Corriere della Sera, 18 gennaio 2023
Amori, Viagra e pizzini di Matteo Messina Denaro
Sono almeno sei le donne della sua vita da latitante, ma una Matteo Messina Denaro non l’ha mai vista: sua figlia. Così dicono. Frutto di un amore rapido e furtivo con una compaesana di Castelvetrano, Franca Alagna, la donna che partorì quando il boss era ormai braccato, cosciente di non doversi più avvicinare né alla compagna né alla piccola perché tenute sotto continua osservazione dalle forze di polizia già al momento della nascita. Siamo nel 1995 e il figlioccio di Totò Riina è con Provenzano il ricercato numero uno non solo per i massacri di Capaci e via D’Amelio, ma anche per le stragi del ’93 a Milano, Firenze e Roma.
Una carriera criminale intrecciata, secondo il profilo dei dossier accumulati nei computer di centinaia di investigatori, con la arrogante tracotanza di chi seminava morte concedendosi vacanze da nababbo, bei vestiti, costosissimi orologi, corse mozzafiato su potenti bolidi, sempre circondato da belle donne. Una vita segnata anche da qualche tenerezza e qualche obbligata scelta. Mollando non solo la madre di sua figlia ma anche qualche fidanzata. Sempre per precauzione, guardingo, come si intuisce in una lettera che risale al primo periodo di latitanza, un «pizzino» d’amore che chiude il rapporto con la fiamma di allora, Sonia: «Non voglio nemmeno pensare di coinvolgerti in questo labirinto da cui non so come uscirò per il semplice fatto che non so come e quando ci sono entrato. Non pensare più a me, non ne vale la pena...».
Si chiude una storia, ma se ne apre un’altra con Maria Mesi, una sventurata finita nei guai, arrestata per favoreggiamento. Anche perché nel 1995 fece consegnare a Messina Denaro una lettera temendo un’operazione sgancio: «Ti prego non dirmi di no, desidero tanto farti un regalo. Sai ho letto sulla rivista dei videogiochi che è uscita la cassetta di Donkey Kong 3 e non vedo l’ora che sia in commercio per comprartela. Quella di Secret Maya 2 ancora non è arrivata. Sei la cosa più bella che ci sia». Si rividero e fu pedinando lei che la polizia sfiorò la cattura del boss. Era il 1998 e così gli investigatori scoprirono un covo a Bagheria in via Milwaukee 40. Quando gli agenti fecero irruzione, il latitante era già fuggito lasciando sul tavolo un barattolo di Nutella, uno di caviale, un puzzle incompleto e una stecca di sigarette Merit. Nella casa di Campobello perquisita due giorni fa aveva invece profilattici e Viagra.
Talvolta le storie si accavallano e quando Matteo il viveur molla un’avventura è perché ne incrocia un’altra. Come accadde con l’austriaca Andrea Haslener, che lui chiamava Asi. Fidanzati per quattro anni, dal 1989 al 1993. Lei, bionda receptionist all’hotel Paradise Beach di Castelvetrano. Lui, arrogante frequentatore dell’albergo. Generoso con i suoi «picciotti», tutti invitati a caccia di aperitivi e turiste. Senza pagare. Sgradito al direttore della struttura, Nicola Consales, una persona perbene, anche lui innamorato della bella straniera e per questo ucciso in un agguato nel 1991.
Scattò nel 1995 l’infatuazione per Franca Alagna, rimasta incinta di Lorenza, stesso nome della nonna paterna, nata l’anno successivo, denunciata con cognome materno all’anagrafe, cresciuta senza vedere nessuno. Messina Denaro era già il boia delle stragi e doveva nascondersi. Come costrinse a fare madre e figlia. Vite da recluse. Fatta eccezione per i pranzi con nonna Lorenza e le sue figlie, Rosalia, Bice, Giovanna e soprattutto Patrizia, la più intraprendente della famiglia, finché non arrestarono pure lei. Solo nel 2013, quando Lorenza stava per diventare maggiorenne, lei e la madre chiesero di poter lasciare Castelvetrano, di allontanarsi dal resto del clan, con l’assenso del boss che a quel punto si sarebbe rassegnato a non conoscere la figlia e nemmeno il nipotino nato l’anno scorso, senza il cognome del padre, ma della madre.
Fra tante donne frequentate dal boss anche con i Graviano a Forte dei Marmi, su tutte, spicca però non per amore ma per istinto di sopravvivenza, come la più importante della sua vita, la sorella Patrizia. La più fidata, per anni unico canale autorizzato a fare da trait d’union con messaggi per complici, fiancheggiatori, imprenditori locali. Di qui la condanna a 14 anni per associazione mafiosa con motivazione chiara: «È accertato il fatto che l’imputata aveva veicolato importantissime comunicazioni da e per il carcere, facendo da tramite tra gli altri mafiosi detenuti e il fratello latitante». Un’assenza che deve aver pesato nell’ultima fase della latitanza, lasciando allo scoperto il nonno adesso al 41 bis. Ma a questo penserà un’altra donna di famiglia, una nipote, Lorenza Guttadauro, l’avvocata quarantenne figlia di Filippo, a sua volta cognato del boss perché ha sposato una delle sorelle, Rosalia. Sarà Enza l’ultima donna a occuparsi del padrino e delle sue carte bollate.