell’operato del governo, dei suoi singoli provvedimenti, della legge di bilancio. Ho le mie idee sui temi di carattere generale, come per esempio la giustizia o l’immigrazione, ma cerco di tenermi a debita distanza dal commentare le scelte specifiche della maggioranza».
È intervenuto sullo stadio di San Siro, smentendo il vincolo annunciato dal sottosegretario Sgarbi.
«Ma quella è una vicenda che non riguarda il governo ma il comune di Milano, a cui spetta la decisione finale sullo stadio! Ho parlato da milanese, così come avevo già parlato col sindaco Sala esponendo la mia idea di costruire il nuovo stadio accanto a quello di San Siro. Comunque sia, per come sta procedendo la vicenda, glielo posso dare per certo: San Siro non sarà mai abbattuto. E poi, mi scusi: se qualche giornalista mi fa una domanda sul governo, se rispondo mi criticano, se non rispondo mi danno del maleducato».
A un giornalista che le chiedeva con quale sottopancia presentarla a un evento di FdI, lei ha risposto «Metti quel c... che vuoi».
«Ammetto di avere uno stile, come dire, poco paludato. E ammetto anche che questo stile è tra le cose che non sono cambiate con la presidenza del Senato. Quel giornalista, ma è un’opinione personale, mi ha tampinato in un modo poco elegante; e allo stesso modo, e questa non è un’opinione ma un fatto, ha inseguito anche qualche componente della mia famiglia. Detto questo, più che pentito, posso dire di essere dispiaciuto per aver usato quell’espressione».
Avrà uno stile più sobrio?
«Spero che altri optino per la verità, evitando di attribuirmi frasi che non dico mai. Mai detto “me ne frego”, per esempio, non è una frase che uso. Il punto vero è un altro. Anzi due. Il primo: io accetto critiche sul mio operato, sulle mie idee, pure su come presiedo l’Aula, anche se su questo nessuno ha mai messo in dubbio la mia imparzialità. Non accetto alcun tipo di critica, invece, su dove vado. E non mi arrendo davanti alle falsità».
L’altro punto?
«Perché su di me il mirino è sempre puntato mentre in passato nessuno sollevava obiezioni? All’inizio pensavo che gli bruciasse, scriva pure che rosicassero, perché uno di destra era arrivato alla presidenza del Senato. Ora penso che la faccenda abbia anche un’altra ragione».
E cioè?
«Io ho un obiettivo vero. Che, anche solo di un centimetro, durante la mia presidenza del Senato si riduca la contrapposizione ideologica tra destra e sinistra, e che si avvicini una reale pacificazione che concluda un interminabile Dopoguerra. Evidentemente a qualcuno della sinistra questa cosa non va giù».
Chi sente solidale nel suo obiettivo, dall’altra parte?
«Alla luce del sole Luciano Violante. In privato però sono tantissimi».
Ha risposto a Liliana Segre che non toglierebbe la fiamma dal simbolo di FdI. Conferma?
«Abbiamo tolto il rimando al Movimento sociale e lasciato solo la fiamma. Non c’è una sola ragione per togliere del tutto un simbolo che non ha rimandi al fascismo. Se lo togliessimo, poi ci chiederebbero una serie di altre cose: non fatevi foto di profilo, evitate i selfie, non mangiate con la forchetta...».
Dalla comunità ebraica in tanti chiedono a FdI di rinunciare a quel simbolo.
«A proposito dei rapporti con la comunità ebraica, questa mattina ho chiesto alla presidente Noemi Di Segni di partecipare alla commemorazione della Giornata della Memoria, che su mia proposta si terrà il 26 gennaio in Senato. Ha accettato».
Il 25 aprile dove sarà?
«Tranquilli, celebrerò la Festa della Liberazione dove decido io. L’ho già fatto da ministro al Monumento ai Partigiani al cimitero Maggiore di Milano. Non so ancora dove sarò questo 25 aprile ma so dove non sarò, in uno di quei cortei di piazza spesso teatro di contestazioni. E dove se pure andassi, tra le altre cose, qualcuno mi accuserebbe di essere un provocatore».