il Fatto Quotidiano, 19 gennaio 2023
Il silenzio sinistro di Dio
“Voglio che stiano tutti zitti” (“Sono stanco”, Bruno Martino) “Sopra le nuvole c’è il sereno… ma noi siamo qui tra le cose di tutti giorni” (“Aria di neve”, Sergio Endrigo)
“Dio è nel silenzio” ha detto di recente Papa Bergoglio contraddicendosi in re ipsa. Ma “noi siamo qui fra le cose di tutti i giorni” sommersi da un fracasso infernale (è il caso di dirlo). Non siamo più capaci di sopportare il silenzio.
Quando esce una bara dalla chiesa applaudiamo, applaudiamo che cosa? Che quello è morto? Quando negli stadi si chiede un minuto di silenzio è molto difficile che sia rispettato, si vede benissimo che gli spettatori fremono, non aspettano altro che finisca e l’arbitro, prudentemente, accorcia.
La società industriale vive sul fracasso e del fracasso, un fracasso continuo, costante, insopprimibile: il rumore incessante, continuo delle auto, delle moto, della televisione, della radio, dei talk, dove individui senza qualità si accapigliano sul nulla, della musica sparata a palla nei bar, nei locali, nei ristoranti, sui taxi.
Probabilmente il silenzio c’era nella società agricola, il contadino durante la sua dura fatica, in genere solitaria, non aveva anche la forza per parlare, ma il tempo per riflettere sì.
Forse oggi solo gli eremiti, gli anacoreti, i seguaci di certe religioni orientali (alla base del pensiero cinese c’è il libro della norma di Lao Tse che postula la “in azione”, la non azione, e per i taoisti “il Tao detto non è il vero Tao”) conoscono il silenzio.
Sono gli Illuminati che si difendono dal rumore di fondo del mondo. C’è una divertente barzellettina. Tre Illuminati non sopportando nemmeno i rumori di fondo, salgono su tre cime altissime del Tibet, lontani gli uni dagli altri. Dopo sette anni il primo dice “che pace c’è qui”, passano altri sette anni e il secondo afferma “hai ragione”, Dopo ulteriori sette anni il terzo dice “me ne vado, state facendo troppo casino”. Ma forse senza dover ricorrere all’esoterico basterebbe andare in Lapponia dove 80 mila sami vivono su una superficie di 320 mila chilometri quadrati circa, densità 25 abitanti per chilometro quadrato.
Ma oltre questo silenzio positivo che invita alla riflessione ce ne è anche uno sinistro. Che è proprio quello di Dio. Costui non parla, è dubbio che ascolti, si esprime attraverso suoi intermediari, il più importante è quell’affascinante border line che è il Cristo, un uomo che sulla croce dubita, umanamente dubita “Padre, padre perché mi hai abbandonato?”. Mica che abbia ricevuto una risposta.
Poi ci sono intermediari minori, vescovi, arcivescovi, preti, fra questi ultimi spicca il classico “prete di campagna”, una conversazione con questo tipo di prete non è mai inutile perché attraverso la confessione conosce la vita.
Insomma Dio è muto. “Se c’è si è nascosto molto bene” dice Rimbaud e Baudelaire rincara la dose: “l’unica scusante di Dio è di non esistere”. E l’eterno, irrisolto, problema del Bene e del Male. Com’è possibile che Dio “l’immenso, l’onnipotente” (Maddalena, Alessandro Mannarino) tolleri il Male sulla terra, anzi, nell’eterna lotta con Lucifero, in qualche modo, per una dolorosa eterogenesi dei fini, lo favorisca?
La sola alternativa è che Dio sia morto. E in effetti lo è nella razionalità illuminista che ha sostituito a Dio la dea Ragione. Ed effettivamente per la nostra se pur limitata ragione è incomprensibile pensare che un bambino di due anni colpito da un tumore possa avere una qualsiasi colpa. Quando Nietzsche afferma che Dio è morto non pensa, prometeicamente, di averlo ucciso lui, ma constata, con un secolo e mezzo di anticipo, perché è un genio, che Dio e morto nella coscienza dell’uomo occidentale.
Non resta che lo scatto della Fede. C’è chi lo fa, probabilmente per lenire la propria angoscia di morte, questo precipitare nel Nulla dove tutto ciò che hai vissuto, amato, letto non esiste più.
Poi ci sono molti a cui questo triplice tuffo carpiato non riesce. Io mi annovero fra costoro e seguo la lezione di Lorenzo il Magnifico: “Quant’è bella giovinezza che si fugge tutta via/ chi vuol esser lieto sia/ di diman non c’è certezza”.