la Repubblica, 20 gennaio 2023
I massoni nell’orbita di Messina Denaro
Dunque: massone era il medico che gli aveva consentito di curarsi, facendolo passare per il suo avatar, Andrea Bonafede. Massone, o comunque socio di massoni, era il signore che gli prestava quello che secondo gli investigatori era diventato il suo bunker: una stanza due metri per tre, piena di gioielli, dove nascondersi quando l’aria era amara (ed era un nascondiglio perfetto se è vero, com’è vero, che c’era stato anche un blitz in quella casa e nessuno si era accolto del bunker).
Massoni sarebbero almeno due dei medici che lo hanno tenuto in cura in questi anni di malattia, tra il cancro e un problema agli occhi. Massoni, o comunque grandi amici, sono altri che avrebbero potuto offrirgli appoggi lunghi o temporanei come per esempio una straordinaria dependance vicino al mare pagata dal Cnr che, come aveva sintetizzato Report nel titolo di un bel servizio, era la casa dei ricercatori. Ma forse anche dei ricercati.
Alla domanda su come abbia fatto Messina Denaro a nascondersi per trent’anni, c i sono diverse risposte: perché se è vero che persino un sottosegretario agli Interni, Antonio D’Alì (Forza Italia) è addirittura agli arresti con l’accusa di favoreggiamento, è altrettanto vero che ad aiutarlo c’è stata quella “borghesia mafiosa”, le parole sono del procuratore di Palermo, Maurizio de Lucia, che ha offerto supporto al padrino.
La risposta è in alcuni numeri e nelle parole della commissione antimafia. Oltre, chiaramente, a Castelvetrano, il più grande covo d’Italia. Nella sola provincia di Trapani le logge ufficiali sono 16. Almeno dieci delle quali, secondo il censimento della commissione antimafia del 2017, presieduta da Rosy Bindi, proprio a Castelvetrano. A cui non a caso viene dedicato il primo capitolo della relazione. «L’attuale capo della mafia – scrivono i membri della commissione - il latitante Matteo Messina Denaro, da almeno un ventennio gestisce l’associazione mafiosa e il suo rapportarsi con il territorio secondo regole solidaristiche volte all’acquisizione del consenso degli associati e della società civile. L’imprenditoria, ad esempio, non è vessata dall’imposizione del pizzo ma riceve l’aiuto economico e il sostegno mafioso offrendo in cambio la titolarità di quote delle imprese».
In questo quadro registrano «un’elevata presenza di iscritti alla massoneria tra gli assessori (quattro su cinque), tra i consiglieri (sette su trenta), tra i dirigenti e i dipendenti comunali. Anzi, la stessa prefettura di Trapani segnalava che gli elenchi ufficiali apparivano incompleti per difetto e, pertanto, non era possibile ottenere una descrizione d’insieme del fenomeno». Dunque: un comune di 29mila abitanti, il boss dei boss in fuga e la più alta concentrazione di logge massoniche d’Italia.
Non c’è da sorprendersi, quindi, nello scoprire che il vecchio medico condotto del paese, Alfonso Tumbarello (ora sospeso dalla loggia) fosse massone. Quel Tumbarello, per questo indagato, che incredibilmente non si è accorto che Andrea Bonafede, suo paziente, che conosceva da sempre, non fosse in realtà quel malato oncologico a cui aveva prescritto le cure. Perchè il paziente era invece Matteo Messina Denaro. Non se ne sono accorti nemmeno i due medici che hanno visitato privatamente il boss, anch’essi con collegamenti con le logge. Non si è reso conto che frequentava casa sua – come hanno invece raccontato alcuni testimoni – Enrico Risalvato, il proprietario di quello che sarebbe il secondo covo di Messina Denaro.
Risalvato nel 2001 era stato assoluto dall’accusa di mafia a differenza del fratello Giovanni, condannato a 14 anni e ora libero. Enrico Risalvato era socio di un noto medico massone di Castelvetrano, Claudio Renato Germilli, finito in un’inchiesta diReport di qualche anno fa. Fermilli era proprietario di un immobile a Capo Granitola, affittato al Cnr, il Centro nazionale di ricerca. Un luogo– inspiegabilmente presidiato da guardie giurate armate - dove alcuni testimoni avevano giurato di aver visto proprio Matteo Messina Denaro.
Germilli si era chiaramente detto estraneo a tutto (querelando Reportma perdendo la causa) e quella storia si era un po’ persa nel mare di Capo Granitola per poi però, inevitabilmente, riemergere in queste ore. Quando per esempio si è tornato a parlare anche dell’ex sindaco di Castelvetrano, Antonio Vaccarino. Morto due anni fa, aveva a lungo intrattenuto (per conto dei Servizi) una corrispondenza con Messina Denaro, firmandosi Svetonio, per aiutare a catturarlo.
Poi è stato arrestato per favoreggiamento. In un elenco trovato alla Regione siciliana – come racconta in un bel libro Marco Bova, Matteo Messina Denaro, latitante di Stato (Ponte alle Grazie) – con i nomi dei massoni di Castelvetrano c’era quello di suo figlio, accanto a quello di Giovanni Lo Sciuto, ex consigliere regionale e vicepresidente dell’Ars quando governava Totò Cuffaro, sotto processo con l’accusa di aver creato una loggia segreta. Lo Sciuto dice di essere amico di infanzia di Messina Denaro. In un’intercettazione racconta di un vecchio incontro con il boss: «Mi ha detto, Giovà io faccio una strada, tu fai una strada, statti lontano ». Ma, in alcuni luoghi, le linee sono fatte per reincontrarsi. Prima o poi.