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 2023  gennaio 17 Martedì calendario

L’intreccio tra mafia e sanità

È un rapporto intrecciato a doppio filo quello della mafia e della sanità in Sicilia, dove spesso nel mezzo fa capolino anche la politica. E che il più importante latitante d’Europa sia stato scoperto in una clinica d’eccellenza dell’Isola, a Palermo, mentre era in coda per fare un tampone come decine di pazienti in una lenta giornata di pioggia, apre a suggestioni su una storia che spesso vede boss e corridoi ospedalieri entrare in contatto.
Una premessa: la clinica La Maddalena di proprietà di un nome che a Palermo ha un peso imprenditoriale di non poco conto, Guido Filosto, 94 anni compiuti domenica e festeggiati in una saletta riservata di Villa Zito con il presidente della Regione Renato Schifani, il sindaco Roberto Lagalla e l’ex governatore Salvatore Cuffaro, ieri ha fatto solo da scenario al clamoroso arresto di Matteo Messina Denaro. «Non abbiamo alcun elemento su un coinvolgimento di medici o addetti sanitari», ha precisato il procuratore Maurizio De Lucia, anche se si dovrà capire come sia stato possibile che il superlatitante che si faceva chiamare Andrea Bonafede abbia frequentato per due anni questa struttura di eccellenza per la lotta ai tumori.
Resta il tema di come la mafia e la sanità in Sicilia siano argomenti di contatto e spesso. Messina Denaro nel 1999 venne ricoverato insieme a Bernando Provenzano nel pieno della loro latitanza e negli anni del dopo stragi quando erano i più ricercati del mondo, in una allora nota clinica di Bagheria, Villa Santa Teresa, di proprietà di un astro nascente dell’imprenditoria siciliana: Michele Aiello, un volto tuttofare che mischiava cemento (aveva un’azienda edile e realizzava strade interpoderali con il benestare della mafia) a siringhe e macchinari di analisi che guardacaso solo lui aveva accreditati in Sicilia. Si scoprirà qualche anno dopo, con l’indagine sulle talpe della procura di Palermo, che spifferavano indagini sui boss più importanti della città, che Aiello era in realtà il prestanome di Provenzano. E che, in un retrobottega di Bagheria, aveva discusso anche delle tariffe che la Regione gli doveva pagare per quelle prestazioni con l’allora potente governatore siciliano Salvatore Cuffaro. Perché la sanità in Sicilia è il cuore della politica, essendo da sola una voce che valepiù della metà del bilancio regionale in una delle terre più povere d’Europa e che, in soldoni, ha ben poche altre attività.
Cuffaro, medico radiologo come il sindaco di Palermo e come una genìa di politici siciliani, venne inguaiato in quella inchiesta della procura, e poi condannato, perché accusato di aver fatto trapelare indagini allora aperte dalla stessa procura su un altro volto della sanità siciliana, il boss di Brancaccio Giuseppe Guttadauro, cognato di Messina Denaro, perché suo fratello era sposatocon la sorella di quest’ultimo.
Mafia e siringhe. Un po’ per vocazione affaristica, un po’ per necessità: sia Provenzano sia Denaro hanno sempre avuto un debole per la sanità anche a causa dei loro malanni. I due sono andati all’estero per curarsi. Provenzano ad esempio (che aveva anche un infermiere ad personam, Gaetano Lipari) riesce ad andare a Marsiglia sotto falso nome, mentre il boss trapanese nel 1994 vola a Barcellona, in una nota clinica oculistica, registrandosi perfino con il suo vero nome, per curare lo strabismo che ha sempre provato a mascherare indossando occhiali da sole o comunque scuri. Come quelli indossati ieri mattina, in coda per fare un tampone nella clinica più importante per il comparto oncologico della Sicilia. E chissà, magari con questo falso nome di Andrea Bonafede avrà anche ricevuto cure e interventi rimborsati dal sistema sanitario siciliano.
Ma nella Regione Siciliana tutto è possibile: qualche anno fa Repubblica scoprì un caso singolare. Un omonimo del boss, poi si scoprirà parente di secondo grado, si era presentato alla Regione e aveva ottenuto l’accreditamento di una serie di strutture di dialisi che erano state acquistate dalla società che rappresentava. Nessuno in Regione si era posto una domanda, forse perché sembrava davvero incredibile: un Messina Denaro (il boss si dice che abbia bisogno di cure di dialisi, tanto che si è sempre sussurrato di un macchinario che aveva a disposizione) che compra laboratori e strutture mediche che fanno dialisi, ma davvero? Era vero, e solo dopo gli articoli di Repubblica la Regione aprì una verifica almeno per chiedere un certificato antimafia: non c’era mafia, ma il parente in questione venne poi rinviato a giudizio per truffa. In Sicilia tutto si tiene e si contiene.