Estratto dell'articolo di Gianmarco Aimi per rollingstone.it, 19 gennaio 2023
"MI ACCUSANO DI NON AVER DETTO LA VERITÀ SULLA MORTE DI PASOLINI? STUPIDAGGINI, ADESSO TIRANO FUORI LE PELLICOLE RUBATE, PERSINO LA BANDA DELLA MAGLIANA. MA CHE CAZZO DICONO?" – NINETTO DAVOLI PARLA DI QUELLA “SERATA SBAGLIATA” E RICORDA L’ULTIMA FRASE CHE GLI DISSE IL POETA A CENA - SUI GIORNALI MI DESCRIVEVANO COME IL “GORILLA” DI PASOLINI. MA C’HO AVUTO DEI BATTIBECCHI ANCHE CON LUI. AD ESEMPIO QUANDO SCRISSE QUELL’ARTICOLO IN DIFESA DEI POLIZIOTTI. PER ME ERANO DEI FIJI DE ‘NA MIGNOTTA" – LA BORDATA AL REGISTA DAVIDE GRIECO - VIDEO -
(...) Ninetto Davoli, 74 anni, è rimasto quello di sempre, che stregò Pier Paolo Pasolini – e viceversa – sulla collinetta dell’Acqua Santa e che ora mi trovo di fronte con la stessa verve romanesca
(...) Con noi Ninetto ha accettato di parlare, ripercorrendo quell’epoca di difficoltà, ma anche di grande creatività, senza risparmiarsi su nulla: neppure su quella che ha sempre definito «una serata sbagliata». E cioè le tragiche e in parte misteriose ore che portarono alla morte di Pasolini il 2 novembre 1975 all’Idroscalo di Ostia. E ha risposto anche a chi lo accusa di non aver detto la verità e di nascondere un segreto che potrebbe riaprire le indagini. Non solo, ci ha rivelato una frase che Pasolini gli disse a cena prima di morire e ancora lo tormenta: “Ninè, arrivando qui a piedi non avevo il coraggio di guardare in faccia la gente…”.
(..) Eri un “ragazzo di vita”? Ma nooo, non lo ero. Lì mi sono formato e a 16 anni, come succedeva spesso, andavo in giro con gli amici per le borgate. Un giorno arriviamo dove i romani fanno i picnic, all’Acqua Santa. A un certo punto su una montagnola vediamo della gente tutta assieme e andiamo a guardare. Sai chi c’era?
Pier Paolo Pasolini. Bravooo! Che girava La ricotta. C’è mancato poco che ci mandassero via, perché eravamo ragazzini e rompevamo i coglioni, come si fa a quell’età. Guarda caso mio fratello costruiva le scenografie del cinema (e anche per quel set) e quando mi vide quasi ci sgridò: “Ma che stai a fa’?”. Ma poi aggiunse: “Vieni che ti presento il regista”. Io manco sapevo chi fosse. Qual è stato il primo impatto? Ci presentò così: “A Pasolì, questo è mio fratello Ninetto. A Ninè, questo è Pasolini”. Pier Paolo mi guardò e mi fece subito una carezza in testa, c’avevo tutti i riccetti. Lo guardai intimidito pensando: “Che vuole questo?”. Ma in quell’uomo ho trovato una certa sensazione di sicurezza. Quando mai qualcuno mi aveva detto “Ciao ricciolì”? Nessuno. Mai una carezza in testa a casa mia. I miei genitori erano spicci: “A Nì, è pronta la cena”. E c’era solo una cosa, non si sceglieva. “O te la magni oppure nun magni“. Non erano cattivi, eravamo poverissimi. Così con Pasolini è scattato subito qualcosa di speciale. Infatti ti chiamò poco dopo per una piccola parte nel Vangelo secondo Matteo. Nel 1963. Quando me lo propose, sinceramente, gli dissi: “Ma lassa perde, quale cinema?”. Facevo il falegname, lucidavo e restauravo i mobili. Ero imbarazzato di fronte alla telecamera. Però lui mi tranquillizzò, non avrei dovuto dire battute. E così accettai. Che esperienza ricordi? Ho scoperto dei modi che mi hanno affascinato: “Anvedi come mi trattano”. Il responsabile della produzione veniva da me per chiedermi: “Ninetto cosa vuoi mangiare? Un primo, un secondo, il dolce…”. Pure er dolce??! Per me era una sorpresa. Poi tornavo a casa la sera e i miei ripetevano: “O la magni o non la magni, fa’ come vuoi”. Non vedevo l’ora di tornare sul set. Il grande salto arriva poco dopo in Uccellacci uccellini al fianco del grande Totò. Un anno dopo mi chiamò per quello. Stavolta però dovevo parlare… non volevo ancora, non mi ricordavo quello che avevo mangiato il giorno prima. A un certo punto disse: “Guarda Ninetto che ti pagano”. Me pagano? E che me danno? “Circa 6-700mila Lire”. Allora era una cifra grossa. A casa mio padre per mangiare un mese in sei spendeva cinquemila Lire. Impossibile rifiutare. Gli ho detto subito: “Che devo fa’?”. Ma il bello è che ero al fianco di Totò. Andavo già a vederlo al cinema e mi piaceva moltissimo. E in quel momento mi chiedevo come facessero a pagarmi per lavorare con lui. Assurdo. Così abbiamo iniziato a incontrarci per capire qual era il mio ruolo.
(...) Il Decameron fu considerato pornografico. Scoppiò un casino. Quello è uno dei primi film dove si vedevano uomini e donne con delle nudità. È stato bloccato, denunciato, censurato. Come vivevate con Pasolini tutte quelle accuse, denunce e restrizioni? Ero talmente attaccato a lui come persona e lo vedevo indifeso che mi incazzavo io per lui. Pier Paolo era uno di parola, mentre io ero di fatto. Se uno gli rompeva il cazzo non è che andavo a chiedergli il perché, mi buttavo direttamente a dargli una pizza in faccia. Mi dava fastidio che lui non reagisse anche fisicamente. Se pensi che nella sua vita ha avuto 32 denunce, tutte assurde. Come quella per l’accusa di aver compiuto una rapina brandendo una pistola con pallottole d’oro? Sì, bastava che respirasse e lo denunciavano. Poi sempre assolto, perché non c’era niente di fatto. Ti è mai capitato di venire alle mani per difenderlo? Porca miseria, altroché. Sui giornali mi hanno descritto come il “gorilla” di Pasolini. Ero aggressivo, invece Pier Paolo mi diceva di stare calmo. Ma non accettavo che subisse quelle infamie, per cui certe volte non se ne poteva fare a meno. Avrei voluto andare a prenderli tutti sotto casa uno a uno quelli che lo attaccavano. Solo perché era Pasolini le cause andavano avanti anche se erano incredibili. Ma c’ho avuto dei battibecchi anche con lui su queste cose… Quando? Quando scrisse quell’articolo in difesa dei poliziotti. Andai subito da lui: “A Pà, ma come se fa a dare ragione a quelli?”. Trattavano in modo feroce gli studenti e io ero incazzato con loro. Per me erano dei fiji de ‘na mignotta. Lui mi placò e disse: “Ma hai capito chi sono? I figli dei più poveri…”. A quel punto non potevo che dargli ragione. Lui vedeva oltre a tutti gli altri, che invece c’avevano le bende sugli occhi. Però i poliziotti non si comportavano bene.
Raccontami un episodio. Una volta all’Università di Roma siamo andati ad accompagnarlo per una conferenza e, appena arrivato, gli hanno tirato un barattolo di vernice addosso. Pier Paolo è subito corso appresso al ragazzo in fuga, ma non è riuscito a prenderlo perché è entrato in un garage dove c’era un’altra uscita. Noi di solito prendevamo questi ragazzi che lo attaccavano, che erano fascisti, e li davamo alla polizia, che li rilasciava subito. Mio fratello ha preso una sportellata da una macchina, abbiamo dovuto portarlo in ospedale. Nonostante questo, scrisse quell’articolo sui poliziotti.
(...) Ho notato che, nei tuoi interventi pubblici, c’è una cosa che ti dà fastidio: chi vuole far passare la tesi che Pasolini in fondo si sia cercato la propria morte. No, non l’ho mai concepita. Perché era una persona vitale, non è possibile che nel tempo stesso pensasse a cercarsi la morte. Mi sembra una stupidaggine. Avevamo tanti altri progetti futuri. Tu come vivevi la sua doppia vita, di giorno intellettuale e di notte con i “ragazzi di vita”? Sapevo tutto di Pier Paolo e sono sempre stato dell’idea che uno nella vita fa quello che vuole e nessuno può permettersi di giudicarlo. Anche a me ne hanno appioppate di cose che avrei fatto con Pier Paolo, ma a me che me ne frega? Niente, perché so io il rapporto che avevamo. La sua seconda vita, se vuoi chiamarla così, è di una persona che aveva i suoi piaceri, i suoi gusti e le sue voglie.
Ti è mai capitato di metterlo in guardia su certi ambienti? Sì sì sì, assolutamente. Lo avvertivo spesso di stare in campana. E lui cosa rispondeva? Di non preoccuparmi. Era sicuro di se stesso. Non avvertiva il senso del pericolo. Capiva le intenzioni degli altri, quello che volevano da lui, ma purtroppo quella è stata una serata sbagliata… io l’avrei saputo se ci fosse stato qualcosa di strano, sapevo tutto di quello che gli bazzicava intorno. Pensa che quella sera alla trattoria del Pommidoro eravamo io, mia moglie e i miei due figli piccoli, abbiamo cenato con Pier Paolo e parlato di una sceneggiatura. Quando ci siamo salutati mia moglie, me lo ricorderò sempre, mi disse: “A Nì, ma perché nun lo accompagni a Pier Paolo?”. Mi è venuto naturale rispondergli: “A Patrì, ma vuole andare per cazzi suoi…”.
Conoscevi i “ragazzi di vita” che frequentava? No no, non avevo rapporti con quelli. Pochi mesi fa il regista David Grieco ti ha indirizzato una lettera pubblica in cui ti invita a parlare, come se avessi nascosto qualcosa: “Su quella notte così buia, aspettiamo tutti da anni un tuo raggio di sole. Vedi di darti un mossa che si è fatto tardi”. Come gli rispondi? Ma non è vero niente. David Grieco l’ho visto quando ha girato il film su Pier Paolo, La macchinazione con Massimo Ranieri. Diceva che gli raccontavano cose incredibili, ma chi sono quelle persone? Sono tutte parole… anche perché cosa c’è di nuovo nel suo film? Niente! Dice che Sergio Citti prima di morire gli avrebbe fatto delle rivelazioni. Ma figurati! Quando è successa la morte di Pier Paolo a Sergio l’ho chiamato io. Non sapeva niente. Cosa poteva sapere? E allora perché, a quasi cinquant’anni di distanza, ti chiede ancora di dire la verità? Lo fa tanto per parlare. Sono tutte stupidaggini. David Grieco non sa un cazzo! Lui sostiene che tu saresti stato avvisato della morte di Pasolini persino prima dei carabinieri. A me mi ha chiamato la cugina, Graziella. Poi sono andato io dai carabinieri. Come facevo a sapere prima di tutti? La gente parla parla parla, solo che non conosce. Io per i 100 anni di Pier Paolo non ho partecipato a nulla, anche se mi hanno chiamato tutti non ho accettato. Ho le mie ragioni. Non per essere strumentalizzato, non ci riesce nessuno. Perché quello che potrei dire non serve a niente.
Quindi non c’è nulla di fondamentale per risolvere il mistero intorno alla morte di Pasolini che conosci e non hai ancora detto? Ho detto tutto quello che dovevo dire. Se poi gli altri vogliono aggiungere che è stato a causa di qualcosa, io lo escludo proprio. È stata una serata sbagliata. Adesso tirano fuori le pellicole rubate, persino la Banda della Magliana. Ma che cazzo dicono? Ma che non lo avrei saputo io? Eri amico anche di Sergio Citti, con cui hai girato diversi film anche dopo la morte di Pasolini. Sergio è stata la conoscenza più importante all’inizio per Pier Paolo, fondamentale quando è arrivato a Roma. Gli ha fatto capire tutto ciò che sono le periferie romane. È stato lui a fargli scoprire i segreti, lo ha instradato, poi anche insieme a me, per fargli comprendere i modi di dire, gli atteggiamenti. Con noi si divertiva un sacco, non abbiamo fatto tutti quei film insieme per caso, o no?
Nonostante tutto, la popolarità non sembra averti cambiato. Macché, a me nun me cambi. Così come sono con te, sono con tutti. Pier Paolo. Pier Paolo non era un allegrone. Ha avuto una infanzia con sofferenze, ha patito i pregiudizi a Casarsa, le incomprensioni con i genitori, la morte del fratello. Una vita non piacevole, che gli è molto pesata. Allora l’evasione qui a Roma è stata una liberazione per lui. È entrato in un mondo dove poteva esprimersi in pieno e dove non si sentiva giudicato. Ha rappresentato una sorta di terapia. C’è qualcosa che ti ripeteva spesso? Sono stati 12 anni tutti fantastici, un gioire continuo. Ma siccome io dico sempre quello che penso, spesso lui mi diceva: “Vedi te se un giorno non trovi qualcuno che te mena“. “Perché?”, chiedevo. “Perché dici tutto quello che ti passa per la testa”. Fra le tante pellicole a cui hai preso parte ce n’è una che ti ha ridato una enorme visibilità, nonostante avessi una piccola parte: Romanzo criminale. Guarda, ho fatto un film tanti anni fa che si chiama L’anno prossimo vado a letto alle dieci, dove interpreto un criminale pazzo scatenato che compie gesti efferati. Proprio un trucido. Io non sono così, ma il regista Angelo Orlando era così sicuro di quel ruolo che ho accettato. Ecco, dopo quella pellicola mi chiamano spesso per fare il cattivo. Come Gerardo il Barbaro in Romanzo criminale. È stata una bella serie, in fondo si sono attenuti alla storia. E poi è stata vista tantissimo. Ho fatto solo un episodio nella sesta puntata e non sai che successo. C’erano i ragazzini che mi chiamavano per strada: “Ahò, Gerardo er barbaro!”. Li prendevo e gli chiedevo: avete visto solo quello tra i miei film? E loro: “Perché ne hai fatti altri di film?”. Per dire che diffusione ha avuto.
Ti piace la Roma del 2023? No, ma non per la città. Per la gente che è cambiata, come ci mise in guardia prima di tutti Pier Paolo. Siamo ormai catturati dal consumismo che ci ha portato all’estremo. In due parole: le persone sono piene di cose superflue e hanno dimenticato il necessario. Vuol dire diventare avidi. Non c’è dialogo, umanità, ognuno di noi ha il suo orticello e del resto non gliene frega niente. Non come prima, che se avevi una minestra la si divideva in tre. Non è più così, purtroppo. Ecco cosa posso aggiungere di ciò che mi disse Pier Paolo quella maledetta sera. Che cosa? Mentre eravamo nella trattoria se ne uscì con questa frase: “Sai Ninè, mentre camminavo per venire qui tenevo la testa abbassata perché non avevo il coraggio di guardare in faccia la gente”. Capito? Se tieni conto che sono passati 46 anni…