il Fatto Quotidiano, 19 gennaio 2023
Benvenuti a Pristina
Pristina. Bill Clinton saluta con la mano sinistra, mentre lo sguardo sembra rivolto a nord, verso il confine settentrionale del Kosovo, lo Stato che presto celebrerà il suo anniversario e alla cui nascita ha contribuito in prima persona. La riconoscenza dei kosovari per l’ex presidente degli Stati Uniti si è trasformata anche in un simbolo permanente: la sua statua (a Pristina gli hanno dedicato anche un viale) piazzata sotto un poster gigante con tanto di bandiera a stelle e strisce è illuminata anche di notte. A proposito di riconoscenza e simboli, la gigantografia tra la M9 e Idriz Gjilani dedicata a Clinton, a due passi dal centro, si deve a Behgjet Pacolli, ex presidente e ministro degli Esteri del Kosovo ed ex marito di Anna Oxa.
Il cuore della capitale è tempestata di immagini dedicate agli ex presidenti Ibrahim Rugova e Hashim Thaçi, ma anche di statue in onore di Gjergj Kastriot Skanderbeu, l’eroe albanese Giorgio Castriota. Il 17 febbraio prossimo saranno 15 anni dalla dichiarazione di indipendenza e 25 dall’inizio della guerra con la Serbia terminata un anno e mezzo dopo con i bombardamenti della Nato sul suolo jugoslavo. Il lento percorso con cui le istituzioni internazionali stanno cercando di far crescere il Kosovo è stato interrotto, le lancette riavvolte di anni, dai fatti che negli ultimi sei mesi hanno riportato la tensione a Mitrovica (Kosovska Mitrovica per i serbi) tra Pristina e Belgrado. Dalla sfida delle targhe dei veicoli al ritiro in blocco dei funzionari serbi nelle istituzioni kosovare fino alle barricate e al rischio di una nuova escalation di violenza. Per ora quel rischio è stato anestetizzato, ma resta la preoccupazione per una miccia che potrebbe tornare a riaccendersi presto, vanificando ogni sforzo di pacificazione. Se Clinton si rivolge al nord nella speranza di una convivenza pacifica, i serbi di Mitrovica rispondono con il loro simbolo, il principe Lazar, sovrano divenuto martire nella storica battaglia persa di Kosovo Polje, la celebre Battaglia dei Merli, contro gli Ottomani nel 1389, il cui sguardo è diretto proprio verso la parte sud di Mitrovica e verso la stessa Pristina. Di fatto, quella convivenza in 15 anni di nuova pagina amministrativa non è mai stata raggiunta. Gli scheletri del passato, a partire dalle violenze di Belgrado commesse alla fine del secolo scorso, non sono svaniti e i reciproci nazionalismi stanno bloccando il processo di riconciliazione. I due leader politici, il premier kosovaro Albin Kurti e il presidente serbo Aleksandar Vucic non perdono occasione per alzare la voce e accusarsi a vicenda, facendo fallire qualsiasi traccia di dialogo. La comunità internazionale, attraverso le sue molteplici rappresentanze e competenze, sta facendo di tutto, ma i risultati si vedono solo in parte. La montagna di euro (la moneta comune adottata dal Kosovo addirittura nel 2002) caduta addosso a Pristina ha imboccato canali non sempre virtuosi. Fondamentalmente il Kosovo a livello infrastrutturale è rimasto quello dei primi anni Duemila. Non ci sono strade e collegamenti viari degni di questo nome, sebbene sia in progettazione una superstrada diretta tra Pristina e il porto albanese di Durazzo. Della vecchia ferrovia jugoslava restano dei frammenti e l’aeroporto Adem Jashari (altro eroe e simbolo kosovaro, comandante militare dell’Uck, l’esercito di liberazione del Kosovo, ucciso in combattimento nel marzo 1998) lavora espressamente per i funzionari delle missioni internazionali e per i kosovari della diaspora.
Famiglie fuggite dal loro Paese prima, durante o dopo il conflitto in Svizzera, Germania, Stati Uniti e anche in Italia, e che ora, arricchite, tornano in patria per le vacanze a bordo di costose supercar. A livello ambientale, l’energia è garantita per il 95% da due grandi centrali a carbone, la transizione ecologica è un concetto sconosciuto e i costi d’impatto dell’inquinamento sulla popolazione sono drammatici. La Banca Mondiale in Kosovo, inoltre, sta lavorando anche al mosaico più inestricabile in assoluto, il catasto. Non sarà facile mettere ordine nel caos immobiliare di un Paese dove si passa dalle case finite solo per metà alle nuove edificazioni. Arrivando a Pristina dal suo aeroporto sembra di entrare in un unico, grande cantiere. Pristina, una città di appena 215 mila abitanti, si sta espandendo verso il cielo con grattacieli fino a 30 piani non sempre frutto di finanziamenti trasparenti. Sono le gru a disegnare lo skyline tra palazzoni, nuovi insediamenti e nuove moschee (il 95% della popolazione è di religione musulmana). In attesa dell’inaugurazione del più grande centro commerciale dei Balcani, in corso di realizzazione fuori città, gli abitanti di Pristina e delle principali città del Paese stanno sempre più seguendo il modello di vita occidentale. Per trovare l’essenza della Pristina di un tempo bisogna allungarsi a Tophane, il quartiere di ispirazione turco-ottomana della città dove nel grande bazar si trova di tutto, dalla verdura ai diamanti.