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 2023  gennaio 19 Giovedì calendario

Cent’anni di Avedon

Megaritratti di verità, così potrebbe essere definita la mostra che il Metropolitan di New York dedica a Richard Avedon – da oggi al primo ottobre – in occasione del centenario della sua nascita (15 maggio 1923) e a diciotto dalla morte (1° ottobre 2004). In un’epoca di post-verità che imbelliscono i fatti, dei vocaboli contrari a quel che intendono, di realtà costruite, i monumentali ritratti di gruppo realizzati da Richard Avedon tra il 69 e il 71 raccontano l’assoluta autenticità di quelle persone.  Richard Avedon: MURALS, è il titolo dell’esposizione. Ci vuole coraggio oppure una straordinaria materia prima, per organizzare una mostra attorno a solo tre fotografie, anche se si tratta di monumentali foto genere murales della collezione del The Met (la più grande è larga oltre dieci metri) e che raffigurano i principali artisti, attivisti e politici dell’epoca a cavallo tra anni Sessanta e Settanta. Sono ritratti della società nei quali Avedon riunisce giganti della seconda metà del ventesimo secolo – membri della Factory di Andy Warhol, strateghi della guerra del Vietnam e attivisti contro quella stessa guerra – che insieme hanno plasmato un’era turbolenta della storia americana. Presentati in una galleria, i mega ritratti rimettono in scena, come su un palcoscenico muto, un confronto tra fazioni opposte.
I GRUPPI
Le innovazioni formali dello stile di Avedon – corpi fortemente illuminati in una cornice così bianca da apparire spietata – sono pienamente realizzate in queste enormi immagini di gruppo, in cui i soggetti si accalcano e affollano l’inquadratura. E dove persino i vuoti luminosi tra di loro sono colmi di tensione. Nei Murals le persone sembrano pronte a scavalcare il bordo nero del negativo e a uscire dalle loro cornici: sono immediatamente riconoscibili e vive, fino al dettaglio più minimale. Gli scatti scartati, prestati dalla Avedon Foundation consentono una visione del processo creativo dell’artista, un dietro le quinte, di quei Murales per i quali Avedon ebbe a disposizione tempi ben diversi tra loro.
POCHI MINUTI
Le sedute alla Warhol’s Factory durarono mesi, ma ebbe solo pochi minuti per fotografare la leadership militare americana a Saigon. Quasi 20 anni dopo la sua morte nel 2004, Richard Avedon: Murals segna la straordinaria eredità dell’artista e il suo rapporto speciale con The Met (vicino al quale ha vissuto ed è cresciuto). I murales sono stati donati da Avedon al museo in occasione della sua retrospettiva del 2002. Riunite per il suo centenario, queste opere rendono con dettagli spettacolari le intimità e le dinamiche interpersonali tra fotografo e soggetto che hanno occupato Avedon nel corso della sua carriera.
La sua è la storia di chi si è fatto da solo. Nato nel 1923 a New York, frequenta la Columbia University con l’idea di diventare un poeta. Passa due anni nella Marina Mercantile e scatta foto tessera per le carte d’identità dei militari. Nel 1944, tornato a New York, mette insieme il suo portfolio di immagini e si presenta a Alexey Brodovitch, mitico art director di Harper’s Bazaar. Da questo giornale negli anni 90 passa a Vogue e nel 1992 è nominato primo fotografo dello staff di The New Yorker. In oltre cinquant’anni di carriera, ha cambiato per sempre la ritrattistica fotografica.
IL FORMATO
Fino alla fine degli anni Sessanta, utilizza una piccola Rolleiflex di formato quadrato per quasi tutti i suoi lavori di moda e per i ritratti. Questa fotocamera, che teneva all’altezza della vita, era uno strumento mobile e maneggevole che alla fine è diventato un’estensione del suo stesso corpo. Energico e agile, ha praticamente ballato con la macchina fotografica, elettrizzando l’atmosfera dello studio. «La macchina fotografica quasi scattava le foto da sola», spiegò in un’intervista. Nel 1969 Avedon inizia a utilizzare un banco ottico Deardorff da 24 x 30cm, su un treppiede, un’attrezzatura ingombrante che trasforma il modo di lavorare e crea nuovi vincoli. Non più un’estensione dell’occhio, la macchina fotografica diventa testimone silenziosa del faccia a faccia tra fotografo e soggetto. La Deardoff sarà la fotocamera con la quale riprenderà i Murales in mostra al Met.
«Ho elaborato una serie di no. No alla luce morbida, no alle composizioni apparenti, no alla seduzione delle pose o della narrazione. E tutti questi no mi costringono al sì», disse. E spogliati di elementi estranei, rigorosi, dalle proporzioni fisse, i Murals stabiliscono una neutralità formale e presentano il si di Avedon alla verità, cruda, scarna e brutale dei suoi soggetti nella loro interezza.
IL SENSO
Il gigantismo delle foto permette una visione immersiva, potente, piena di rughe, sguardi persi e curiosi nelle inquadrature serrate. Davanti a questi personaggi di un’epoca rivoluzionaria, che sembrano pregiudicati contro uno sfondo bianco osservati attraverso un vetro si capisce il senso del ruolo che Avedon si attribuiva come artista: «Il fotografo deve collezionare, prestare attenzione a ciò che tutti scartano e di cui la maggior parte delle persone vuole sbarazzarsi il più rapidamente possibile, l’artista deve trovare il modo per analizzare, per trovare anche nei dettagli più crudi l’essenziale di una persona».