Corriere della Sera, 17 gennaio 2023
Petrarca non amava Dante
PETRARCA NON AMAVA DANTE
(MA NON È DI SINISTRA)
Caro Aldo,
chissà perché, ma mi è venuto in mente lei come il primo a cui chiedere se nell’olimpo della destra italiana davvero ci sia un posto come padre del pensiero per Dante Alighieri? Il ministro Gennaro Sangiuliano sembra pensarla così! Oltre all’Italia il sommo poeta ha inventato anche dell’altro, quindi?
Mario Taliani, NocetoCaro Mario,
destra e sinistra sono categorie moderne, come sa bene Gennaro Sangiuliano. Semmai, la destra italiana ha guardato a Dante, compresa quella fascista. Mussolini lo citava spesso, e negli ultimi giorni di Salò vagheggiava di trincerarsi in Valtellina con le ceneri del poeta; come a dire che l’Italia moriva con lui. Margherita Sarfatti ne era ossessionata: usava la Divina Commedia come un libro divinatorio, lo apriva a caso e ne traeva presagi. Il 28 aprile 1945, giorno della morte del Duce, la sua antica amante aprì la Divina Commedia al canto XXVIII dell’Inferno: la descrizione della nona bolgia, in cui sono puniti i seminatori di discordie. E, con suo grande turbamento, lesse la terzina dove Dante apostrofa Mosca dei Lamberti – il fiorentino illustre che ha le mani mozze e la faccia insanguinata – annunciandogli la rovina della sua casata e facendolo andar via folle di dolore: «E io li aggiunsi: “E morte di tua schiatta”;/ per ch’elli, accumulando duol con duolo,/ sen gio come persona trista e matta».
Ma a Dante aveva guardato anche il Risorgimento. Mazzini e Garibaldi lo adoravano. Scrisse Carducci che, quando leggevano l’invettiva «Ahi serva Italia», ai padri della patria si drizzavano i capelli, «le mani cercavano la carabina e incontravano le catene dei tiranni». I patrioti che unificarono una nazione politicamente giovane ma culturalmente antica avevano bisogno di antenati nobili. In realtà, per Dante l’Italia non era uno Stato (c’era l’Impero, c’erano le libertà comunali), ma un patrimonio di bellezza e di valori, un’idea e una missione: conciliare la classicità e la cristianità, la Roma dei Cesari e la Roma dei Papi. In altri tempi, Dante fu meno amato. Voltaire sosteneva che fosse più citato che conosciuto (cosa vera ancora oggi). Machiavelli lo criticò per il suo «stile porco». Petrarca sosteneva di non averlo mai letto; anche se questo non fa di lui un uomo di sinistra.
Semmai ci si può chiedere se Dante fosse un conservatore. Certo aveva nostalgia del passato. Condannava i «subiti guadagni», gli arricchimenti improvvisi. Mandava all’Inferno gli usurai, accanto ai bestemmiatori, con questo ragionamento: la natura è figlia di Dio, l’arte imita la natura, quindi è nipote di Dio; l’uomo trae il suo pane dalla natura – il contadino, il vignaiolo – o dall’arte – l’artigiano, l’artista —; chi fa soldi con altri soldi offende Dio. Firenze era già una capitale finanziaria; e alcune cose della sua modernità a Dante non andavano bene. Ma in un mondo in cui si discuteva se la donna avesse o no l’anima – e qualche teologo diceva di no —, Dante esalta la donna come tramite tra l’uomo e Dio. E in un’Italia in cui la massima autorità era il Papa, Dante manda quattro Papi del suo tempo all’Inferno, e due in Purgatorio; non a caso – come ricorda lo splendido film di Pupi Avati – nei conventi era proibito custodire la Divina Commedia. Questo ovviamente non ci autorizza a definire Dante femminista o antipapista. Semmai, come ha scritto Papa Francesco, oltre che poeta era profeta; infatti oggi il Papa è quello che lui sognava fosse, non un sovrano assoluto ma un leader spirituale.