Corriere della Sera, 17 gennaio 2023
Tutti gli amori di Gina Lollobrigida
Inimitabile, Luigina Lollobrigida, detta Gina, è stata l’unica fra le nostre dive a non avere un marito produttore in casa, solo un medico, Milko Skofic, con cui si fidanza a vent’anni nel 1947 e sposa il 14 gennaio 1949 al Terminillo: separazione nel 1971.
Non fu matrimonio d’amore, confessò, ma una riparazione alla vergogna provata per lo stupro avvenuto, vergine 18enne, da parte di un suo ex, calciatore della Lazio: una vicenda segreta confessata solo dopo anni. La sua carriera coincide con un’Italia che muta a vista nel miracolo economico, si passa dai fotoromanzi ai tascabili, il Paese esporta le maggiorate.
Con la Pampanini, la Lollo è una delle donne più desiderate del dopoguerra, simbolo di una bellezza nature e anche manager della propria vita. Odalisca per caso nel primo film, Lollo fu self-made woman: sceglieva i titoli, le parrucche a volte instabili, si cuciva da sola i vestiti, era verace a costo di ghiotte gaffes adorate da Fellini, ma parlava le lingue. Compra, rischia, paga con ostinata costanza: vuole sfondare.
Studia canto perché è buona soprano (nella Donna più bella del mondo canta Tosca), arriva sul set dopo un fotoromanzo in falso nome, all’epoca in cui si piangeva su Bolero e Grand Hotel. Le colleghe (con alcune aveva sfilato sulla passerella di Miss Italia), avrebbero fatto matrimoni vantaggiosi: Sophia Loren con Ponti, la Mangano s’innamora di De Laurentiis, Sandra Milo sta con Ergas, la Cardinale manda in tilt Cristaldi.
La Lollo, Lollò a Parigi, non ha paura di volare, né reale né metaforica, sceglie sessanta film, ha il coraggio di un rifiuto d’autore (La signora senza camelie di Antonioni) «caricatura del cinema in cui lavoravo».
Gestirà le sue trasferte in Francia in Fanfan la Tulipe con Gérard Philipe, poi in America dove gira kolossal, imparando l’inglese per stare a cena e sul set, sui panfili con John Huston, Lancaster, Hudson, Curtis, Connery («l’unico che non ha tentato di sedurmi»), frenando le focose proposte di Howard Hughes, che la mette sotto contratto per sette anni, con l’inedita clausola che la vorrebbe anche sposare. Gina, la Bersagliera, rifiuta.
Lavorando in Inghilterra, Spagna, Francia, cerca l’occasione per essere considerata anche una brava attrice, quale talvolta è stata, collezionando nei suoi salotti Grolle, Nastri e David. Ma è imprigionata nel cliché della bellezza all’italiana, acquistato dagli americani nel secondo tempo della sua carriera. Fra i Cinquanta e i Sessanta, la Lollo comanda il box office (3 milioni per il dittico di P ane e amore).
Terzo tempo: si diradano le occasioni, il telefono quasi muto nel fortino sulla via Appia, l’inesorabile declino coi gossip (il mistero del fidanzato spagnolo con cui annuncia le nozze) e le liti con nuora e nipote che, cacciati di casa, la vogliono interdire. Gina s’inventerà altri mestieri: la fotografia, poi la scultura, dove fa sempre da modella, diva nella golden era del giro petto, regina di Saba o Venere imperiale; realizza documentari a Cuba, nelle Filippine.
Fu self-made a 360 gradi e minacciò di far crollare il comunismo facendo innamorare Fidel Castro.
Alla recherche del divismo perduto, organizzò una mostra delle sue sculture a Venezia, dove per Mare matto aveva subìto, spintonata, l’assedio dei fan. Spesso scritturata da registi nazional-popolari come Zampa, Blasetti, Comencini, la Lollo si tenne a distanza da intellettuali, a parte il critico Gian Luigi Rondi e il fan americano Truman Capote.
Ma seppe buttarsi: giovane scelse due scabrose donne di Moravia (La romana, La provinciale), mentre la leggenda da rotocalco la voleva in eterna competizione con Sophia: Bersagliera «versus» Pizzaiola, le due maggiorate del miracolo del nostro cinema in un’Italia povera ma bella, ossequiosa al prete e al maresciallo. E cugina italiana resta nel serial tv «Falcon Crest» nel 1985 quando i giovani si chiedono: Lollo chi? E pensare che una volta Marilyn Monroe le disse: «Ma lo sa che mi chiamano la Lollo d’America?».