il Fatto Quotidiano, 16 gennaio 2023
Intervista a Michel Claise, il pm del Qatargate
Michel Claise, avvocato per vent’anni, poi giudice istruttore specializzato nella lotta alla criminalità finanziaria, oltre che autore di una dozzina di romanzi, è il magistrato belga della tangentopoli che sta facendo tremare il Parlamento europeo. Claise, 67 anni, che da tempo mette in guardia sulla corruzione in Europa e denuncia l’incompetenza dei dirigenti politici che favorisce le organizzazioni criminali, ha accettato di rilasciare un’intervista a Mediapart, ma solo a una condizione: non parlare del Qatargate.
Lei sostiene che il denaro sporco è onnipresente nell’economia europea. Pensa che ci sia più corruzione oggi rispetto a vent’anni fa?
Assolutamente sì, il fenomeno si aggrava. Il sistema di funzionamento delle organizzazioni criminali è stato avvantaggiato dalle nuove tecnologie. Il prodotto di questi traffici genera profitti enormi. Prendiamo ad esempio il narcotraffico. Nel solo porto di Anversa, in Belgio, la cocaina rappresenta dal 10% al 12% del totale annuo delle importazioni. Il problema riguarda altri porti dell’Unione europeo, Le Havre in Francia, Amsterdam e Rotterdam in Olanda. Si stima inoltre che 10, forse 15 miliardi, ogni anno vengano riciclati nella resina di cannabis in provenienza dal Rif, in Marocco. L’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) parla inoltre di un mercato da 300 miliardi di euro di prodotti contraffatti in arrivo ogni anno nell’Ue soprattutto dalla Cina e che transitano in questi stessi porti europei. C’è poi il cyber crimine: in Ue si va dall’hacking di account a 2.000 -3.000 euro e fino a somme notevoli di 350 milioni all’anno, secondo i dati della Banca mondiale. Per non parlare del traffico di armi.
Cosa fanno gli Stati per combattere questi crimini?
Nel suo saggio “Breve storia del futuro”, Jacques Attali scrisse: “Un giorno, le attività illecite avranno il sopravvento sulle attività lecite”. Penso che sia già così e da diversi anni. L’ho ripetuto ancora davanti alla Commissione giustizia del Parlamento federale: la deregolamentazione economica dovuta alla criminalità finanziaria deve essere oggetto di uno studio approfondito, da parte di sociologi, economisti e criminologi, che permetta di valutarne l’impatto. Vi faccio un esempio. In Italia, mafie ricchissime stanno comprando una dopo l’altra tutte le aziende che stanno fallendo: il 50% dell’economia è attualmente nelle mani di mafie come Ndrangheta e Cosa Nostra. La situazione si è aggravata con la crisi del 2008 e ora con la pandemia di Covid.
Eppure, dal marzo 2021, con lo scandalo Sky ECC, l’inchiesta che ha portato la polizia belga e olandese a smantellare un enorme traffico di cocaina in Europa, con oltre mille arresti, la classe politica sembra aver cominciato ad aprire gli occhi…
Con questa inchiesta ci si è finalmente resi conto, per la prima volta, in Belgio e in Olanda, che le organizzazioni criminali stanno divorando la società e che la corruzione colpisce tutti i settori, compreso quello pubblico. Cose che noi magistrati denunciamo da anni. Di recente ho avuto modo di dialogare con due responsabili politici in uno studio televisivo. Uno dei due mi disse: “Bisogna constatare che la situazione è grave”. “Era ora”, risposi. “Bisognerebbe davvero fare qualcosa”, aggiunse l’altro. “Solo il fatto di usare il condizionale – dissi – vi rende complici”.
È troppo tardi per interrompere questa dinamica criminale?
Per mettere fine ai traffici, bisogna sequestrare quanti più soldi possibile ed evitare di farli girare. Bisogna rafforzare i controlli nei porti, monitorare sistematicamente i portuali e i dipendenti dei sistemi doganali e amministrativi, perché senza di loro la droga non entra. Bisogna perseguire i professionisti del riciclaggio perché i traffici prosperano solo se il denaro viene riciclato e dare la caccia non solo ai truffatori ma anche a fiscalisti, avvocati, commercialisti, banchieri, cioè tutti coloro che contribuiscono a rendere pulito il denaro sporco, secondo il buon vecchio principio di Al Capone, che investiva i profitti dei traffici nelle lavanderie di Chicago. In Francia c’è Tracfin, in Belgio Ctif, due sistemi di controllo efficaci. Ma serve anche l’educazione al consumo. La cocaina è diventata una moda. I consumatori sono persone benestanti che arricchiscono le organizzazioni criminali. Perché non immaginare, nel caso delle droghe pesanti, di considerare che anche chi consuma è parte della rete criminale? È una soluzione che può scioccare, ma alla fine il modo migliore per combattere la pedopornografia è stato incriminare i clienti.
In un’intervista disse che l’inchiesta su Sky ECC è stata “un colpo di fortuna straordinario”. Di che mezzi disponete in Belgio?
I mezzi a nostra disposizione sono innanzitutto internazionali. La creazione della Procura europea per le inchieste finanziarie ha rappresentato un progresso importante. In Belgio ci sono sette giudici europei, tra cui io, che mi occupo della parte francofona della giurisdizione della Corte d’appello di Bruxelles. Abbiamo ottimi strumenti come Europol e Eurojust, le collaborazioni tra polizia e giustizia a L’Aia. A parte questo, a livello nazionale, in Belgio, le cose stanno peggiorando.. Nel 2015 il ministro Jan Jambon, del partito indipendentista fiammingo N-VA, ritenne persino di dover abolire l’Ufficio centrale per la lotta alla criminalità economica e finanziaria organizzata. Ovvero il nostro braccio armato. Per fortuna, protestammo talmente tanto, nei media e in Parlamento, che il ministro dovette fare marcia indietro. Sarebbe stato un disastro. I mezzi a nostra disposizione sono insufficienti, mentre aumentano quelli nelle mani delle organizzazioni criminali. Ogni giorno scoppia un nuovo scandalo di hacking. Pensiamo ai bitcoin, delle valute virtuali che permettono di riciclare denaro, ma che non abbiamo ancora imparato a controllare. Per certe inchieste mi servono disperatamente poliziotti, ma non me ne danno. Come dico spesso: ci troviamo a inseguire una Porsche con una 2CV.
È preoccupato per il sistema democratico, per lo Stato di diritto?
Certo. Perché le organizzazioni criminali sono così potenti? Perché lavorano con tutta una serie di professionisti e di persone che operano al di fuori delle organizzazioni, ma che alla fine, sul piano penale, vi sono associate. Il sistema del riciclaggio di denaro funziona così. La corruzione è privata, ma anche pubblica. È fondamentale strutturare una reazione che sia proporzionale alla vastità del fenomeno. Il compito di noi magistrati è allertare. In Belgio abbiamo una maggiore libertà di parola rispetto ai magistrati francesi sul piano della giurisprudenza europea: i magistrati hanno l’obbligo di denunciare le situazioni antidemocratiche. In Belgio il giudice istruttore ha più potere che in Francia, dove una parte delle indagini è stata tolta all’istruzione e trasferita alla nuova figura del giudice delle libertà e della detenzione. Malgrado ciò, su alcuni punti, invidio la Francia. In qualità di esperto del Greco, il Gruppo di Stati contro la corruzione del Consiglio d’Europa, ero stato assunto nel 2019 per effettuare la valutazione della Francia. All’epoca ebbi modo di incontrare il capo di gabinetto del presidente Macron, il capo della polizia francese. Capii allora che in Francia, a differenza del Belgio, che è molto indietro nella lotta alla corruzione, c’erano state evoluzioni sul piano legislativo, in particolare grazie alla Loi Sapin, votata dopo lo scandalo di Jérôme Cahuzac, l’ex ministro del Bilancio dimessosi per le accuse di conti segreti all’estero che aveva negato di avere. La Francia fondò l’Agenzia anticorruzione, la Procura finanziaria nazionale. Alcuni di noi esperti della Commissione giustizia della Camera dei rappresentanti a Bruxelles stiamo spingendo per la creazione di una Procura finanziaria nazionale in Belgio, di preferenza più indipendente di quella francese. Quando si toccano i soldi sporchi e il mondo politico, le persone si trasformano in bestie feroci.
(Traduzione di Luana De Micco)