Corriere della Sera, 20 gennaio 2023
Il diario di guerra di Gadda
Il Giornale di guerra e di prigionia di Carlo Emilio Gadda è un documento straordinario per diversi aspetti, in primo luogo perché, a differenza di tante testimonianze di scrittori che narrano dall’interno la Grande Guerra, raccoglie senza aggiustamenti o infingimenti letterari i diari che il giovane sottotenente e poi tenente degli alpini scrisse di getto: dal 24 agosto 1915, due mesi dopo l’inizio della sua milizia a Parma, fino alla disfatta di Caporetto, all’umiliante prigionia in Germania (dal 25 ottobre 1917) e al rimpatrio nel dicembre 1919, quando, dopo 51 mesi, smette la sua «cara divisa di alpino». Scrive Gadda: «Tutto questo diario potrà parermi o parere ad altri melodrammatico ed è, purtroppo, soltanto vero».
Si tratta del primo avvicinamento di Gadda alla scrittura: non però di una prova preliminare della sua narrativa ma di un’opera in sé autonoma, pullulante di indignazione verso gli orrori e le irresponsabilità dei superiori; ribollente delle «bestemmie» che «nei momenti di nevrastenia e di demenza» gli sfuggono «orribili, atroci, infami» per sua stessa ammissione. Una prosa accesa da quintali di rabbia convulsa, che diventa a momenti «volontà omicida», contro l’inciviltà della popolazione, l’indisciplina dei «luridi compatrioti» sempre pronti al brontolamento e alla frode: «Io mi auguro che possano (i frodatori dell’erario) morir tisici, o di fame, o che vedano i loro figli scannati a colpi di scure...». Un furore acuito dal fervido patriottismo interventista colmo di aneliti eroici e invece rimasto amaramente deluso dallo sfascio e dal ciarpame generale.
Ora il libro viene riproposto da Adelphi, a cura di Paola Italia, in edizione notevolmente accresciuta rispetto alle precedenti, grazie all’imprevista scoperta, nel giugno 2019, di sei taccuini sconosciuti messi all’asta da Finarte e acquisiti dalla Biblioteca Nazionale di Roma. I preziosi materiali finora inediti erano detenuti da Sandra e Giorgio Bonsanti, figli di Alessandro Bonsanti, che fu scrittore, direttore del Gabinetto Vieusseux di Firenze, amico fraterno dell’Ingegnere, nonché suo editore come responsabile di riviste importanti.
A oltre tre anni dalla loro riemersione, anzi emersione a scoppio ritardato, rimane una domanda senza risposta: perché quei quaderni, che facevano parte del materiale gaddiano sulla Grande Guerra, sono rimasti sepolti per tanti decenni? È un mistero che non si spiega se si pensa che il corpus, affidato con gran parte dell’archivio dall’autore allo stesso Bonsanti, è stato studiato ampiamente e pubblicato dal gaddista massimo Dante Isella nell’opera omnia di Garzanti. Prima di arrivare a quella edizione, ricostruita con scrupolo filologico e ritenuta ragionevolmente definitiva, il libro uscì per Sansoni nel 1955 e per Einaudi nel 1965 in forma accresciuta, visto che ai tre quaderni della prima edizione veniva anteposto il cosiddetto Giornale di campagna. In un volume a sé uscì, nel 1991 presso Garzanti, il bellissimo e drammatico Taccuino di Caporetto, con il diario che va dall’ottobre 1917 all’aprile 1918.
Isella mise insieme le varie parti (in totale cinque quaderni) e restaurò le censure che l’Ingegnere aveva imposto ai precedenti editori in seguito alle autentiche paranoie che lo assediavano (la preoccupazione di offendere, per motivi per lo più innocui o inesistenti, le persone citate, amici, vecchi compagni di guerra e ufficiali dell’epoca, familiari). L’arco cronologico che dal 24 agosto portava al 31 dicembre 1919 aveva dei buchi. Il primo fu riconosciuto dallo stesso Gadda, che durante la concitata fuga in ritirata notturna dal monte Krasij abbandonò, con altri oggetti personali, il diario che copriva un intero anno, cruciale, dal novembre 1916 all’ottobre 1917. Un altro vuoto si estendeva dall’inizio di novembre al 18 dicembre 1918, dopo l’armistizio e prima del rientro in patria. Ed è una delle lacune che adesso, con altre relative al maggio-giugno 1916, vengono colmate dai taccuini inediti. Ma la domanda rimane: perché Isella fu tenuto all’oscuro di quei materiali che non contengono particolari scabrosi tali da giustificare postume cautele morali? Eleonora Cardinale, archivista della Biblioteca Nazionale, ne fa una descrizione puntuale alla fine del volume. Volume a cui affiancare idealmente le lettere familiari raccolte ne La guerra di Gadda (Adelphi, 2021).
Fatto sta che il libro, così come lo intendeva l’autore affidandolo alle stampe non senza pentimenti, rinvii, veti e cassature, doveva configurarsi come la «scrupolosamente veridica» testimonianza buttata giù currenti calamo da un «povero soldato italiano pieno di manchevolezze come uomo, pieno di amarezza per motivi intimi, familiari, patriottici, etnici, ma forse non pessimo come soldato». Le parti «nuove», che occupano ben 75 pagine di questa nuova edizione, danno ancora più forza a un’opera già eccezionale sul piano emotivo ed espressivo, ritenuta un caposaldo della letteratura di guerra anche come documento storico. Vediamo entrare in scena il soldato Gadda a Edolo, destinato al 5° Reggimento Alpini, e a Ponte di Legno fino al gennaio 1916, lo seguiamo nell’addestramento a Torino, poi a Vicenza nelle trincee dell’Altopiano dei Sette Comuni, sul monte Zovetto, a Cesana, a Campiello e in val d’Assa. Rimasti vuoti i mesi del diario perduto a Caporetto, Gadda ricomincia a scrivere, una volta fatto prigioniero, nel lager di Celle: è in un quaderno acquistato nella Kantine di quel Block C che registra la vita nella «baracca dei poeti» dal maggio all’inizio di novembre 1918. In quei mesi Gadda si dedica a «un’attività letteraria sotterranea, ma non marginale», come si legge nella Nota al Testo, che è un racconto dettagliato della storia delle tormentate e sudatissime (se non sanguinose) carte e del libro nelle sue plurime metamorfosi. L’esercizio di scrittura clandestina comprende il progetto di un romanzo (Retica), il racconto Passeggiata autunnale e le traduzioni delle poesie di Heinrich Heine. I diari inediti comprendono un esile quadernino blu, delle Note Autobiografiche, due taccuini intitolati Vita notata. Storia e un altro, parallelo, intitolato Pensiero notato. Espressione, presto interrotto. Come spiega Italia, Storia ed Espressione sono le due anime che avevano alimentato fin lì la scrittura diaristica di Gadda e che adesso, dal giorno del suo venticinquesimo compleanno (14 novembre 1918) dovrebbero trovare voci diverse e separate (quella testimoniale e quella riflessiva), ma è un proposito che dura poco, perché le due vocazioni avanzeranno inestricabili. Il nuovo inizio si pone sotto il segno di Dante. Ed è proprio la filigrana dantesca ad affiorare di continuo: per esempio, quando il detenuto evoca il «fiero pasto» di Ugolino, così come Primo Levi ad Auschwitz ricorderà il canto di Ulisse.
Le pagine finora ignote non deluderanno i lettori che già conoscono le edizioni precedenti del Giornale. Basti aprire a caso e leggere, per esempio, certi passi del 3 dicembre 1918 che registrano la quotidianità nella Baracca 15 di Cellelager, nella nebbia e sotto una pioggia grassa, in una condizione di «incertezza, grigiore, bestialità, istupidimento». Una scrittura elencativa e nervosa: «Suono di pentolini e cerchî di ferro sulla cucina. Carta e bagnato per terra, polvere, chiacchierio sui letti, scarsa luce. Nei quattro giorni passati non si ebbe veramente di notevole che la certezza della ritardata partenza e la conseguente delusione (...). I tedeschi lurchi e affamati, conoscendo bene i nostri lati deboli, che sono il buon cuore e la credulità fantasiosa, ne approfittano sempre che possano». La speranza di tornare in patria, annota il prigioniero, altro non è che «una secrezione ottimistica dell’imbecillità». E prosegue: «Tutte queste incertezze fanno sì ch’io mi senta nel profondo un nervosismo maledetto, che cerco di medicare, almeno superficialmente, con l’ozio e con la brutale stupidità. Questo torpore asinesco e grigio è rotto a ora a ora da bestemmie senza forza, come il silenzio afoso d’una brutta campagna dai coccodè malati di una gallina isterica».
Il Giornale, scrive Paola Italia, registra «i crudi fatti e l’onda dei ricordi che sommerge il prigioniero». Tra i fatti meno crudi c’è la possibilità di leggere, perché se un atto di resistenza è la scrittura, lo è anche la lettura. Per esempio, stupisce un po’ quel Re della Camera Oscura di Tagore che girava di mano in mano nella «baracca dei poeti», dove Gadda dimorava con l’amico Bonaventura Tecchi e con il poeta Ugo Betti che gli legge le sue poesie, leggendo a sua volta gli scritti di Carlo Emilio, abbattuto nel confronto con la «sicurezza vittoriosa» del compagno di detenzione.
Il culmine del diario lo troviamo però sempre nell’ultima tranche, quando accompagniamo il povero Gadda sulla tradotta, nel «lugubre viaggio» che lo riporta a casa pieno di tristi presentimenti. Il 14 gennaio 1919, di ritorno a Milano, viene accolto dalla madre e dalla sorella con la notizia della morte del fratello Enrico, che era stato vittima di un tragico incidente, il 23 aprile 1918, pilotando un biplano: «Mamma, mamma; e Clara. Erano a letto; vennero ad aprirmi ci abbracciamo tanto! Poi seguo la mamma, che s’è rimessa a letto, l’abbraccio nuovamente. “Ed Enrico dov’è, come sta Enrico?” Mi risponde piangendo la mamma: “Enrico è andato di quà, di là…” La tragica orribile vita. Non voglio più scrivere (...) speriamo che passi presto tutta la vita (...) – È troppo, è troppo».