La Stampa, 17 gennaio 2023
Niccolò Ammaniti parla del suo nuovo romanzo
Abbiamo forse troppa paura della nostra vita intima. Di come possa essere giudicata dagli altri, non corrispondere all’idea che sapientemente, di noi stessi, costruiamo. Nell’ultimo romanzo, il primo dopo otto anni, Niccolò Ammaniti ci mostra con pazienza da entomologo quello che siamo diventati: l’ossessione per l’immagine pubblica, la politica capace solo di inseguire il consenso veloce e fortuito, le decisioni prese in base a intuizioni di presunti guru tecnologici, la difficoltà di fare quel che fa sentire bene davvero, l’inclinazione al sospetto e alla paranoia. Ne La vita intima, in uscita oggi per Einaudi Stile Libero, tutto questo è raccontato attraverso Maria Cristina Palma: la donna più bella del mondo, moglie del presidente del Consiglio italiano, ex modella, una vita costellata di dolori, ma non per questo esente dagli attacchi feroci dei social network e dalle critiche spietate di chi la circonda.
Anche in Anna c’era una protagonista femminile. Ma si trattava di una ragazzina, e la trama post-apocalittica era completamente diversa da questa, del tutto contemporanea. Come mai ha scelto di calarsi, e immergere il lettore, nella testa di Maria Cristina Palma?
«Di solito quando scrivo in terza persona tendo a creare molti personaggi. Stavolta ho scelto una terza persona diversa, con la protagonista al centro. L’idea era di stare sempre con lei e usare il presente, per storicizzare meno la storia. All’inizio ho fatto molta fatica, poi è andata».
La fatica non si vede. Non si percepiscono tentativi di impressionare il lettore, di dimostrare una tesi, di esibire le proprie capacità narrative. Emerge la storia.
«Dopo otto anni senza scrittura ho usato una tecnica che mi permettesse di rivolgermi a chi legge. Alla maniera dei libri dell’Ottocento o delle favole. Ho sentito il bisogno di riprendere il rapporto con i lettori. E ho messo riflessioni personali, che vanno da Darwin all’etologia fino ai processi che riguardano la memoria. Nella fase del racconto però sono stato il più vicino possibile a Maria Cristina, ho usato una sorta di terza persona mimetica: un lavoro più complesso del solito non a livello di scrittura, ma a livello psicologico».
Ma perché un personaggio così distante da lei?
«Non sono uno che scrive un libro all’anno, scrivo quando mi va. Quindi penso che ogni libro debba essere un passo in avanti. L’ultima volta avevo scrutato l’animo di una ragazzina in un mondo post-apocalittico, questa volta ho pensato a una donna matura. Bellissima, ricca, all’apparenza ha tutto: una vita spenta, ma assolutamente privilegiata. Ho sempre pensato che le donne così diventino donne immagine, trofei per gli uomini che le conquistano. Come le mogli dei calciatori, come la moglie di Trump. Scelgono di essere la compagna dell’uomo potente e vengono classificate in un certo modo, senza che nessuno abbia voglia di scavare».
Il New Yorker ha pubblicato un lungo articolo sull’abuso del trauma-plot nella letteratura contemporanea. Ho pensato, magari vale anche per quest’ultimo di Ammaniti. Poi ho letto e ho capito che per quanto avvenimenti luttuosi siano presenti nella vita di Maria Cristina, per quanto sia uno shock scoprire che esiste un video porno di lei a vent’anni, il vero trauma della sua vita è la bellezza.
«C’è una scena in cui la sottosegretaria-rivale le dice: "Una bellezza come la tua metta soggezione. Tu non sei sullo stesso piano del resto dell’umanità"».
Arriva a parlare di sindrome di Stendhal.
«Ci sono donne talmente belle che fai fatica a relazionarti in maniera normale. Quella sensazione l’ho provata ed è come se l’intelligenza si ritraesse».
Con chi le è successo?
«La prima volta che ho lavorato con Monica Bellucci: aveva 28 anni ed era così, superiore. Fortunatamente la sua simpatia attenuava l’effetto della sua bellezza. E poi Carla Bruni: più distaccata, ma perfetta come una statua, con occhi impenetrabili. Mi interessava quest’aspetto e il fatto che donne così diventino quotidianamente bersaglio di ingiurie o complimenti esagerati. Mi interessa la parte umana, quel che si cela dietro tanta perfezione».
Dopo Anna aveva detto di aver chiuso con i protagonisti adolescenti, ma Maria Cristina, che pure ha 42 anni, con le sue ansie, le paure, il percorso di emancipazione, assomiglia proprio a un’adolescente.
«Penso che i migliori protagonisti dei romanzi debbano mantenere una certa quantità di adolescenza. Quel periodo della vita in cui abbandoniamo delle cose, ne cerchiamo altre, avanziamo a tentoni in un magma che diventa prima esperienza e poi maturità. Fin da piccola i genitori di Maria Cristina le hanno fatto pensare che la sua bellezza fosse uno svantaggio».
La madre le dice che senza coraggio, la bellezza la distruggerà.
«La fanno sentire tutti inadeguata, ma nel corso dei capitoli la sua figura cambia: la paura che il video possa essere visto dal mondo intero – e mettere fine alla carriera del marito - manda tutto in cortocircuito e la rende diversa. Prende ad assomigliarci, a farci tenerezza».
Eppure quel video, che potrebbe distruggerle la vita, è l’elemento che la salva, la libera, le fa scoprire una forza che non sapeva di avere.
«Prima di arrivarci c’è la fase del terrore. Non voglio minimizzare l’inferno che passa una donna che magari si è ritrovata un filmino del genere sul telefonino, con la paura o la certezza che possa essere diffuso. Ci sono persone che sono morte per questo. Siamo abituati a percepire una cosa del genere come una minaccia e reagiamo di conseguenza».
È una minaccia per le donne. Sono loro a essere più esposte ad attacchi nel momento in cui ne viene rivelata la vita intima. Si è mai chiesto perché?
«C’è un aspetto antropologico-genetico. Gli uomini nei confronti delle donne hanno questa tendenza a razziare. Controllabile, ma c’è. Quando vedono le donne fare sesso le percepiscono come lascive, riconducibili a quell’unica dimensione. Basta pensare a quel che succede alle pornostar quando finiscono la carriera: sono costrette a giustificarla per la vita. Mentre Rocco Siffredi riceve pacche sulle spalle».
Per la moglie del premier la distanza tra essere e apparire è sicuramente maggiore che per una comune mortale. Ma questo meccanismo del controllo di come si è visti in rete, percepiti dagli altri, è ormai presente nella vita di tutti. A partire dai ragazzini.
«Trovo terribile che molte ragazzine siano indotte a mandare continuamente immagini di sé cercando sempre la foto migliore, magari usando filtri per ritoccarla. Questo modo di rapportarsi con il mondo produce un inevitabile distacco tra quel che sei e quel che mostri. Un atteggiamento quasi schizofrenico. Conosco ragazze che preferiscono fidanzarsi virtualmente piuttosto che vedersi, toccare l’altro, per paura che l’incontro tradisca l’immagine che hanno costruito. È un disastro. Ma forse col tempo scemerà per fatica, per consunzione».
Jhumpa Lahiri, come lei, non è sui social. Quando le ho chiesto perché mi ha detto: la vita è troppo breve.
«Sono d’accordo con lei. È una tale fatica, quelli cui portano benefici sono davvero pochi. E poi trovo assurda questa concentrazione ossessiva sulla tua persona. È un continuo rimasticare se stessi. Abbiamo sempre pensato che la vita dovesse essere scoperta dell’altro, avventura, posti che non conosciamo. E invece – per andare dietro ai social – ti ritrovi a Dubai perché viene bene in foto».
Nel libro descrive, anche grazie al personaggio del Bruco, il rapporto consunto tra politica e consenso. Tanto che un governo sembra possa essere danneggiato da un taglio di capelli.
«Mi sconvolge come non ci sia più una gerarchia nelle notizie, soprattutto online. Ti ritrovi con la guerra in Ucraina sulla stessa riga di Totti e Ilary. È una delle cose più spaventose del nostro tempo, la scomparsa delle priorità. Dovrebbe essere irrilevante come si veste la moglie di un premier per incontrare un ministro, e invece per lei diventa essenziale».
La figura del premier nel romanzo è inafferrabile: non capisci cosa pensi davvero, intravedi solo come sia divorato da quel che fa.
«Ho voluto descrivere un politico chiamato in un momento di difficoltà, com’è successo a tanti, che scopre a un certo punto come quelli che lavorano contro di lui siano quelli che gli stanno più vicino. E mi sono sempre chiesto come può dormire la notte chi promette di continuo cose che sa di non poter realizzare? E come può chi gli sta vicino, e sa di quelle bugie, dormirgli accanto senza detestarlo?».
Fa dire a un suo personaggio: "La paura finisce dove comincia la verità". Ci crede?
«Sì. Nel momento in cui fai i conti con la tua paura comincia la verità. C’è per ognuno di noi un momento in cui sei costretto a fare un salto nel buio e mi piaceva che una donna che si sente una cretina faccia quel salto dicendo: per il bene del Paese sono pronta a mostrarmi per quello che sono. E mia figlia, se è intelligente, capirà».
Una volta ha detto che scrive sempre di solitudini. Per essere sola Maria Cristina deve fuggire su un tetto.
«È il mio personaggio più solo. Lo è talmente che quando capisce che ha bisogno di rivelare il suo segreto lo dice a Luciano, la persona più inadatta a maneggiarlo».
La figlia di 10 anni, Irene, è una piccola luce. Cosa pensa delle nuove generazioni? In questi giorni si fa un gran parlare degli ambientalisti che si fanno arrestare per tentare di fermare l’allargamento di una centrale a carbone.
«Penso che quel che fanno abbia molto senso e che siamo dei pazzi. I grandi cambiamenti climatici sono avvenuti in milioni di anni, i mammut hanno cominciato a tirare fuori la lana, adesso invece la temperatura si alza di un grado all’anno. Il mondo mi terrorizza, cerco sempre di più posti che mi rassicurino. Non avendo figli, cerco in fondo il modo migliore per sfangarla, ma credo sia difficile per chi ne ha immaginare un futuro. L’uomo non è in grado di lavorare per i posteri, di agire tenendo in mente il bene dei figli dei suoi figli. Siamo naturalmente programmati per non preoccuparcene, e questo – a meno di una rivoluzione – ci perderà».