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 2023  gennaio 17 Martedì calendario

Intervista allo scultore Jago

Una sua scultura ha vissuto un anno sulla Stazione Spaziale Internazionale, per poi tornare sulla Terra nelle mani dell’astronauta Luca Parmitano. Jago sta per Jacopo Cardillo. Lavora l’argilla, mentre parla. È nato a Frosinone nel 1987, 35 anni.


A 24 viene selezionato da Vittorio Sgarbi per partecipare alla Biennale di Venezia con un busto in marmo di papa Benedetto XVI che le vale la Medaglia Pontificia. Che cos’è l’arte?
«Una parola abusata, oggi chiamiamo tutto arte. Ma è giusto così, che ognuno si senta libero di riconoscere l’arte nelle cose».


Anche in un feto di marmo buttato a terra. Qualche mese fa fece rumore una sua opera del valore di un milione di euro abbandonata a Napoli, in piazza del Plebiscito.
«Eravamo in lockdown. L’ho concepita a New York, in una città che ti costringe a correre, ma con tanti senzatetto, persone che vivono in strada, tutte adulte. Passando mi accorgevo che restavano nell’indifferenza generale. Ho pensato che se ci fosse stato un bimbo in strada tutti ci saremmo fermati. Ho realizzato un feto con una catena da lasciare in strada, per terra, per vedere la reazione della gente. Tornato in Italia l’ho posizionato in piazza del Plebiscito».


Reazioni?
«Una lezione impagabile: chi se ne è innamorato perché quell’opera evocava dei ricordi personali, chi era contrariato e in quel feto intravedeva un’invasione di campo. La gioia, lo stupore, il disprezzo, l’indifferenza».


Lo scorso agosto davanti a Castel Sant’Angelo, a Roma, una sua opera (rimasta per un mese a bordo della Ocean Viking in mezzo al Mediterraneo) è stata distrutta dai vandali. «Sono pronto al flagello», il titolo. Era un’opera contro il razzismo, raffigurava un giovane profugo a terra.
«Se lasci un’opera in piazza qualcuno la accarezza, qualcuno la tocca, qualcuno la danneggia. Un esperimento sociale. Intendiamoci: so quanto costa un anno di lavoro distrutto, ma se vuoi indagare nell’animo umano lo devi mettere alla prova. Quel comportamento ti insegna cosa non fare. La politica qui è maestra, direbbe: “Grazie a quel disgraziato che ha fatto questa cosa io oggi posso dire questo”».


Si sa poco, o nulla, delle sue origini.
«Sono stato un ragazzo fortunato: ho conosciuto la povertà. Per carità: famiglia sana, genitori magnifici, hanno fatto di tutto per mettere me e mio fratello nelle condizioni di essere felici. Ma incontrare le difficoltà economiche ti costringe a trovare risorse dentro di te, a reinventarti. A dieci anni partecipavo già alle difficoltà familiari. Formativo».


La creatività, però, uno ce l’ha dalla nascita.
«Sono sempre stato creativo e curioso. Mi innamoro della bellezza. Se vedo qualcuno bravo io me ne innamoro, provo un senso di ammirazione che mi fa dire: “Quanto sarebbe stato bello fare ciò che ha fatto lui”».


E alla fine ha aperto un laboratorio nel rione Sanità.
«Tornavo dagli Stati Uniti, mi serviva un appoggio e a Napoli ho incontrato padre Antonio Loffredo, un rivoluzionario. Ci siamo riconosciuti guardandoci negli occhi: io scultore di marmo, lui scultore umano, al fianco degli ultimi. Mi ha dato uno spazio abbandonato e da riqualificare. Una basilica, la chiesa di Sant’Aspreno ai Crociferi, chiusa da 40 anni. Oggi quello è il mio laboratorio. E non vorrei che restasse un caso isolato».


In che senso?
«Questa modalità deve propagarsi: i luoghi abbandonati in Italia vanno messi a disposizione di chi ha idee da condividere con le comunità. Se la tua presenza in un luogo raggiunge e coinvolge gli altri, il tessuto sociale di quel posto cambia».


È vero che ha scelto di non essere rappresentato dalle gallerie d’arte? «Sono sempre stato la cosa meno interessante per una galleria d’arte. Eppure venivo da una forma di educazione che ancora oggi dice: “Quando esci dal sistema scolastico, cerca una galleria”. A me interessa poco essere rappresentato. Non ci deve essere qualcuno che parla per me, che vende per me. Io preferisco avere un rapporto diretto con chi guarda le mie opere».


Dalla stampa è stato spesso definito il nuovo Michelangelo, cosa risponde?
«Ha idea degli insulti che mi arrivano per questa cosa? Le persone pensano che sia una mia forma di megalomania. Io non ho nessun desiderio di essere il nuovo Michelangelo, che senso ha essere la brutta copia di qualcun altro, visto che la bella copia è impossibile diventarlo?».


NFT, un mercato in ascesa. In futuro realizzerà opere digitali?
«NFT oggi però è sinonimo di “vendere” e monetizzare. Poco interessante».


Più di 800 mila follower su Instagram. Uno dei pochi, o forse l’unico, contatto con l’arte per molti giovani. Che dice ai ragazzi?
«Se ammiri qualcuno devi avere l’ambizione di dire: “Voglio diventare così grande”. Questo vale per tutti: calciatori, scrittori, scultori. Chiunque sia consacrato come riferimento, a sua volta è stato un bambino e ha sognato di essere grande come i grandi maestri dei suoi tempi».


Quando il ceo di Apple, Tim Cook, è venuto a Napoli ha espresso il desiderio di incontrarla. È venuto nel suo studio. Cosa vi siete detti? «Credo abbia sbagliato strada (ride). Mi ha colpito una caratteristica: formulava domande nutrendo davvero il desiderio di capire cosa accadesse dall’altra parte. Abbiamo trascorso due ore a chiacchierare. Poi si è messo a scolpire con me».


Quindi presto nascerà una collaborazione con Apple?
«Magari esiste già...».


Che cosa ne pensa delle proteste degli ambientalisti che imbrattano quadri e sculture?
«Performance. Capisco poco le proteste che hanno bisogno di distruggere, di infangare. Magari sono giuste come principi, ma il rischio è che il gesto diventi più forte e soffochi tutto».


Se l’Italia oggi fosse una scultura?
«Toccherebbe continuare a scolpirla. È una scultura in divenire. Ma se fosse metafora dell’Italia del futuro, spererei possa trovare spazio di crescita per i giovani. Anche se viviamo di conservazione, con rispetto e amore per ciò che abbiamo ereditato, mi auguro che ci sia posto per l’intraprendenza di ragazze e ragazzi. Perché sono convinto di una cosa...».


Di cosa?
«La nuova generazione, quella con cui ci confrontiamo ogni giorno, ha presente? Ecco, quella generazione si prenderà i suoi spazi e vincerà una sfida: riuscirà — a dispetto dei pronostici — a superare la bellezza che abbiamo ereditato».