la Repubblica, 19 gennaio 2023
Primo trapianto in Italia di un polmone da vivente
Ha trascorso i suoi primi cinque anni praticamente sempre in ospedale, avanti e indietro dai medici. Fino a pochi giorni fa, per respirare era attaccato alle macchine e rischiava di morire da un momento all’altro. Ma da ieri, il bambino che chiameremo Giovanni ha una speranza di una vita normale, grazie al suo papà, che gli ha donato un pezzo di polmone. Per la precisione, il lobo inferiore del polmone destro, che ha restituito al piccolo Giovanni la prospettiva di poter un giorno, forse nemmeno troppo lontano, giocare come tutti i bambini del mondo. Potrebbe insomma concludersi come una favola a lieto fine, l’avventura pericolosa del bambino nato con l’anemia mediterranea e due volte trapiantato, prima col midollo e poi col polmone di quel suo papà coraggioso.
Il miracolo del trapianto da un donatore in vita è avvenuto al Papa Giovanni XXIII di Bergamo, l’ospedale che è stato nell’occhio del ciclone durante il Covid e dove da quarant’anni opera una equipe di chirurghi che riescono ad aver successo in operazioni che altrove sembrano impossibili. E infatti quella che ha coinvolto il piccolo Giovanni, è una storia che ha tutti i caratteri dell’eccezionalità. È il primo trapianto di polmone eseguito in Italia da un donatore vivente, su un bambino affetto da una rara malattia del sangue, che già aveva avuto dal genitore il midollo. «Il papà non ha avuto il minimo dubbio quando l’abbiamo incontrato: ancora prima che gli proponessimo noi di donareil suo polmone al figlio, ha chiesto lui se era ipotizzabile farlo. L’unico suo desiderio è stato quello di salvare il bimbo», racconta Michele Colledan, il primario che ha operato il piccolo per 11 ore, mentre nella sala di fianco il collega Alessandro Lucianetti, anche lui primario di chirurgia addome-torace, si occupava del padre.
L’intervento risale a martedì e nella letteratura medica esistono pochissimi precedenti in Europa, casi rari in Giappone e Nord America. Massimo è il riserbo sui protagonisti di questo doppio intervento, eseguito in contemporanea dalle due equipe composte ciascuna da decine di medici e infermieri, attorno ai due primari, amici da anni prima che colleghi, abituati a lavorare in tandem, uno ascoltando rock anni ‘70, l’altro musica classica. Il Papa Giovanni XXIII è uno dei fiori all’occhiello della sanità pubblica lombarda e accoglie spesso casi che necessitano interventi delicatissimi, al limite dell’impossibile.
Tale era la storia descritta nella cartella sanitaria del piccolo, che vive con la famiglia in un’altra regione italiana e soffre dalla nascita di talassemia. Per questo motivo, aveva già subito il trapianto di midollo, in un altro grande ospedale. Anche la prima volta era stato il papà a offrirsi volontario sperando che la compatibilità fosse totale. Ma come spesso purtroppo succede, con questa donazione si è “trasferito” sul bambino anche il sistema immunitario del genitore. Da qui è nata unagrave complicanza, una complessa reazione immunitaria, con le cellule trapiantate provenienti dal papà donatore che hanno “attaccato” gli organi e i tessuti del bimbo ricevente, che il nuovo sistema immunitario non riesce a riconoscere come propri. «Il piccolo era andato mano a mano aggravandosi – racconta Colledan, direttore del Dipartimento di insufficienza d’organo e trapianti – Quando è arrivato da noi viveva già attaccato alle macchine per la respirazione artificiale. Era in una condizione quasi terminale. Ci hanno chiamato i colleghi per chiedere un trapianto di polmone, ma non pensavano certo a un trapianto da vivente».
A immaginare la soluzione più audace è stato proprio Colledan: «Ho subito pensato a questa soluzione, che è complicata, ma anche più sicura, perché si sa che non ci sarà rigetto, dato che il polmone viene dal donatore, come anche il midollo. Il sistema immunitario riconoscerà il nuovo polmone».
Giovanni quindi respirerà col polmone del suo papà, che a sole 24 ore dall’intervento è stato già estubato e non vede l’ora di rimettersi in piedi per andare a visitare il suo bimbo, che riposa nella terapia intensiva dello stesso ospedale, in prognosi riservata. «Quello che siamo riusciti a fare, è il sogno di ogni chirurgo – conclude Colledan – Il Sacro Graal del trapianto è risolvere il problema del rigetto, senza fare terapia immunosoppressiva, cosa su cui si fa ricerca da decenni. E in questo caso, il problema non c’è. Ora c’è solo da augurare buona vita a questo piccolo lottatore».