Corriere della Sera, 17 gennaio 2023
Chi sono i possibili successori di Messina Denaro
A mezzogiorno del 29 maggio del 2018 quattro boss palermitani fanno perdere le loro tracce per qualche ora. Letteralmente spariscono. Muti i cellulari, tenuti sotto controllo da mesi. Silenzio assoluto. Poi improvvisamente le cimici tornano a parlare. E Francesco Colletti, capomafia di Villabate, dà agli inquirenti la chiave del mistero.
Al suo autista, certo di non essere intercettato, racconta minuto per minuto del summit appena concluso tra i più influenti padrini palermitani. E svela il tentativo di far risorgere la commissione provinciale di Cosa nostra con tanto di designazione del nuovo capo dei capi: Settimo Mineo, 80 anni, professione ufficiale gioielliere, due fratelli morti ammazzati, una condanna al maxiprocesso. Cosa nostra, dunque, rivuole la Cupola. Perché con la morte di Totò Riina, il re di Corleone, c’è bisogno delle antiche certezze e di un organismo che decida «le cose gravi». Ma il sogno dura poco e in un blitz della Procura di Palermo Mineo e gli altri finiscono in carcere.
Dal summit sono trascorsi quasi cinque anni. Ma l’aspirazione a tornare ai tempi della «Commissione», l’organismo che sovraintendeva ad affari e delitti, non è mai venuta meno. Cosa nostra di oggi ha subito certamente il «carisma» criminale di Matteo Messina Denaro, l’ex primula rossa di Castelvetrano, centro del Trapanese, finito in manette ieri dopo 30 anni di latitanza, fedelissimo degli stragisti corleonesi. Ma, assicurano i magistrati, non era lui il capo della mafia siciliana. «Perché — ha spiegato più volte il neo procuratore di Palermo Maurizio de Lucia — i clan palermitani non accetterebbero mai di farsi guidare da un non palermitano. A cominciare da un trapanese».
Cosa accadrà, dunque, dopo l’uscita di scena del boss dai mille misteri, l’uomo, dicono alcuni collaboratori di giustizia, che custodiva i segreti e le carte mai trovate nel covo mai perquisito di Totò Riina? «Le cosche cercheranno di tornare al passato — spiegano gli inquirenti —. Perché è grazie al rispetto delle “regole” consolidate che la reggono che la mafia è riuscita a sopravvivere negli anni». E il rispetto delle regole prevede una federazione tra clan e una commissione regionale.
Certo, delle figure carismatiche, dei personaggi di spicco, alcuni detenuti, altri usciti di galera dopo aver scontato la pena, ci sono. Ovviamente è tutto da capire quale sarà il loro ruolo e se avranno un ruolo.
Milano
Tra i nomi, Stefano Fidanzati, della famiglia di narco-trafficanti che ha costruito l’impero tra Milano e Palermo
Giovanni Motisi detto il Pacchione (il grassone, ndr), ad esempio, capomafia del mandamento di Pagliarelli, latitante dal 1998. Oggi sarebbe, se fosse vivo, poco più che sessantenne. Ricercato prima per diversi omicidi, dal 2001 per associazione di tipo mafioso e dal 2002 per strage, ha un curriculum criminale di tutto rispetto. A partire dal ruolo di «killer di fiducia» di Totò Riina.
Tra gli anziani, poi, c’è Stefano Fidanzati, 70 anni, della storica famiglia di narcotrafficanti dei Fidanzati dell’Arenella, che tra Milano e Palermo hanno costruito il loro impero economico.
Più giovani, ma non meno «interessanti» per gli investigatori: Giuseppe Auteri, detto Vassoio, cresciuto all’ombra del boss Calogero Lo Presti, latitante da un anno, sarebbe lui a tenere la cassaforte del mandamento di Porta Nuova, uno dei clan più ricchi della città. E ancora Sandro Capizzi, rampollo dell’anziano boss Benedetto Capizzi, capomafia dello storico clan di Santa Maria di Gesù, il mandamento del «principe di Villagrazia», Stefano Bontate, nemico acerrimo di Riina morto nella guerra di mafia.
Se ci sarà un nuovo capo di Cosa nostra e se sarà uno di loro è presto per dirlo. Ma di certo gli uomini d’onore non rinunceranno al sogno antico: resuscitare la Cupola.