La Stampa, 19 gennaio 2023
La moda fluida sta finendo?
Il futuro non è poi così fluido. Anche nel mondo della Moda. Anzi, soprattutto. Già finito il tempo del guardaroba unico? Di lui e di lei che si scambiano borsette? Chissà… quel che è certo è che c’è stata una retromarcia decisa visto che le sfilate Uomo per il prossimo autunno inverno, appena concluse a Milano e in corso a Parigi, mostrano un deciso ritorno al classico. E al «maschile» anche se con maggiore libertà. Tornano le giacche a tre bottoni, i paltò alla Humphrey Bogart, i pantaloni con una pince, giubbotti di pelle da aviatore, molto Tom Cruise. Meno trasgressione, più eleganza? Non tutti la pensano così visto che è la moda ha sempre accompagnato con eccessi i passi avanti della società anche sul tema dei diritti. E si teme questo «tornare indietro».
Insomma il macho è tornato, almeno nell’estetica a cui eravamo abituati. E anche se qualcuno, almeno in Italia, potrebbe vederci una ragione «politica» di riposizionamento rispetto ai nuovi assetti di potere, sembra proprio che non sia così. O comunque non solo. A dettare le regole alla fine è sempre il business, e il genere «fluido» anche se occupa stabilmente red carpet e social network non riesce a sfondare oltre un tot sul mercato. Sono i «numeri» a richiamare gli uomini all’«ordine», e gli stilisti a creare abiti che non siano solo etici, trasgressivi, ma anche vendibili.
Da sempre marchi hanno lavorato in un settore diviso in due generi. Quando finalmente il concetto di «inclusione» ha cominciato ad essere più di una bella parola si è pensato che fosse arrivato finalmente il tempo dell’armadio unico, per lui e per lei. Un cambiamento portato avanti soprattutto dai millennials e dalla generazione Z che, come dicono gli analisti, nel 2025 sfiorerà il 70 per cento del mercato. Ma anche se il 27% di loro si considera non conforme agli stereotipi di genere, non sono convinti di come le case di moda abbiano trasferito negli abiti questo loro stato d’animo. Più liberi nel profondo non hanno probabilmente bisogno di vestirsi come bandiere di una causa che per loro è ormai normalità. E quindi sono liberi di tornare a vestirsi «bene», senza paura di essere considerati nemici dell’emancipazione di genere e della causa inclusiva. Conquistarli è quindi diventata la «mission» visto che grazie a loro il mondo del lusso ha triplicato i ricavi da 43 a 130 miliardi di euro nel 2021 (dati Bank of America).
E c’è anche il dato geografico visto che in Cina i potenziali clienti del lusso sono pari a quelli di tutto il mondo. E a quel mercato si stanno orientando tutti.
Che dietro all’uscita di Alessandro Michele da Gucci ci sia tutto questo è ben più di una voce. Dopo anni di crescita del fatturato iniziava ad avvertirsi una certa stanchezza dovuta, alla saturazione di un mercato fluido, eccentrico, artistico. Quante scarpe con il tacc puoi vendere agli uomini? Ma alla richiesta di apportare qualche cambiamento Alessandro Michele (che ha portato Gucci ad avere un successo planetario) avrebbe detto no grazie, fedele alla sua vena artistica.
Così gli uomini tornano a vestire come una volta, e soprattutto con il vestito adatto all’occasione. Come ha chiarito il maestro Giorgio Armani dopo la sua sfilata: «un uomo della Finanza deve avere un vestito tagliato come si deve, deve essere rassicurante». Sulla passerella del teatro di via Borgonuovo uomini di una bellezza «imbarazzante», con un po’ di barba, corpi tonici, nessuna concessione a un’estetica fluida.
Anche Brunello Cucinelli conferma questa tendenza: «L’abito deve essere confortevole, versatile, disegnato per fare bello il fisico», chiarisce Brunello Cucinelli convinto che la moda maschile abbia grandi potenzialità: «Prevedo uno sviluppo superiore a quella femminile». Così la vena fluida della moda torna dimostra quello che è sempre stata: un fenomeno di nicchia. Tanto che tutti i brand hanno lasciato le due sezioni, uomini e donne, sui loro portali web. Preferendo interpretare il genderless come un’estensione delle taglie possibili o come «no size». Così abbondano i capi oversize, che possono andare bene sia a uomini che a donne ma che sono anche «inclusivi« rispetto alla diversità dei corpi. Per molti questa soluzione è un compromesso pavido, un freno alla vera parità e alla vera inclusione, come ha detto Zeke Hemme , uno dei più seguiti esperti di moda vintage su Instagram «Finché continueremo a diventare più progressisti nelle nostre opinioni su cosa significhi essere un uomo o una donna, vedremo modelli di moda più progressisti per soddisfare il cambiamento». Quindi, secondo lui, tutta questa restaurazione fashion non sarebbe altro che un riflesso della lentezza o dell’arresto del cambiamento rispetto agli stereotipi di genere.
La verità è che sulla libertà di guardaroba sono più avanti le donne degli uomini. E’ normale vederle in panni maschili, mentre ancora desta stupore un uomo con a gonna o in abito da sera lungo. E subito per loro c’è l’etichetta: è gay. Come se l’abito fosse una lettera scarlatta messa per indicare le preferenze sessuali. Un pregiudizio che non risparmia il mondo Lgbtq che ha accusato Harry Styles di queerbaiting, ossia che faccia leva sull’estetica queer per aumentare li fan senza però dichiararsi parte della comunità Lgbtq . La star non vuole etichette: «A volte vado nei negozi e mi ritrovo a guardare i vestiti delle donne pensando che siano fantastici. È come qualsiasi cosa: ogni volta che metti delle barriere nella tua vita, ti stai limitando. C’è così tanta gioia nel giocare con i vestiti. Non ho mai pensato troppo a cosa significhi: è solo un altro modo di essere creativi». E anche per lui adesso la creatività passa per giacca e pantaloni, come si è visto sul red carpet di Venezia questa estate.