la Repubblica, 18 gennaio 2023
Intervista a Jessie Burton
A utrice nel ’14 di un esordio blockbuster intitolatoIl miniaturista ,
l’inglese Jessie Burton, nata nel1982 e formatasi all’Università di Oxford, firma un’altra puntata della medesima vicenda. A suo tempo fu tradotta in una quarantina di lingue, vendette un milione di copie e diede vita a una serie tv magica e cupa. Il libro puntava i riflettori sulle avventure di Nella, una giovane immessa nell’Amsterdam del tardo 17esimo secolo. L’ambiente era ritratto in chiaroscuri alla Vermeer e alla Rembrandt che parevano stamparsi in maniera suggestiva nell’occhio del lettore.
Complicatissimo il tracciato dell’azione: grazie al matrimonio col vecchio mercante Johannes, Nella entra in una famiglia dell’alta società che si sfalda via via sotto il peso di scandalosi segreti. Dopo vicissitudini adeffetto, Il miniaturista termina con l’immagine di Nella, rimasta vedova e ancora vergine, che tiene fra le braccia la figlia del nero Otto, un ex schiavo, e della sorella di Johannes, Marin.La casa del Destino ,romanzone appena uscito per La nave di Teseo, prolunga la trama di quel thriller storico facendoci ritrovare Nella diciott’anni dopo, calata nello stesso clan. «La creaturina color caffellatte nata dal peccato dinastico è divenuta nel frattempo una splendida fanciulla chiamata Thea», spiega in un’intervista a distanza Jessie Burton, avvenente signora bruna di aspetto più mediterraneo che britannico.
«Intanto il tracollo economico della famiglia pare segnato. Nella ricama strategie allo scopo di garantire a Thea un consorte abbiente. Ma il tutto è complicato dalla passione che la ragazza nutre per il pittore di scene teatrali Walter». Aggiungiamo una notizia-chiave per cogliere l’impalcatura del racconto e la sequenza che lo connette alMiniaturista : nellaCasa del Destinoriaffiora il misterioso miniaturista dell’opera precedente, in cui Nella riceveva oggetti, figurine e arredi per riempire la minuscola dimora ludica donatale dal marito. Quegli enigmatici contributi scandivano il sortilegio di una serie di scoperte familiari e di un’anticipazione continua di accadimenti che si sarebbero verificati in seguito.
Jessie Burton: cosa l’attrae del romanzo storico?
«Mi hanno interessato sempre le vite trascorse. Da piccola, portata dai miei genitori, visitavo spesso antiche magioni, castelli e musei, sentendomi affine a tempi e luoghi remoti. Mi affascinano i dettagli sociali, il cibo, le usanze e i vestiti, oltre alle paure e ai sogni di individui che hanno percorso altre epoche».
È stata influenzata dalla bravura di una scrittrice-modello per questo filone come Hilary Mantel?
«Moltissimo. Mantel ha dimostrato che la narrativa storica può apparirci fresca e attuale. Grazie ai suoi libri ho compreso che si può attraversare con la mano il tessuto del tempo e toccare esseri umani scomparsi».
Perché realizzare un sequel del “Miniaturista”? Non è rischioso riagganciarsi al plot di un bestseller?
«L’Amsterdam del 17esimo secolo e la sorte di Nella continuavano a tornarmi in mente. Quel mondo occupa uno spazio speciale dentro dime. Qualcosa che è legato alla purezza del mio io infantile. Con La casa del Destino non ho mai pensato di replicare il successo del
Miniaturista . Ho solo avuto voglia di guidare Nella lungo i passi della sua esistenza successiva. Non credo che Il miniaturista avesse un finale chiuso.
Scrivendo La casa del Destino , mi sono accorta di aver lasciato numerose briciole nel bosco».
Ha confessato di aver sofferto d’ansia e panico dopo il boom del “Miniaturista”. Il plauso rende fragili?
«Non sempre riusciamo a fronteggiare il raggiungimento di una meta. A volte la fortuna ci sommerge con troppe sollecitazioni. Comunqueadesso ho acquisito familiarità con un
modus vivendi che gestisco meglio».
Prima di diventare scrittrice, lei è stata attrice teatrale. Come si sono intrecciate le sue due vocazioni?
«Premesso che considero La casa del Destino una lettera d’amore al teatro, rispondo che la differenza tra scrittura e recitazione sta nel fatto che la prima è un’attività solitaria e la seconda è sociale. L’isolamento è arduo per me, che sto bene con gli altri. Tuttavia vedo i personaggi dei miei libri olandesi come gli interpreti di unplayteatrale, i quali si muovono nelle pagine come su un palcoscenico».
Perché ambientare le trame in Olanda e non nel suo Paese,
l’Inghilterra?
«La genesi del Miniaturista era radicata proprio ad Amsterdam: lo spunto fu la casa delle bambole di Petronella Oortman che vidi al Rijksmuseum. Aggiungo che Amsterdam, alla fine del 17esimo secolo, era un luogo prospero, seducente e colmo di arte e di nevrosi, cioè un campo d’indagine assai stimolante per uno scrittore.
D’altronde Londra, dove vivo, ha molto in comune con Amsterdam: è il cuore di un’ex potenza imperiale, ospita una mix di culture e contiene inesauribili novità e pericoli».
Nel nuovo libro spicca il tema dell’invecchiamento: Nella invidia la giovinezza di Thea.
«Oggi per molte donne è un tabù ammettere di essere gelose delle giovani. Si suppone che ci si senta innamorate del proprio io che invecchia, ma non è mai così. La gioventù è talmente glorificata che le aspirazioni alla bellezza ci restano incollate addosso malgrado il nostro declino. Eppure Nella, nonostante i suoi rimpianti, deve accettare il fatto che l’unica strada da intraprendere è il suo futuro».
Un altro argomento-chiave della storia è il razzismo.
«In quel periodo Amsterdam era più eterogenea e miscelata di come i quadri e i documenti ci abbiano fatto credere. I musei e i governi avevano scelto di rappresentare il passato del Paese con una certa uniformità.
Tuttavia negli ultimi anni c’è stata una massiccia revisione. Gli olandesi erano schiavisti che causarono diseguaglianze, pregiudizi ed emarginazione. Nel 18esimo secolo la parola razzismo non esisteva, ma chi somigliava a Thea era considerato “diverso”. Per questo Nella cerca di costruire un avvenire protetto per Thea»