Corriere Fiorentino, 19 gennaio 2023
Niccolò Fabi si racconta
«Cantare è stata l’ultima cosa che mi ha interessato», confida il cantautore romano Niccolò Fabi, ospite giovedì 19 gennaio a La Feltrinelli Red di Firenze (ore 18) per presentare (così come in altre 10 librerie italiane) il progetto discografico Meno per meno con cui festeggia 25 anni di carriera. Proprio così, è passato un quarto di secolo dal suo debutto sanremese con Capelli, che vinse il premio della critica per le Nuove Proposte. Quasi metà della vita di Fabi, che di anni ne ha 54, si è svolta in un equilibrio tra parole e musica, tra una ricerca lessicale che trae forza dal ricco bagaglio culturale (e la laurea in Filologia romanza) e una continua sperimentazione sonora che tende verso la libertà espressiva. Senza paura di affondare nelle pieghe più dolorose dell’esistenza. Ma senza neppure perdere occasione per festeggiare. È infatti un omaggio ai primi 25 anni condivisi – anima e voce – con il pubblico il disco uscito a dicembre con l’etichetta Bmg (tre anni dopo Tradizione e tradimenti) che contiene 4 inediti e 6 brani orchestrati assieme al maestro Enrico Melozzi e la sua Orchestra Notturna Clandestina per il concerto celebrativo all’Arena di Verona.
Come ha vissuto l’Arena di Verona?
«Non ricordo quasi niente di quella sera. Non sono adatto a vivere e metabolizzare eventi così rapidi e deflagranti. Preferisco le tournée, che richiedono movimenti, tappe e andamenti in cui hai il tempo di cambiare e migliorare. All’Arena c’era un silenzio religioso che più della grandezza dello spazio mi ha fatto sentire quella dell’affetto della mia “famiglia allargata”, con la quale ho sentito un’alta compenetrazione nell’ora e 15’ di assolo».
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Preferisce le librerie?
«Non è questione di spazi, quanto della rapidità che non mi ha permesso di fermare i ricordi. In libreria avrò la possibilità di interagire con la gente in uno scambio diretto e informale. Io non amo i rapporti mediati, perciò sui social sono attivo solo per dare appuntamenti; vado poco in radio, ancor meno in televisione».
Guarderà Sanremo?
«No. In casa non ho neppure la tv. Se partecipa un collega che conosco, a cui voglio bene, lo seguo indirettamente, attraverso quello che viene pubblicato. Ma non mi interessa la ritualità collettiva del programmone, di cui cambiano i presentatori, gli stacchetti, ma non il principio. Io tra l’altro mi immedesimo nei cantanti che si alternano sul palco, mi sento coinvolto: non riuscirei a partecipare al gioco dei voti e delle palette. Non parliamo dei talent».
A proposito di sottrazioni, nel titolo del suo ultimo disco ci sono due Meno…
«Ribadisco provocatoriamente la sottrazione, che preferisco nettamente all’addizione. Da notare, poi, che il risultato della moltiplicazione di due negatività è positivo, così come la mia musica, andando a toccare tasti dolenti, può creare effetti positivi, non solo su me stesso. Io scrivo quando nel mio mare c’è qualche increspatura: è un gioco masochistico, con aspetti terapeutici. L’aspetto migliore è l’effetto che ha sul pubblico».
Nel 2010, per il compleanno di sua figlia Olimpia morta ad appena 22 mesi per una meningite, organizzò il megaconcerto di 12 ore “Parole di Lulù” (nome che ha dato anche alla fondazione che promuove progetti per l’infanzia). Dove trovò la forza di portare sul palco un lutto così grande da non avere neppure un nome?
«L’ho fatto senza volerlo, mettendo al centro piuttosto che la narrazione, la rappresentazione di un uomo nelle sue varie sfumature, nei momenti più complessi e in quelli più esaltanti della sua esistenza, rendendoli ordinari: non banali, ma inseriti nel corso naturale della sua storia».
Scattò un’empatia forte con il pubblico…
«Non è stato certo il motivo per cui hanno iniziato ad amare le mie canzoni. Però da quando ho un pubblico che mi ascolta e mi segue la mia musica ha un valore diverso. Non so se continuerei a scrivere se non avessi qualcuno con cui interagire. Sicuramente scrivere canzoni perderebbe senso».
Tra le nuove generazioni, quali sono i cantanti che le piacciono?
«In questo periodo c’è una produzione molto ampia di musica italiana: questa è una cosa positiva. Se passi davanti a una scuola trovi forse il 99% di ragazzi che ascoltano in cuffia brani italiani, mentre alla mia epoca sentivano musica internazionale. Però i cantanti di ultima generazione sono legati alla rappresentazione del quotidiano che non mi ha mai intrigato. Piuttosto che un racconto di quello che succede per strada, con il linguaggio dei social network, preferisco una scrittura evocativa, come quella di Andrea Laszlo De Simone o di Emma Nolde, toscana».
Ad aprile partirà la tournée teatrale “Meno per meno”: una via di mezzo tra l’evento all’Arena e gli incontri a tu per tu in libreria?
«L’idea del tour è rendere itinerante il concerto di Verona, articolato in due momenti distinti: l’assolo con chitarra di un’ora e un quarto e l’altra ora con l’Orchestra Notturna Clandestina. Mi è piaciuto il meccanismo integralista che dal minimo passa all’estremamente grande e ho deciso di ripeterlo con la libertà di una tournée che mi consente di cambiare le cose strada facendo».
Per la tappa del 15 maggio al Verdi di Firenze tornerà in Toscana, regione con cui ha un legame affettivo.
«Mia madre apparteneva a una famiglia aristocratica decadente senese. Sono legato alla Toscana da ricordi elitari: le vacanze in campagna, vissute per lo più in solitudine, o a giocare con i figli dei contadini: avrei preferito andare al mare, in posti pieni di coetanei, ma quelle estati hanno influito sulla costruzione della mia personalità e mi hanno lasciato un forte senso di appartenenza della campagna toscana, in cui torno sempre volentieri».
La sua musica è elitaria?
«Sì: lo dico senza orgoglio né vergogna. È inevitabile che la famiglia, gli studi, le esperienze di vita e le persone che incontri influiscano sul nostro vocabolario. Io non posso essere popolare: questo è un dato tecnico».
I suoi famosi capelli sono diventati grigi…
«Bianchi, in verità. Ma che conta? Sono sicuramente più sereno di 25 anni fa».