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 2023  gennaio 16 Lunedì calendario

Intervista a Euridice Axen

«Ero più morta da viva e sono più viva da morta». A sussurrare queste parole in un vestito di tulle rosso è Moana Pozzi, che rivive a teatro nella pièce di Ruggero Cappuccio, Il settimo senso (dal 19 al Teatro Parioli di Roma, regia di Nadia Baldi). A trent’anni dalla scomparsa (a 33 anni, a Lione, il 15 settembre 1994), la diva del porno è di nuovo fra noi per parlare di sesso, potere e volgarità, giocando con i nostri pregiudizi come fosse uno sberleffo. Nei panni della protagonista Euridice Axen, 42, che racconta così il progetto: «Lo spettacolo celebra la forza del femminile contro la vera pornografia che non era quella di Moana, ma nell’ipocrisia delle nostre vite».
Cosa intende dire?
«Sulla pornografia la penso come Moana: Esalta il lato oscuro del desiderio. L’oscenità per lei era esaltante, a farle orrore erano la volgarità e il cattivo gusto».
Come si sente a interpretare il suo fantasma?
«Nello spettacolo mettiamo in luce il contrasto tra il suo fascino da diva e la durezza del mestiere di pornoattrice. Moana riusciva a scindersi: si truccava, metteva la maschera e andava sul set».
Per alcuni picconava la morale borghese, per le femministe – al contrario – la pornografia degrada le donne. Lei cosa ne pensa?
«Io sono per la libertà di espressione del proprio corpo, non ho tabù sessuali e se in passato la pornografia raccontava un mondo erotico destinato ai maschi, ora la fruizione è anche femminile».
Fosse degradante, non lo sarebbe anche per un pornoattore?
«Esatto, ma non penso lo sia per nessuno. Per Moana la vera donna-oggetto era la casalinga. Senza neppure uno stipendio, aggiungo io».
Moana Pozzi che rapporto aveva con i soldi?
«Aveva creato un piccolo impero ed era abile nel marketing. Il libro con le pagelle agli amanti vip fu un’idea tanto semplice quanto geniale. Si dava per scontato che una pornostar dovesse essere la cortigiana dei potenti e così lei giocò con quel cliché, manipolando i pregiudizi della gente. Non si fa la stessa associazione per uno come Rocco Siffredi».
A proposito, ormai lo vediamo posare in contesti familiari e borghesi: si sarebbe accettata una Moana madre?
«No. E se fosse diventata una brava madre in tanti avrebbero commentato, nonostante il suo mestiere».
Ha aiutato le donne a parlare di sesso in maniera un po’ più naturale o no? «A teatro noto una gran differenza: gli uomini sembrano inibiti, le donne per niente e mi fanno grandissimi sorrisi».
La sua carica sensuale spaventava gli uomini?
«In lei non c’era senso di colpa, paura del peccato o vergogna, ma padronanza assoluta del corpo. Molti se ne sentivano minacciati. In realtà Moana era anche profondamente ironica. Come se dicesse: se guardate i miei film la mamma non vi sgrida, tranquilli».
C’è chi dice che fosse un bluff come pornostar
«Ha dedicato la carriera al sesso, non la sua vita. La scissione fra donna e attrice mette a disagio il maschio che voleva immaginarsela femmina insaziabile. Lei era la Greta Garbo del porno. Poteva anche pensare alle parole crociate: era lavoro, ma lo faceva come nessun’altra».
Negli ultimi tempi si era forse stancata del porno? È morta poco prima dell’avvento del web che ha rivoluzionato quel mondo.
«È possibile. Era troppo intelligente per farsi sfruttare dall’industria porno, che è cosa ben diversa dalla pornografia. Forse oggi ci direbbe di non esagerare col sesso virtuale. Sarebbe diventata una scrittrice oppure presenterebbe Sanremo».
Se avesse una figlia che sceglie di dedicarsi al porno?
«Nessun problema, se è una scelta consapevole. Dovrebbe immaginarne le conseguenze sociali, perché purtroppo fa ancora scalpore. Però mi farebbe molta più paura una figlia pilota».