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 2023  gennaio 20 Venerdì calendario

Lunga intervista a Stefano Bonaccini

Bonaccini, qual è il suo primo ricordo?

«Il pallone. Fin da quando avevo due anni giocavo a pallone tutto il giorno. A cinque mi fermai».

Perché?

«Un problema al cuore: il foro di Botallo, che di solito si chiude alla nascita, era rimasto aperto. Mi regalarono una divisa da portiere. Ma io volevo giocare centravanti. Non capivo perché non potevo correre e sudare come gli altri. A nove anni fui operato, ad Ancona».

Come andò?

«Tre mesi d’ospedale. Adesso è un’operazione di routine, ma nel 1976 dovettero aprirmi lo sterno. Mia mamma Anna, emigrata in Svizzera, poi operaia in maglieria, lasciò tutto per stare al mio capezzale. Mio papà camionista, Guglielmo detto Ciccio, partiva la domenica mattina con il suo camion per venirmi a trovare. La sera tornava al paese, Campogalliano».

Ha poi ripreso a giocare a calcio?

«Fino a 38 anni. Centravanti. Sognavo di fare il professionista; ma mi sono fermato al Ganaceto. In compenso ho coltivato la passione per le figurine».

Panini?

«Ovviamente. Ho duecento album completi. Ogni primo gennaio, che è il mio compleanno, gli amici mi regalano un album nuovo. Alla presentazione del libro di Luigi Garlando sulle figurine Panini mi hanno fatto un test: dovevo riconoscere i calciatori, con il nome coperto. Tutti, dal 1970 in avanti. Non ne ho sbagliato uno».

Guardi che la prenderanno in giro, diranno che è matto...

«Semmai malato di calcio (Bonaccini ride). Con una buona memoria. Da bambino facevo i campionati da solo, giocando con le figurine...».

Lei iniziò a far politica a vent’anni nel Pci.

«Non posso e non voglio dire di non essere mai stato comunista. Sono stato un comunista emiliano. E non ho nulla di cui vergognarmi; anzi, ne sono orgoglioso».

Il mese scorso a Livorno si è fatto fotografare sotto la storica bandiera rossa. Lo sa, vero, che il comunismo è stato una tragedia?

«La nostra parte ne era consapevole da decenni. Quando Occhetto disse che dovevamo cambiare nome e simbolo, pensai: finalmente. E convinsi i miei genitori: anche loro consapevoli della necessità di cambiare, ma con qualche magone in più».

Erano comunisti anche loro?

«Militanti. Ma quando in tv vedevano Moro, Zaccagnini, Tina Anselmi, dicevano: “L’è na breva persauna”, è una brava persona. Il comunismo sovietico ha distrutto la libertà. Lasciatemi però ricordare che i comunisti italiani hanno contribuito a liberare il Paese. E a fare dell’Emilia una Regione tra le più ricche d’Europa, mentre nel ’46 era tra le più povere d’Italia».

Togliatti diceva che gli emiliani sono bravi ad amministrare, non a fare politica.

«Ma l’unico uomo di centrosinistra che ha battuto Berlusconi è Romano Prodi».

Qual è il suo primo ricordo pubblico?

«In casa si parlava di piazza Fontana, dell’Italicus. Ma il vero choc fu il 2 agosto 1980. Stavo guardando la sintesi dell’Olimpiade di Mosca, arrivò la notizia: è esplosa una caldaia alla stazione di Bologna. D’istinto pensai: come fa una caldaia a esplodere d’estate? Da allora non ho mai perso un corteo del 2 agosto, per ricordare la strage fascista».

Lei sa che la sentenza di condanna è molto contestata.

«Per me fa fede la lapide. Come dice Paolo Bolognesi, il presidente dell’associazione delle vittime, sulla lapide è scolpita la sentenza: la strage fu opera di fascisti, con la collaborazione di servizi segreti deviati».

Oggi c’è un pericolo fascista in Italia?

«No. Giorgia Meloni non è fascista. Semmai il pericolo è un sovranismo amico di Paesi che hanno torsioni autoritarie, come l’Ungheria. E l’assalto a Capitol Hill, come quello di Brasilia, è stato tecnicamente fascista. Purtroppo la destra italiana ha avuto simpatia per Trump e Bolsonaro».

Che cosa pensa della Meloni?

«Una che ha fatto la gavetta. Per lei è stata particolarmente dura, perché è una donna, e la politica italiana è molto maschilista. Se vincerò le primarie, le chiederò un incontro».

Per dirle cosa?

«Non certo per discutere del bilancio. Per dirle che la considererò sempre un’avversaria, mai una nemica. Ci troveremo contro molte volte. Ma se c’è da accogliere i migranti, noi ci siamo: a Natale qui in Emilia-Romagna ne sono arrivati 130 salvati in mare, non dimenticherò mai i loro occhi; nessuno deve morire annegato. E se ci sarà da votare un provvedimento del governo che condividiamo, nell’interesse nazionale lo faremo».

Si comincia così e si finisce con il governo istituzionale.

«No. In questa legislatura staremo dove ci hanno collocati gli elettori: all’opposizione. Al governo andremo solo se vinceremo le prossime elezioni».

E della Schlein cosa pensa?

«L’amicizia e l’affetto non verranno mai meno. Se toccherà a me, la coinvolgerò nella segreteria. Se toccherà a lei, mi metterò a sua disposizione».

Franceschini appoggia Elly.

«Dario ne ha pieno diritto».

Ma lei non voleva smantellare le correnti?

«Le correnti del Pd sono troppo cristallizzate. Così non servono a discutere, ma a dividersi».

Conferma che alle prossime elezioni i vari leader dovranno candidarsi nei collegi?

«Certo. E, se come temo la destra non cambierà la legge elettorale, le liste usciranno dalle primarie, non dalla segreteria».

Prima dovete fare le primarie del 26 febbraio. Quanta gente andrà a votare?

«Tanta. Ci scommetto. Siamo l’unico partito a farle. La sinistra in Italia esiste ancora. Ha voglia di riscatto. E lo dimostrerà».

Intanto il Pd è al 14% nei sondaggi. Non rischia la scomparsa?

«Peggio. Rischia l’irrilevanza. Io sono per tornare alla vocazione maggioritaria. Che non significa non fare alleanze, che sono necessarie. Significa non delegare nulla a nessuno. Non delego i voti di sinistra ai 5 Stelle, né i voti moderati al Terzo polo. Vogliamo andare a prenderceli noi. E anche a prenderli a destra».

Conte evoca Berlinguer, parla della «nostra storia».

«Se Conte è così di sinistra, non si presenterà più alle elezioni da solo; perché così diventa il migliore alleato della destra».

Reddito di cittadinanza?

«Non va abolito, va cambiato. Emiliano in Puglia e io in Emilia-Romagna fummo i primi a creare il reddito di solidarietà. Ma chi lo riceve deve essere accompagnato al lavoro. Oggi in Italia c’è una grande questione: il potere d’acquisto. Basta parlare di cuneo fiscale».

Perché?

«Perché la gente al bar pensa che sia una tassa per una città piemontese. E noi dobbiamo studiare Gramsci, Gobetti, Dossetti, Bobbio, i nostri padri nobili, e nello stesso tempo dobbiamo saper parlare come la gente al bar. Parliamo del taglio delle imposte sul lavoro. L’imprenditore stabilizza un precario? Lo Stato lo fa risparmiare».

Autonomia?

«Sì, però non quella di Calderoli. Non si devono spostare soldi da una Regione all’altra, ma consentire a ognuna di programmare gli investimenti e tagliare la burocrazia».

Lei alle primarie del 2012 sostenne Bersani, e nel 2013 Renzi.

«Pierluigi ha sempre la mia stima e il mio affetto. Renzi fu sostenuto dalla grande maggioranza degli elettori e dei dirigenti del Pd. Poi fu lui ad andarsene».

Renzi la definì il Bruce Willis di Campogalliano.

«Ero già pelato, ma non avevo ancora la barba...».

Si è parlato molto del suo cambiamento di look. A cos’è dovuto?

«Sempre al cuore. Ebbi un malore. Dovevo perdere peso, e l’ho fatto: dieci chili in tre mesi».

E i famosi occhiali a goccia?

«Li scelse mia moglie Sandra. Pensi che sui social mi hanno attaccato per le foto con due ragazze. Erano le mie figlie, Maria Vittoria e Virginia».

Chi è davvero Bonaccini?

«Uno che non si deprime e non si esalta. Ligabue direbbe una vita da mediano. La prima elezione a presidente fu mesta: mi indagarono nell’inchiesta spese pazze, fui prosciolto; vinsi, ma votarono in pochi. La seconda elezione fu una battaglia straordinaria: votò quasi il 70%, ebbi la maggioranza assoluta».

Salvini era al massimo storico.

«Tutti i sondaggi mi davano battuto. Ero presidente dell’associazione che riunisce centomila enti locali europei, potevo farmi eleggere a Bruxelles. Invece ho cominciato a girare i 330 comuni dell’Emilia-Romagna. Di ognuno so dire il nome, il numero degli abitanti, il nome del sindaco...».

Come le figurine Panini.

«È una Regione meravigliosa. Pensi solo alla musica: Verdi e Toscanini, e poi Pavarotti, Vasco, Dalla, Morandi, Bertoli, Zucchero, Carboni, Curreri, Mingardi, Nek, Casadei, Pausini, Milva, Iva Zanicchi, Orietta Berti che è testimonial dei nostri prodotti alimentari, Cremonini, Guccini. E i Nomadi. Fondati nel 1963. Ora celebreremo il sessantesimo anniversario...».

Oltre ai Nomadi, lei vorrebbe nel Pd D’Alema e Bersani?

«Voglio un Pd aperto e plurale; ma penso prima agli elettori che a singoli politici. Quello che ho in testa sarà un partito dalla forte impronta riformista. Di sinistra, ma non ideologico, né massimalista. Che sappia far sognare, e tradurre gli ideali in realtà».

Un nome?

«Prima di tutto le persone che si sono allontanate dal Pd. Poi: Liliana Segre, la più autentica testimonianza per le nuove generazioni della differenza tra il bene e il male. E Federico Buffa, per parlare un po’ di calcio».