la Repubblica, 18 gennaio 2023
Italo Calvino: Bambini e topi ci domineranno
Italo Calvino pubblicò I bambini e la comare il 21 dicembre 1969 su Paese sera. È una breve meditazione-racconto sul futuro, sorridente, inquieta e affabile, che racchiude tante cifre dello scrivere calviniano nell’avvicendarsi rapido di registri discorsivi: la riflessione sociologica, l’apertura fiabesca, gli scorci distopici. Il ragionamento si fa subito affabulazione, flusso di visioni di collettività che culminano nell’immagine interrogante dello «squittìo di milioni di topi». Narra di vecchi e bambini, di un divaricarsi delle generazioni, di un mondo dove gli adulti sono sagome opache nella scena metropolitana, sbiadite per l’assorbimento da lavoro e le nevrosi, chiuse nelle case e nelle vetture, spettatori di una perturbante rinascita animale (Bruno Falcetto)
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Fra vent’anni, se vivrò, sarò un vecchio: se penso alla vita tra vent’anni è naturale che mi domandi quale sarà la sorte dei vecchi. La vecchiaia oggi e più sicura e comoda di una volta, — dico in un senso pratico, materiale — e lo sarà sempre di più; ma i vecchi contano sempre meno, «significano» sempre meno. Nella commedia della vita umana, il vecchio era un personaggio immancabile: personaggio positivo o negativo, mitico — magico o ridicolo — brontolone, bisognava comunque fare i conti con lui. Ma già oggi questo personaggio è uscito di scena; nella famiglia non ha più un posto; la società tende a espellerlo. Già oggi in larga parte dell’America e dell’Europa occidentale e orientale ai vecchi sono assegnati territori separati geograficamente e socialmente dal resto dell’umanità, «riserve» più o meno dorate, zone temperate e tranquille, abitate quasi esclusivamente da pensionati e da medici.
È probabile che in futuro il solco che divide la città produttiva dalla sempre più estesa anticittà del riposo senile si approfondisca; che nessuno osi più mettere piede nel mondo dei vecchi se non quando giungeper lui l’ora d’entrarvi per non tornare più indietro; e che l’immagine di questa sorta di al-di-là terrestre, continuamente affiorante e continuamente scacciato dalle coscienze, si carichi d’attributi straordinari, di poteri benefici o malefici. Forse allora ci sarebbero dei giovani che, nella loro ribellione al mondo dei padri, verrebbero a rifugiarsi nelle lande tabù del paese dei nonni, e vi farebbero perdere le loro tracce. Riapparirebbero in rapide incursioni che getterebbero la città nello sgomento, considerati da alcuni orde di predoni, da altri annunciatori d’una nuova legge che i vegliardi avrebbero elaborato nella loro contemplativa solitudine e trasmesso ai giovani fuggiaschi mediante misteriose iniziazioni.
Ecco che il riflettere sul futuro dei vecchi porta necessariamente a interrogarci sul futuro dei giovani; anzi, dei fanciulli e dei bambini, perché decisive saranno le esperienze di vita collettiva dell’infanzia: i riti d’iniziazione che marcano l’ingresso nella società saranno anticipati ai primi anni di vita.
Durante i prossimi vent’anni la vita della prima infanzia attraverserà i momenti più difficili nella storia del genere umano. Cancellata ormai da tempo l’immagine del padre, sbiadita l’immagine della madre (che torna a casa dal lavoro solo la sera), l’infanzia si libererà di molte occasioni di nevrosi e ne acquisterà di nuove. Ci si può consolare pensando che, qualsiasi infanzia gli tocchi, chi vive in quest’epoca non si salverà dalla nevrosi, e dato che i genitori sono certamente due nevrotici, il bambino ha tutto da guadagnare a vederli il meno possibile. È prevedibile che la nevrosi sul lavoro andrà crescendo tra gli uomini mentre tra le donne — appena riusciranno a non pensare più alle faccende domestiche — tenderà a diminuire; per cui le mansioni tecniche e amministrative saranno affidate sempre più alle donne; e questo generalizzerà il distacco precoce dei bambini dalle madri.
Dove staranno i bambini durante la giornata? Nidi e asili infantili — anche se costruiti in gran numero — saranno irraggiungibili per l’ingorgo permanente del traffico. La rete di giardini d’infanzia più modernamente attrezzata resterà quasi deserta, perché i bambini non potranno esservi accompagnati né dai genitori, già assillati ed esausti dal problema quotidiano di raggiungere i luoghi di lavoro e di tornare a casa, né da mezzi di trasporto collettivi, che non riuscirebbero a stazionare davanti alle case.
Il sistema di «lasciare i bambini a una vicina», praticato oggi da un gran numero di donne lavoratrici, s’estenderà al punto che in ogni caseggiato popolare ci saranno delle comari che per un compenso modico custodiranno bambini a centinaia, e non disponendo di spazi capaci di contenerli, li lasceranno dilagare in grandi branchi sul suolo pubblico, provocando blocchi stradali e devastazioni di supermercati. Come pastori che seguono un armento al pascolo, le comari interverranno solo in casi di estrema necessità per cercar d’arginare gli spostamenti del branco, che peraltro si muoverà secondo una sua imprevedibile autonomia e ostinazione. Sarà presto chiaro che se il bambino non abbandona il branco, è il branco stesso a proteggerlo meglio di qualsiasi tutore adulto.
Il flusso dei veicoli (molto lento comunque e soggetto a continue soste) sarà obbligato a fermarsi ogni volta che la carreggiata sarà invasada una falange di infanti che stanno imparando a camminare; si vedranno camion e autobus annaspare con le ruote e retrocedere spinti da una carica di lattanti.
Forza della natura inarrestabile, queste moltitudini di pargoli si abbatteranno come sciami di locuste sulle mercanzie incustodite (i centri di vendita a self-service avranno completamente sostituito i piccoli negozi). Solo la musica potrà influire sul branco, attraendo in una direzione o allontanandolo con suoni sgradevoli; gli strumenti più usati saranno cimbali, sistri, raganelle, buccine, maracas. Ma alla sera, con la stanchezza e il sonno, basterà alle comari un flauto o uno zufolo per riprendere il sopravvento e trascinarsi dietro il codazzo sbadigliante.
Tutto un nuovo sistema d’apprendimento, un nuovo universo di credenze e d’immagini nascerà in queste quotidiane transumanze urbane, una nuova lingua (vi s’attuerà una prima fusione tra le ondate migratorie che da tutti i continenti convergono sulle metropoli), un nuovo modo di vedere il mondo, con la collettività dei coetanei come realtà prima, con lo stock sempre rinnovato delle merci come foresta e pascolo e perpetua primavera, con gli automezzi come bestie feroci.
Un solo animale dell’antica zoologia continuerà a imporre la propria immagine: il topo. I sistemi di derattizzazione sempre più micidiali avranno portato alla selezione d’una razza di topi resistenti a ogni mezzo di sterminio, forse immortali, che si riprodurranno incessantemente contendendo all’uomo il possesso della metropoli. La lotta per la sopravvivenza potrebbe sviluppare in quei roditori facoltà mentali superiori, tali da permettere loro d’allevare nel sottosuolo altri animali e impiegarli nella lotta contro l’uomo: serpenti, coccodrilli, piovre.
Come un tempo l’ululato dei lupi, gli uomini chiusi nelle case ascolteranno ogni notte tremando lo squittio di milioni di topi che si leverà più alto del rombo dei boeing e dei razzi, a promettere che il regno animale sconfitto risorgerà da sottoterra.