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 2023  gennaio 17 Martedì calendario

Da "Che cos’è il cristianesimo. Quasi un testamento spirituale" di Benedetto XVI (Mondadori)

Un’espressione essenziale del rapporto con i morti è in tutte le religioni tribali il culto degli antenati, che perlopiù venne considerato in passato in opposizione con la visione cristiana della vita e della morte. Horst Bürkle ha proposto un’appropriazione e una rappresentazione nuova del culto degli antenati che a me sembra degna di considerazione. Egli mostra che l’individualismo che si è sviluppato in Occidente e rappresenta la più forte resistenza nei confronti del culto degli antenati si contrappone, in realtà, anche all’immagine cristiana dell’uomo che ci vede protetti nel misterioso corpo di Cristo.

Il legame dell’uomo con Cristo non è solo un rapporto io-tu, ma crea un nuovo noi. La comunione con Gesù Cristo ci introduce nel corpo di Cristo, vale a dire nella grande comunità di tutti quelli che appartengono al Signore e oltrepassa perciò anche il confine tra morte e vita. In questo senso la comunione con quanti ci hanno preceduto è parte essenziale dell’essere cristiano. Ci permette di trovare forme di comunione con i morti, che forse in Africa si presentano diversamente dall’Europa, ma in ogni caso ci consentono di operare una trasformazione ricca di senso del culto degli antenati.

Ora, però, si pone la questione di come la fede in un unico Dio possa superare il mondo degli dèi. Il verbita Wilhelm Schmidt ha sostenuto la tesi che la fede nell’unico Dio si pone all’origine della storia della religione e venne progressivamente sempre più oscurata dalle molteplici divinità, finché fu in grado di sopprimere ancora una volta gli dèi. Egli stesso ha alla fine ammesso che un tale sviluppo non può essere dimostrato.

Piuttosto, in qualche modo si sapeva sempre che gli dèi non sono semplicemente il plurale di Dio. Dio è un Dio al singolare. Egli esiste solamente nell’unità. La pluralità degli dèi si muove a un altro livello. Di fatto il mondo nei suoi diversi ambiti è retto da divinità che possono dominare solo su una parte. (…)

Nell’estensione della storia delle religioni Dio è stato considerato come un monarca che ha sì potere su tutto, ma non lo esercita. L’unico vero Dio non ha bisogno di culto, perché non minaccia nessuno e non ha bisogno dell’aiuto di nessuno. La bontà e la potenza dell’unico vero Dio condizionano nello stesso tempo la sua insignificanza. Non ha bisogno di noi e l’uomo crede di non aver bisogno di lui.

Con la proliferazione della fede negli dèi crebbe la nostalgia che il vero Dio potesse liberare l’uomo dal regime di paura nel quale si era ampiamente sviluppata la fede negli dèi. Secondo la convinzione dei cristiani, con Gesù era successo proprio questo: l’unico Dio entra nella storia delle religioni e depone gli dèi. Soprattutto Henri de Lubac ha dimostrato che il cristianesimo venne percepito come liberazione dalla paura nella quale la potenza degli dèi aveva imbrigliato gli uomini. In fondo il possente mondo degli dèi crollò perché entrò in scena l’unico Dio e pose termine alla loro potenza.

Monoteismo

L’intera contesa della storia delle religioni termina con la vittoria dell’unico Dio sugli dèi

Io ho cercato di descrivere un po’ più da vicino questo evento nell’opera collettanea Gott in Welt pubblicata in occasione dei sessant’anni di Karl Rahner, e ho potuto stabilire che vi sono due vie d’uscita dalla fede negli dèi. Dapprima le religioni monoteiste originate dalla radice di Abramo, nelle quali l’unico Dio come persona determina il mondo intero. Accanto a queste vi è una seconda uscita, vale a dire le religioni mistiche con il buddismo Hinayana come forma centrale. Qui non vi è alcun unico Dio personale, bensì anche l’unico Dio viene dissolto, diventa evanescente. La via del Buddha tende all’annichilimento.

Nella realtà questa forma severa di dissolvimento mistico di tutte le singole figure non si è imposta, ultimamente però è rimasta sempre come rappresentazione finale e ha raggiunto una potente efficacia attrattiva proprio nelle culture d’Europa una volta cristiane. Nell’ambito linguistico tedesco ha trovato un’espressione nella frase attribuita a Karl Rahner: «Il cristiano di domani sarà un mistico, oppure non esisterà più». In apparenza questo mira a un’interiorizzazione e a un approfondimento interiore della fede. (…) Per molti, invece, nasconde solo il programma di presentare come secondarie tutte le forme concrete della fede per giungere ultimamente a una devozionalità impersonale, come quella che Luise Rinser indica come la superiore forma dell’esser cristiani nel frattempo da lei conseguita.

La scrittrice tedesca mi ha personalmente spiegato che lo scopo della pubblicazione dello scambio epistolare con Karl Rahner era quello di dimostrare che lei era una mistica e che il lungo percorso spirituale da lei compiuto con Rahner sfociava da ultimo nella spiegazione mistica del cristianesimo. Non mi è divenuto chiaro fino a che punto Luise Rinser volesse coinvolgere Rahner nella trasformazione del cristianesimo in una religione mistica. In ogni caso voleva offrire una spiegazione della famosa frase di Rahner come apertura verso il futuro.

In verità una tale interpretazione del cristianesimo è in contraddizione con la sua più intima intenzione e la sua concreta configurazione. Per il cristiano, il Dio che in Gesù Cristo si lega mani e cuore a noi uomini e che per noi e in noi ha sopportato l’essere uomo fin nella morte e oltre la morte è il centro del cristianesimo.

L’intera contesa della storia delle religioni tra Dio e gli dèi non termina con il fatto che Dio stesso alla fine svanisca come un feticcio. Termina invece con la vittoria dell’unico vero Dio sugli dèi che non sono Dio. Termina con il dono dell’amore che presuppone l’essere persona di Dio. Pertanto, anche per l’uomo termina con il fatto che egli diventa persona pienamente nell’accettare e nel trasmettere di essere amato da Dio.