1. GIUSEPPINA GIULIANO, LA PENDOLARE NAPOLI-MILANO: ORA SPERO DI TROVARE CASA, 19 gennaio 2023
SE LA STORIA DELLA BIDELLA PENDOLARE DI NAPOLI, CHE OGNI GIORNO FA 1600 KM PER RAGGIUNGERE MILANO E GUADAGNARE UNA MISERIA, FOSSE TOTALMENTE VERA NON SAREBBE UN MODELLO DA ESALTARE – FARNE L'EROINA DA CONTRAPPORRE AGLI "SCANSAFATICHE" DEL REDDITO DI CITTADINANZA E' UNA STRONZATA PERCHE' LA STORIA DELLA 29ENNE GIUSEPPINA GIUGLIANO CONTIENE UN "MODELLO" DI DEDIZIONE AL LAVORO CHE E' DANNOSO FISICAMENTE E NON GRATIFICANTE ECONOMICAMENTE (VISTO CHE SI PARLA DI UNO STIPENDIO DA 1100 EURO A CUI VANNO SOTTRATTI 400 EURO DI ABBONAMENTO AL TRENO) - PERCHÉ I GIORNALI ESALTANO STORIE CON MODELLI DISTORTI DI LAVORO E IDEE MOLTO PARACULE DI "SACRIFICIO"?
Estratto dell’articolo di Violetta Fortunati per www.ilgiorno.it "[…] Sono veramente commossa e devo ammettere che sono anche un po’ sotto choc perché non mi è mai successo in vita mia di avere tutta questa visibilità. Io sono una ragazza semplice, alla mano, non ho mai chiesto niente a nessuno e questo clamore nei miei confronti mi lascia veramente senza parole. Sono al settimo cielo per la felicità", racconta Giuseppina la pendolare che tutti i giorni da Napoli viene a lavorare a Milano e la sera torna in Campania.
"È da stamattina ( ieri per chi legge, ndr) che […] mi contattano tv che mi vogliono invitare in trasmissione per raccontare la mia storia, e anche da gente comune che mi ha voluto esprimere solidarietà. Sono arrivate già chiamate di milanesi che vogliono offrirmi casa a un prezzo calmierato. Io sono incredula, non mi sembra vero, è come vivere in un sogno perché non mi sarei mai aspettata tutta questa solidarietà. […]".
Poi, sui social, c’è anche qualcuno che le ha scritto: ‘Ma chi te lo fa fare? Goditi la vita, non vale la pena sacrificarsi così per il lavoro. Cerca altro nella tua città. "Ma io devo dire – ribatte Giuseppina – che il mio lavoro non mi pesa e neanche gli spostamenti in treno, anche se a causa di tutti questi viaggi mi sono ammalata perché sin da piccola soffro di problemi ai polmoni.
Sono determinata ad andare avanti e soddisfatta per il fatto che riesco a mettere da parte soldi col mio stipendio. Certo, il prezzo da pagare è caro a livello di comodità perché mi rendo conto che non è da tutti fare la vita che sto facendo io..." […] "Ad alcuni potrebbe anche sembrare anche una follia. Ma a me va bene così […]”
2. NO, LA STORIA DELLA ‘BIDELLA PENDOLARE’ NON È UN ESEMPIO PER NESSUNO Estratto dell’articolo di Giuseppe Luca Scaffidi per www.rollingstone.it
Neanche il tempo di riprendersi dall’epopea lynchiana del rider disposto a pedalare (con grande soddisfazione) per cinquanta chilometri pur di consegnare un panino che, come per magia, ci ritroviamo immersi in un’altra storia di ordinaria miseria.
Ci riferiamo, ovviamente, all’ormai celebre caso della “bidella pendolare”, rilanciata senza soluzione di continuità da diversi quotidiani.
[...] Ovviamente, c’è già chi sta mettendo in dubbio la veridicità dei fatti, ad esempio facendo notare che una scelta del genere potrebbe rivelarsi non così economicamente vantaggiosa.
C’è anche chi ha dichiarato di essersi messo in contatto con il personale della scuola in cui Giugliano lavora – il Boccioni di Milano – e di aver scoperto che la nostra eroina 2.0 avrebbe compiuto il viaggio della speranza soltanto in due occasioni, per poi decidere di mettersi in congedo straordinario retribuito – beninteso: è tutto da verificare, ma è un ritornello che conosciamo.
E però, d’accordissimo, posizioniamoci nel microcosmo del verosimile e facciamo finta che questa storia sia credibile, prendiamo per vera l’ipotesi che una ragazza di 29 anni abbia deciso, consciamente, di percorrere 800 chilometri al giorno per assicurarsi poco più di mille euro al mese: cosa ci sarebbe di edificante?
[…] trattare come un esempio da imitare, magari addirittura un esempio virtuoso, chi è disposto a sacrificare la propria quotidianità, mortificando […] la propria salute […] sull’altare di poche centinaia di euro al mese, non è soltanto un errore, ma un atteggiamento potenzialmente pericoloso.
Significa non avere contezza di che cosa voglia dire poter contare su una qualità di vita accettabile, significa glorificare il dogma della sopravvivenza a ogni costo a discapito del benessere, vuol dire normalizzare una situazione di indigenza estrema perché, ehi, bisogna darsi da fare, poco importa se la vita che conduco fa schifo. La celebrazione definitiva del vivere male.
Non è la solita narrazione che contrappone stakanovisti radicali e “popolo del divano”, no: è molto di più. È una glorificazione che compendia tutti i tic e i malcostumi del nostro Paese: l’accettazione passiva della precarietà, la glorificazione provincialissima e dal retrogusto primo–repubblicano del “posto fisso” come panacea di ogni male, al contempo mito e superstizione italiana per definizione […] Per questi motivi, qualora la storia della bidella repubblicana fosse vera, be’, avremmo soltanto la conferma di essere arrivati al capolinea: altro che esempio, sarebbe un incubo.
3. GIUSEPPINA LA PENDOLARE È PIÙ PERICOLOSA DEI TRAPPER: PERCHÉ L’INFORMAZIONE ESALTA QUESTO MODELLO? Estratto dell'articolo di Michele Monina per www.mowmag.com
[...] Non può essere solo una faccenda di inaccuratezza, magari dovuta a questa nuova consuetudine di pagare quasi zero i novellini, quella la possiamo vedere sui siti internet, quando viene pubblicata la foto di Anthony Hopkins che interpreta Ratzinger il giorno in cui Ratzinger muore, o quando ci sono errori marchiani che una semplice correzione di bozze dovrebbe fermare ai blocchi, non certo su pezzi che sono destinati comunque a diventare oggetto di discussione, tanto più se destinati all’edicola.
Quindi, mi dico, non può che essere una precisa scelta editoriale, e una precisa scelta editoriale che veicoli una notizia palesemente falsa non può che avere un secondo fine, nello specifico, immagino, quello di fare propaganda, cioè esattamente l’opposto di quella che dovrebbe essere la mission di chi si è votato alla cronaca.
Perché non è ipotizzabile anche volendo che qualcuno abbia davvero creduto alla faccenda di Giuseppina, la bidella pendolare di Napoli, così ci è stata raccontata, parole loro, ventottenne che, ottenuto un posto di lavoro a Milano come operatrice scolastica, constatato che la vita nella metropoli lombarda è troppo cara ha optato per fare la pendolare, alzandosi tutti i giorni alle 4 per andare a lavorare su al nord, in treno, e poi ritornarsene nottetempo a casa, pronti via, di nuovo, ogni giorno.
Una storia farlocca, a partire dalle foto che l’hanno accompagnata, una bidella che ha un abbonamento Trenitalia che costa quanto se non di più lo stipendio di 1100 e rotti euro al mese, le nove ore di treno, senza contare sugli scioperi, per entrare al lavoro alle 10, beata lei, che però si fa fotografare su Italo, e che comunque rivendica un attaccamento a un lavoro che sommato alle ore di spostamento occupa militarmente circa diciotto ore al giorno, roba che neanche uno degli orfanelli di Dickens.
Tutto finto, è chiaro, condiviso però dai principali quotidiani nazionali, con un’enfasi che, questo il punto, lascia basiti, se non addirittura spiazzati. Perché, era già successo con la storiella dell’ex commercialista che ora farebbe il rider, felice e contento, la stampa nazionale sembrerebbe molto propensa a veicolare un messaggio alla nazione piuttosto chiaro, e stucchevole: lavora e crepa, senza più neanche consumare, manca il tempo per farlo, con un attaccamento al posto di lavoro fisso, e statale, che neanche la generazione dei boomers, quelli veri, nati sul volgere della seconda guerra mondiale.
Fermiamoci un attimo. Stare attaccati con le unghie e i denti a un lavoro che ci brucia tutta la vita, nove ore di viaggio giornaliere sommate alle ore passate al lavoro, per uno stipendio così basso che non ti permetterebbe neanche di prendere una stanza nell’hinterland, fatto poi tutto da verificare, non è qualcosa di eroico, da sottolineare con enfasi, quanto piuttosto un gesto folle, autolesionista, a prescindere di quale sia l’origine di questa Giuseppina, la sua situazione familiare (vive coi genitori e i nonni, dice).
Qualcosa che dovrebbe essere vista con allarme, fosse vera, non con orgoglio, che dovrebbe essere risolta affidando Giuseppina a degli specialisti, perché questa forma di stakanovismo rasenta, anzi, supera indubbiamente, la sottomissione masochista, tendenza che, in genere, si tienenascosta nelle stanze da letto, non si ostenta in prima pagina sui quotidiani nazionali.
Quotidiani nazionali che, è evidente, cavalcano una notizia palesemente falsa non per viralizzarsi e provare a sopravvivere a una emorragia di lettori che non sembra avere fine, quanto piuttosto per farsi velina di indottrinamento allo stare zitti e buoni con l’obolo di stato che un tempo avrebbe accese non metaforiche micce.
Lasciamo da parte Giuseppina [...] e pensiamo ai trapper. Li abbiamo giustamente guardati con allarme per i messaggi che veicolano attraverso un genere molto amato dai più piccoli. Una vita criminosa che affascina, certo, come è sempre avvenuto, Ian Solo era decisamente più cool di Luke Skywalker, per dire, come Lucignolo era più figo di Pinocchio, e mi fermo qui ma l’elenco potrebbe essere infinito, che affascina tanto più perché real, reale, non certo finta come quella dei rapper della generazione precedente, che ci parlava di vita di strada da comodi appartamenti di duecento metri quadri vista sul Castello.
Ci siamo detti, genitori preoccupati, che non era corretto lasciare che quelle canzoni e soprattutto quegli artisti influenzassero negativamente le nuove generazioni col loro nichilismo, le pistole, la droga, il sesso visto a senso unico, quindi l’oggettificazione della donna, almeno nel linguaggio, linguaggio che però, è successo a tutte le generazioni da che esiste la musica leggera, forma poi il nostro vocabolario, contribuisce a costruire il nostro lessico anche morale.
[...] Temo che il messaggio di Giuseppina sia assai più pericoloso che quello che passa per le canzoni trap, perché non mette sul tavolo nessuna denuncia di una assenza dello stato, vero punto della questione, ma anzi guarda a un obolo irrazionale come un posto fisso a uno stipendio inadeguato con la gratitudine del bastardino cui stiamo dando una polpetta avvelenata.
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