Corriere della Sera, 18 gennaio 2023
Alessandra Necci racconta le sovrane Asburgo
Nell’Austria felix non tutti i figli furono maschi e non tutti i matrimoni furono efficaci. Alessandra Necci, infaticabile biografa di personaggi francesi e già vincitrice del Premio Comisso, ritaglia in parallelo le biografie dell’imperatrice Maria Teresa d’Austria (1717-1780) e della figlia, la regina Maria Antonietta d’Asburgo Lorena (1755-1793), giunte presto e impreparate al potere (La regina e l’imperatrice. Maria Antonietta e Maria Teresa. Due destini tra l’assolutismo e il dramma della Rivoluzione, Marsilio). La differenza fu nell’uso che le due Marie seppero fare degli strumenti a disposizione: la madre studia, lavora e regna con giudizio e capacità; la figlia è abbandonata a se stessa e travolta dagli eventi. Una passerà alla storia come «la grande Maria Teresa»; l’altra come «la lupa austriaca». Ma andiamo con ordine.
Dei 16 figli dell’imperatrice Maria Teresa, che salì al trono grazie alla Prammatica sanzione, due divennero imperatori e due regine; una di queste fu Maria Antonietta, data in sposa al re di Francia Luigi XVI. Moglie di un marito conosciuto quando aveva 11 anni, ottima madre che chiamava i piccoli con nomignoli tipo Muslein, topolino, Maria Teresa seppe essere amata anche dai sudditi, emblema della forza e della determinazione, emanazione della Ragion di Stato. A Milano, per esempio, sotto le indicazioni del principe Anton von Kaunitz-Rietberg, numero uno dell’impero, Maria Teresa mutò il volto della città, specie, come al solito, dopo un matrimonio: quello tra il figlio Ferdinando d’Asburgo Lorena e Maria Beatrice Ricciarda d’Este, avvenuto il 15 ottobre 1771. Questo grande evento, raccontato da Parini, con Mozart che mette in scena l’Ascanio in Alba e Piermarini che realizza l’architettura effimera per le feste, segna la palingenesi della seconda città del suo impero. Presto nasceranno la Scala, la Villa Reale di Monza, Brera...
Quello di Maria Teresa, come ha recentemente scritto a questo proposito Luigi Mascilli Migliorini, era «quel Settecento scintillante in superficie e carico di nubi assai minacciose». Nubi che si riversarono sulla figlia Maria Antonietta, il cui matrimonio era stato pensato in linea con il celebre motto dell’impero: «Bella gerunt alii, tu felix Austria nube», frase tradizionalmente attribuita a Mattia Corvino che significa «le guerre le fanno (oppure, le facciano) gli altri, tu, Austria felice, sposati», alludendo alla tradizione dei matrimoni dinastici per governare. Fu proprio il cancelliere Kaunitz a promuovere i matrimoni di due figlie dell’imperatrice: quello di Maria Carolina, data in sposa al giovane re di Napoli Ferdinando, e quello, appunto, di Maria Antonietta. Una pianificazione famigliare che consentiva agli Asburgo di assestarsi con i Borbone sia in Italia che a Parigi. Ma per le due ragazze nulla andò come previsto: se il primo matrimonio fu burrascoso, il secondo si schiantò sotto il cirrocumulo al quale accenna Migliorini: la Rivoluzione francese.
Maria Antonietta fu una regina fuori tempo. Arriva in Francia ventenne, nel momento sbagliato, e anche se non ha avuto tutti gli amanti che le si attribuiscono, il suo problema fu non aver avuto una guida. Da qui frivolezza nel vestiario, nei gioielli e nel gioco. Per Necci, che a tratti fa parlare lei e la madre in prima persona, è una principessa moderna, «un po’ alla Lady D», una icona delle folle (che non la amano), che vuole essere libera senza mancare ai doveri di corte. Superficiale, forse, moderna, fashion victim e anche influencer, fu rococò dentro, uno svolazzo di piume tra i salotti degli eruditi, icona di quel Settecento licenzioso. In chiave un po’ psicologica, Necci le fa trovare, di fronte alla Rivoluzione, le parole giuste per riflettere – per la prima volta – su se stessa e sul proprio destino. Ma è tardi e viene ghigliottinata dalle pretese di moralità e purezza del giacobinismo, mettendo fine, senza saperlo, all’Ancien Régime.
Una delle tante leggende su di lei vuole che, calpestando il piede al boia mentre saliva al patibolo, esclamò: «Pardon, non l’ho fatto apposta». Necci, anche sulla scorta di Stefan Zweig (il testo, infatti, è sia storico-letterario che basato su fonti saggistiche), fa strame di questa e altre dicerie, tra le quali la celebre «se il popolo non ha pane che mangi le brioche».
Più che alla regina del Trianon, l’autrice è incuriosita dalla ragazza troppo diffamata e abbandonata nella disgrazia. Una disgrazia che inizia subito, visto che il matrimonio non viene consumato per sette anni («rien» scrive sul suo diario il re), e una diffamazione continua in libelli volgari, caricature licenziose, terzine infamanti e maldicenze sulle gazzette. I fratelli Goncourt, in Histoire de Marie-Antoniette del 1858, la ritengono «l’unica donna pura in un secolo profondamente corrotto e decadente». Questa affermazione è troppo paradossale verso Maria e non fa giustizia a un secolo: nessun secolo fu più grande del Settecento, che seppe unire ragione e sentimento, storia e progresso in un’inarrivabile bellezza. Ma per godere di tutto ciò bisognava trovarsi seduti dalla parte giusta della storia. Maria Teresa fu seduta per sempre; Maria Antonietta solo fino a 38 anni.