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 2023  gennaio 18 Mercoledì calendario

Nel nome del figlio (di un padre troppo famoso)

“‘Né padri né figli’, mi disse una spiritosa signora, dopo aver letto il mio libro: ‘Ecco il vero titolo del vostro racconto, e voi stesso siete un nichilista’”. Così Ivan Turgenev scriveva in un’appendice al suo romanzo Padri e figli (1862). Un’annotazione perfetta per fungere da epigrafe a quanto Eduard, uno dei figli di Albert Einstein, disse a proposito di suo padre. Un giornalista gli aveva chiesto “che cosa avesse significato essere figlio di un genio”. Eduard, malato di schizofrenia, “lo aveva fissato con i suoi occhi azzurri da bambino. Poi in modo lento e chiaro aveva risposto: ‘Scriva che avere avuto come padre il genio del secolo non mi è mai servito a niente’. Le labbra si erano leggermente piegate in un accenno di sorriso, come se ora fosse finalmente felice”.
A raccontare degli Einstein è Laura Gaetini, avvocato matrimonialista ed esperta di diritto di famiglia e dei minori. Nel suo libro Un padre su misura (Araba Fenice) ricostruisce con sensibilità, chiarezza e con una scrittura incisiva alcune storie di padri e/o figli famosi: dagli Einstein, per l’appunto, ai Papi del Rinascimento (come il Borgia), da Solimano il Magnifico a Gandhi, Mussolini, Hitler, Goebbels, Coco Chanel, Pier Paolo Pasolini, Peppino Impastato… Vicende, rammenta Mattia Feltri nella prefazione, che nella maggior parte dei casi “sono una cupa e a volte tragica testimonianza della difficoltà di essere padri e figli. Tanto più esemplare, quanto più straordinaria è la personalità dei protagonisti, tutti realmente vissuti e consegnati per motivi diversi alla storia”.
A chiudere il libro, e a riscattare in positivo tante nefandezze, tanta paternità negativa, come fanno quegli straordinari personaggi che compaiono nei romanzi più cupi di Charles Dickens, è la vicenda di un padre affidatario dei nostri tempi. È Roberto Spada, “coltissimo gentleman, commercialista di successo e grande collezionista d’arte contemporanea, le cui opere arredano il vasto e luminoso ufficio a due passi dal Duomo”, a Milano. L’affido di Michael diventerà una paternità a tutti gli effetti. A diciotto anni, narra la Gaetini, “quando è decaduto l’affido secondo le previsioni di legge, Roberto ha dato un’accelerata alla sua scelta d’amore e ha adottato ufficialmente Michael che, oggi, a ventidue anni, al suo cognome originario può unire anche quello di Roberto. Ora sta completando i suoi studi a Ginevra presso la Ecole Hôtelière e il fine settimana rientra a casa a Milano”.
Roberto e Michael sono il raggio di sole nel buio tombale delle storie di padri, madri, figli e figlie, ricostruite in modo esemplare dalla Gaetini. Storie inumane, indicibili. Perché quei padri, per svariate ragioni, non seppero parlare la lingua che, dice la Gaetini, è “il cibo dell’anima”. Scrive l’autrice: “‘Papà perché la luna ci segue?’. Chiesi a mio padre, quando ero piccola, una sera d’autunno rientrando a casa. Io non ricordo cosa rispose, ma ricordo che le sue parole mi convinsero e mi rassicurarono. Da allora è passato quasi mezzo secolo e nei giorni di sole ma soprattutto in quelli bui, nelle sconfitte e nelle difficoltà le parole di mio padre continuano a darmi fiducia. Ai genitori vorrei dire: parlate, parlate e parlate ai vostri figli, perché le parole di un padre o di una madre sono il cibo dell’anima”.
Certamente non nutrì i suoi figli con quel “cibo” Auguste, la madre di Magda Goebbels, moglie del fanatico gerarca nazista Joseph Goebbels. Nel pieno dello sterminio, Magda fu informata dalla tremenda mamma che il suo vero padre era l’ebreo Richard Friedlaender, appena deportato in un campo di concentramento.
E lontano da ogni “cibo dell’anima” fu Luigi Impastato, il papà di Peppino, poi assassinato dalla mafia. Legato al clan del boss di Cinisi, Gaetano Badalamenti, “uomo d’onore” a sua volta, il padre di Peppino cercò di raddrizzare quel figlio ribelle, che offendeva Cosa Nostra. Arrivò quasi a strangolarlo. Gli stringeva il collo e sibilava: “Lo onori tu, tuo padre? Ti rompo io le ossa, prima che le rompano quelli”.
Anche Luigi Impastato, cioè un uomo di niente, ovvero un uomo del disonore e della bestialità mafiosa, in fondo la pensava come Stalin. Il dittatore sovietico, ricorda la Gaetini, non riteneva forse che “un uomo di acciaio” non “deve finire travolto dai legami familiari”?