il Fatto Quotidiano, 18 gennaio 2023
Non si diventa campioni senza avere degni “Rivali”
In copertina c’è il 23 bianco su canotta da basket rossa – marchio di Michael Jordan dei Chicago Bulls – e il titolo è Rivali, ma il libro non parla di sport. Parla invece di umanità attraverso le grandi competizioni, provando a raccontare lo sport in un modo nuovo, senza “eroi” e “sfigati”. Due appunti prima di iniziare. L’avviso dello scrittore Raymond Queneau: “Confrontare non è dare ragione”, quindi l’accostamento non prevede la supremazia di uno dei due. Poi, la rivelazione del giornalista-filosofo uruguaiano Eduardo Galeano: “L’importanza di avere un mito è direttamente proporzionale al piacere di abbatterlo”.
Come spiega al Fatto Daniele Manusia, direttore di UltimoUomo, il collettivo sportivo-letterario che ha scritto il libro: “Due rivali sono necessari l’uno all’altro, la storia dell’uno appartiene anche all’altro e questa è una faccenda umana che va oltre lo sport”. Si prenda il caso più celebre: Maradona e Pelé, i calciatori che per una vita si sono contesi il titolo di “migliore al mondo”. Oltre le frecciatine tra la barricata rivoluzionaria del calcio e il potere costituito, di questa grande rivalità resterà l’ultimo incontro “sportivo” tra i due, quando su una televisione argentina a “La noche del 10” iniziarono a scambiarsi palleggi con la testa, interrotti solo dalla pubblicità. In Rivali in effetti non si cerca di dire chi è il migliore, resta il racconto di due persone che in una rivalità si possono anche specchiare. Prendiamo i duelli presenti nel libro. Alcuni sono acerrimi nemici, altri sono fratelli – uno maggiore e uno minore – e qualcuno viene addirittura ignorato dall’altro. Ci sono due apneisti Enzo Maiorca e Jacques Mayol, i pugili di Rumble in the Jungle Muhammad Ali e Joe Frazier, gli uomini che hanno portato il tennis all’apice, Bjorn Borg e John McEnroe. E ancora la sfida su tappetino che fece tremare l’Urss, Nadia Comaneci contro Nellie Kim, i nuotatori Michael Phelps e Chad le Clos, i centometristi Usain Bolt e Justin Gatlin, le due semidivinità del calcio Diego Armando Maradona e Pelé, le tenniste Billie Jean King e Margaret Smith Court e uno dei duo più amati dagli sportivi di tutto il mondo, Michael Jordan e Kobe Bryant.
“Ci interessa la relazione più di ogni altra cosa, non c’è voglia di trarre una morale o un filo conduttore”, continua Manusia. “Ogni aspetto della vita, anche lo sport, va studiato. Solo così si esce dalla glorificazione dell’eroe o dalla mortificazione dello sfigato”. In questo libro c’è la visione dello sport di UltimoUomo, che sul suo sito scrive articoli come “Viaggio nella stravaganza di Kostas Manolas” o “Perché dubitiamo delle lacrime di Cristiano Ronaldo?”. Il collettivo ha curato l’edizione italiana di Chiuso per calcio di Galeano, uscito in questi giorni, e ha già pubblicato un libro, La caduta degli dei. Quel libro raccontava le vite di grandi personalità dello sport che, in relazione al talento e alle opportunità che hanno avuto, non hanno sfondato. Anche quella è una storia umana, storie di anime come Adriano, Cassano, Gascoigne o Pantani, incompatibili con ambienti pieni di soldi e pressione. L’esperimento con Einaudi si ripete con Rivali: “È bello scrivere di storie così particolari perché ogni racconto si trasforma in una scia di rimandi, di altri libri e di altre storie”.
Non solo, è anche la “nuova via” interpretativa dell’UltimoUomo. “Si celebrano solo i vincitori e si dimentica quanto la competizione sia necessaria per raggiungere livelli di eccellenza impensabili in solitudine”, spiega Manusia. Che la rivalità trovi sfogo o che resti lì a far sognare i tifosi, mentre gli interessati si disinteressano, Rivali ci ricorda non solo che i duelli non sempre sono voluti (o reali), ma anche a non guardare mai solo al primo perché, come disse Gianni Mura, senza gli ultimi non esistono primi.