La Stampa, 19 gennaio 2023
Intervista a Gene Gnocchi
Avevano lasciato Gene Gnocchi a settembre mentre era in corso una rovente campagna elettorale e lui aveva appena lanciato il suo Movimento del Nulla via social. «Se un proprietario di tv private è diventato premier e un grande comico capo di un importante movimento politico, perché io no?», si era chiesto. Cinque mesi dopo, abbiamo un governo e Movimento del Nulla ora debutta: partenza «in casa», a Fidenza il 20, e poi prime tappe a Saluzzo (2 febbraio), Milano, Padova, Verona.
Tournée o campagna elettorale?
«Entrambe. Dobbiamo portare il nostro verbo ovunque. È una specie di Leopolda».
Quest’estate il programma era solo una bozza (un po’ provocatoria) e ora?
«Abbiamo proposte rivoluzionarie per tutti i settori, dalla salute all’ecologia, le infrastrutture, i giovani, i diritti, l’evasione fiscale».
In termini così generici son buoni tutti. Più nello specifico?
«Il nostro fine è sorpassare le proposte di questo e di qualunque governo, fare ciò che a nessuno è mai riuscito: azzerare tutto quello che è sopravvissuto a pandemia ed asteroidi e ricominciare da una nazione desertificata per costruire un Paese nuovo».
Esempi concreti, magari su un tema caldo come la salute?
«Partiamo da dati di fatto: ci vuole un anno per una risonanza, 8 mesi per una Tac, altrettanto per un elettrocardiogramma, ma due minuti per passare una bustarella al primario. Il personale infermieristico è un problema: c’è chi ha imparato a fare endovene alla stazione guardando i tossici. Per alleggerire il carico della Sanità, indiremo l’eutanasia a sorteggio: e voilà meno persone da curare. Per la medicina di base applicheremo la regola aurea: medico di base per medico d’altezza uguale area di distretto sanitario. E per finire, sanità ibrida: paghi come nel privato, ti trattano come nel pubblico».
E poi?
«Anche l’organigramma è definito: io leader, e poi vari gradi di sottoposti, selezionati dalla piattaforma Brigitte Bardot. Alla base, i Testimoni del Nulla che gireranno con l’elenco di tutti i citofoni funzionanti muniti di borsello e camicia a mezze maniche per fare proselitismo e vendere i nostri gadget, spille, magliette e tre tipi di tessera ad personam, come le leggi».
Passiamo alle cose serie: chi vincerà il Campionato?
«Spero il Napoli: esprime il miglior calcio del momento. Che è un momento obiettivamente poco esaltante per il più bello sport del mondo. L’unico problema sarà la conferenza stampa di Spalletti: la peggio cosa che possa accadere. A meno che non la faccia De Laurentiis».
Meglio come presidente che come produttore?
«Basterebbe che facesse un "Natale in Georgia" con Lobotka e Kvaratskhelia, che hanno pure la faccia giusta, e anche al box office sarebbe cosa fatta».
Che ci dice di due grandi che sono mancati da poco come Vialli e Mihajlovi??
«Con Sinisa ci siamo più volte incontrati sul treno al lunedì sulla tratta Bologna-Roma: chiacchieravamo. Era una persona che non ne sapeva solo di calcio. Vialli invece lo incrociai sul campo ai tempi in cui, ragazzino, militava nella Cremonese e io giocavo tra i dilettanti, ci si incrociava in partitelle locali: era un fenomeno già allora. Ricordo una partita sotto l’acqua e nella melma: mi pitturò la faccia di una manata di fango. Fatto nel modo giusto, fu un gesto di una simpatia spaziale».
Se le imponessero di scegliere tra «Il rompipallone» sulla «Gazzetta» e l’opinionista a «Quarta Repubblica»?
«I talk cambiano e passano. Il calcio è la mia vita. Chi nasce calciatore, muore calciatore nella testa. Quando passo vicino a un qualunque campetto di periferia, mi viene il magone pensando al campione che avrei voluto diventare e non sono stato».
Una volta i comici li si trovava nei programmi di intrattenimento. Com’è che ora siete quasi solo in quelli di approfondimento giornalistico?
«La comicità è diventato genere "di arricchimento". I vecchi format si sono esauriti, ai nuovi non è dato tempo di crescere: due puntate e se non funzioni ti cancellano. La seconda serata è diventata prima nottata: comincia dopo l’una. Una pezza di Lundini, per esempio: non aveva gli ascolti ma la qualità, gli hanno dato lo spazio e il tempo, hanno avuto coraggio e pazienza. Ed eccolo diventato un fenomeno».