Corriere della Sera, 19 gennaio 2023
Intervista ad Ariete, all’anagrafe Arianna Del Giaccio
«Se Arianna sta bene anche Ariete sta meglio». Si presenta così Ariete, all’anagrafe Arianna Del Giaccio, cantautrice simbolo della Gen Z in gara a Sanremo. «Dal punto di vista personale ho comprato casa, la famiglia sta meglio, io che ero miss “me la risolvo da sola” ho iniziato un percorso di analisi...».
Nella carriera c’è il Festival con «Mare di guai»?
«Mi ero appena lasciata. Ho avuto la visione angosciosa di una vasca piena di squali. Se ci buttiamo in due le cose possono funzionare meglio».
Da Arianna ad Ariete?
«La notte in cui stavo per pubblicare su YouTube “Quel bar”, la mia prima canzone. Era tutto pronto ma mancava un nome. Per me il nome di un artista deve suonare bene dopo la frase “vado al concerto di...” e Ariete, il mio segno zodiacale, ci stava».
Segni particolari: cappellino in testa. Anche in gara?
«Col cappellino nasco e muoio. Potrei abbinarlo ai tacchi in quelle serate... Da piccola, nonna mi faceva la coda per paura dei pidocchi. I capelli si erano così rovinati sulla fronte che la mia prima fidanzata mi regalò un cappellino: dal 2019 non c’è giorno in cui sono uscita senza».
Dal bedroom pop a base di voce e chitarra acustica con cui si è affermata all’orchestra: che effetto le fa?
«Parto sempre da un flusso di coscienza ma in studio con Dardust e scrivendo a quattro mani con Calcutta è uscita la mia versione 2.0: non sono più io ingobbita sul letto della cameretta».
Arianna sta bene...
«Sto iniziando ad aprirmi grazie a una psicologa. Ho convissuto con persone che hanno sofferto. Al secondo ricovero di mio fratello (ha fatto un percorso di transizione ndr) mia mamma aveva dubbi. Abbiamo discusso: “Se fosse stato un cancro l’avresti vissuto diversamente”. Mi fa piacere che oggi si parli liberamente di salute mentale».
E anche di orientamento sessuale. «Mare di guai» è la fine di una storia con una ragazza. Non è la prima volta nei suoi testi, ma che effetto farà al pubblico nazional-popolare?
«Sono sempre stata così e ora porto questo racconto a persone nuove. Non voglio diventare la santa della comunità Lgbtq+ o la portatrice del monopolio della fluidità. Tutti devono essere liberi, nessuno deve schiacciare gli altri».
Quest’estate durante un concerto ha criticato chi sostiene Giorgia Meloni.
«Dal pubblico mi arriva del bene, in cambio gli passo quello in cui credo visto che non lo fa la scuola. Quel giorno avevo sentito “L’anno che verrà” di Dalla. Era il 1979 e lui cantava “si farà l’amore ognuno come gli va”. Come è possibile che lo abbiamo messo in discussione? Di Meloni non amo l’approccio, non c’è bisogno di dire che sei cristiana, italiana etc etc. Quelle cose nessuno te le toglie. E invece si muore di razzismo e omofobia».
Letizia Battaglia, fotografa della lotta alla mafia, la ritrasse per «7». Diceva che la gen Z è senza coraggio...
«Quando una come lei ti dice certe cose te le accolli... La colpa però non è solo nostra. I nostri nonni hanno avuto le palle, i nostri genitori si sono mangiati tutto. Non esiste più un concetto di lavoro. Io vivo un sogno, ma ho amici sottopagati. Letizia mi disse: “Non ti auguro il successo ma tanto lavoro”. Mi sono tatuata la parola “lavoro”. I social poi ci hanno sputtanati. Siamo tutti lì a mostrare solo il bello e a fare gli influencer».
A Sanremo ci sarà Chiara Ferragni...
«Il suo raccontare del cachet in beneficenza è un tipo di influenza sana. Un po’ meno quelle che si sposano il calciatore e vivono di quello...».
Le sue radici musicali?
«Papà era ossessionato da Pino Daniele. In macchina discutevamo per cambiare musica. Quando Pino morì, lui pianse. Gli chiesi scusa con una lettera».
Ultima o prima?
«Ultima è più plausibile... Da Vasco a Tananai, la classifica di Sanremo lascia il tempo che trova. Se vinco famo un ber casino. E per l’Eurovision parlo anche bene l’inglese».