il Giornale, 18 gennaio 2023
Breve storia del sale
Molti anni fa, nel 1965, venne pubblicato Vele e cannoni, un saggio, oggi notissimo, del grande storico economico Carlo M. Cipolla. In poche pagine rivoluzionò il modo di raccontare la storia. Spiegando benissimo come il successo dell’Occidente fosse nato a colpi di navigazione d’altura e di artiglieria imbarcata. E ora il quadro di quell’espansione, che ha portato le caravelle e i galeoni europei a conquistare il pianeta, è inseribile in un contesto anche più ampio, stratificato nel tempo. I prodromi della grande corsa si scatenarono a partire da materiali, all’apparenza, più umili rispetto al bronzo delle bocche da fuoco e alle complicate strutture costruite dai maestri d’ascia. Ne La leggenda dell’oro bianco, lavoro appena pubblicato da Carocci, a firma Giorgio Dell’Oro, l’attenzione si sposta su una materia prima di cui spesso ci dimentichiamo: il sale.
Essenziale per la conservazione dei cibi, soprattutto in un mondo senza refrigerazione, ma altrettanto essenziale per un altissimo numero di produzioni industriali, dalla concia alla lavorazione dei metalli, il sale oggi è di facilissima produzione. Lo era molto meno nell’Europa antica e medievale. Come spiega Dell’Oro era per certi versi un precursore del petrolio a causa della sua «universalità d’uso e disparità nella ripartizione geografica». Un conto era, infatti, la situazione dei Paesi mediterranei che disponevano di saline dove sfruttare l’evaporazione naturale, un altro essere costretti a cavare salgemma dal sottosuolo. Occorreva organizzare il difficile lavoro di scavo, disboscare ettari ed ettari per ottenere la legna necessaria al riscaldamento delle caldere dove il minerale veniva depurato: uno sforzo organizzativo immane. Riuscire ad ottenere una fonte stabile di sale significava però conservare il cibo, rifornire per lunghe traversate le navi, salvaguardare la salute di uomini e animali e garantire entrate allo Stato che quasi sempre lo gestiva in forma di monopolio. Ecco allora che il sale si trasforma nella molla prima dei commerci e poi delle inevitabili guerre navali. Guerre che rapidamente portarono gli europei a contendersi le merci che meglio si prestavano alla salatura, ovvero i pesci. In un manuale scolastico difficilmente troverete scritto che dominare il pianeta è stata in prima istanza questione di stoccafissi. Un merluzzo essiccato e salato però è un concentrato di energia conservabile sul lunghissimo periodo. Le navi vichinghe che per prime raggiunsero le coste della Groenlandia prima e del continente americano poi erano lunghe poche decine di metri, non avrebbero mai potuto farcela senza la possibilità di utilizzare stoccafissi essiccati. Infatti, come spiega il saggio appena tradotto da Nutrimenti Merluzzo. Storia del pesce che ha cambiato il mondo (a firma di Mark Kurlansky) arrivare sulle coste di Terranova avrebbe comportato anche un’altra rivoluzione: avere accesso ai banchi più pescosi del pianeta.
Ad un certo punto della storia europea, complici anche i dettami cristiani del mangiare di magro, i pesci essiccati e salati divennero la fonte principale di proteine per gli abitanti del continente, soprattutto i meno ricchi. Senza di essi l’economia sarebbe collassata, soprattutto durante la crescita del XIV e del XV secolo. Insomma abbastanza per scatenare guerre di pesca, che culminarono in quella al largo dell’Islanda scoppiata nel 1512 tra gli inglesi e le città della Lega anseatica. La vera svolta però avvenne in modo più silenzioso. Enormi quantità di pesce vennero portate sul continente dai pescatori baschi, che partivano verso il largo senza specificare nulla della loro rotta. Nessuno ha voglia di essere seguito se si reca su banchi di pesca da cui torna con tonnellate di merce pregiata. Zitti zitti, per decenni i capitani che partivano dal porto di Bilbao o di Bayonne diventarono sempre più ricchi. Iniziarono, però, i sospetti perché il merluzzo non si pesca in altura e di sicuro non si può essiccare in mare sul ponte di una nave. Ormai la richiesta di merluzzo era diventata troppo alta perché nessun altro si buttasse nell’affare. Senza dare troppo nell’occhio, due imprenditori di Bristol armarono delle navi e partirono anch’essi nell’esplorazione verso Ovest. A una prima campagna nel 1480 ne seguì una seconda nel 1481. Mesi dopo le loro navi tornarono stracariche di merluzzo. Entro il 1490 il porto di Bristol era diventato autonomo da questo punto di vista rispetto ai mercanti di pesce salato. Nessuno a Bristol pare si stupisse che nel 1492 un navigatore italiano di nome Cristoforo Colombo avesse raggiunto una nuova terra al di là dell’Atlantico. Tanto più che Colombo da Bristol era passato e contatti con i marinai baschi ne aveva avuti a iosa.
Evidentemente agli esploratori però interessa esplorare, e rivendicare, ai mercanti che trasformavano il merluzzo in oro interessava poterlo fare senza concorrenza. Mentre la conquista del Nuovo mondo stava decollando, da Bristol partì Giovanni Caboto e poi dalla Francia Jacques Cartier. Quando Cartier rivendicò la foce del St Lawrence in Canada ci trovò centinaia di vascelli da pesca baschi: caricavano merluzzi in silenzio stampa.
Anche le scoperte geografiche, quindi, sono iniziate seguendo la via del pesce che più ha influenzato la storia dell’uomo. Tanto più che pesce e sale sono andati a braccetto, facendosi reciprocamente da volano. Armate le navi e nutrita l’Europa però la sinergia tra progresso, stoccafisso e sali non è finita. Nessun pesce regge così bene la refrigerazione come il merluzzo. Tenero anche dopo il congelamento, si è trasformato nel motore della grande corsa alla pesca a strascico. Orfano del suo pesce di riferimento, il sale ha continuato ad essere comunque uno dei prodotti più richiesti sino a diventare il prodotto bianco che conosciamo oggi (i sali antichi erano quasi tutti colorati).
Insomma ci sono motori sotterranei delle vicende umane che per tanto tempo non abbiamo raccontato. E mal potrebbe incogliercene per la nostra miopia. Come racconta Mark Kurlansky, di merluzzo in certe zone del mondo ormai ce n’è davvero rimasto poco. E, a guardare come vengono gestite le risorse mondiali, a volte viene il dubbio che ci sia rimasto anche poco sale in zucca.