il Giornale, 16 gennaio 2023
Intervista a Nina Rima
Ha 23 anni, ma dice di sentirsene 40 con tutte quelle vite che si porta addosso, tante, troppe, parecchio scomode e dolorose. Vite fatte di case vuote, relazioni complesse e anche di inevitabili sbandamenti, quando ha iniziato a capire che era stata concepita per puro caso, che non avrebbe mai fatto parte della vita del padre, che le spalle della mamma non erano abbastanza forti per sorreggerla, che aveva sempre più problemi che anni, e non per colpa sua. Fin da piccola, fin da quando, nonostante tutto e tutti, saltellava allegra davanti allo specchio con i vestiti e le scarpe della mamma e diceva che da grande avrebbe fatto la velina e avrebbe sposato un calciatore. Oggi Nina Rima, è una modella, influencer da centomila e rotti follower, innamorata di Giuseppe, mamma da 8 mesi di una meravigliosa bambina di nome Ella. Fa mille cose e ha ancor più progetti. E quando si volta indietro, dentro quei mondi passati che avrebbero potuto darle mille diversi presenti, Nina sorride con quel suo sguardo di trasparente serenità e ti dice che in fondo, se fosse stata su due gambe per lei sarebbe finita molto male. Già, perché Nina di gambe ne ha una sola. L’altra l’ha persa in un incidente stradale a 17 anni. Amputata. Uno spartiacque tra tutte quelle vite di prima e la sua vita di adesso, da «modella bionica». Seduta al tavolino di un bar, struccata davanti a una tisana, ci racconta una storia, la sua storia, fatta di tante pause e qualche silenzio. Ma fatta soprattutto di un’energia, buona e contagiosa che diffonde intorno a sé come il fumo che esce dalla teiera. E che riversa nei social dove viene contattata regolarmente da chi ha avuto in qualche modo una sorte simile e vede in lei un esempio da seguire.
Come è successo dopo la storia di Gardaland. Quelle tue stories su Instagram hanno scatenato il finimondo.
«E ancora non sai quanta gente mi scrive. Sono sconvolta perché anche dopo, dal Parco, hanno detto cose non vere. Il fatto resta che non mi hanno dato il pass saltafila perché ero troppo poco disabile ma poi non potevo fare i giochi perché ero troppo disabile».
Ma cosa significa «troppo poco disabile»?
«Mi è stato spiegato che la mia amputazione era parziale, cioè io avevo il ginocchio e questo non mi permetteva di avere il pass. C’è però una cosa buona, anzi due: da lì sono venute fuori tantissime testimonianze di persone che hanno avuto trattamenti terribili. E mi ha anche chiamato il ministro Locatelli per coinvolgermi in diverse cose. Vediamo...».
Ti scrivono in tanti?
«Tantissimi. Quotidianamente. Mi mandano messaggi e io sento tutto il dolore, lo vivo con loro ed è straziante ma è anche quello che mi fa dire devo andare avanti. Come è successo quando ho parlato con quella bambina di 6 anni che ha avuto l’amputazione della gamba quest’estate. Cosa potevo dirle? Che la vita non sarà facile, che non è successo niente? Io non dico, mi faccio vedere. Le ho raccontato che ho una figlia, un lavoro, che faccio le foto, che rido, scherzo, canto, corro, ballo. Sono viva. E vivo».
Come è successo il tuo incidente?
«È stata tutta una questione di minuti e di destino. Avevo 17 anni. Ero da neanche un mese nella casa di mia zia a Mentone. Avevo un ragazzino, Christian, non il grande amore, una persona per cominciare a conoscere qualcuno. Quella sera avevo casa libera, cioè... questa è molto divertente».
In che senso
«Mia zia mi dice che va a lavorare a Cannes, sentiti con tuo padre che intanto stava in barca. Ma lui se ne va a Nizza. Quindi non si capisce chi-dice-cosa-a-chi ma di fatto sono a casa da sola. Con Christian decidiamo di uscire, niente di che, cena forse un cinema. Rubo dall’armadio di mia zia una giacca di Prada, mi dico tanto non si rovinerà mai, tanto non lo scoprirà mai... Quindi giacca di Prada, stivaletto e usciamo. Andiamo a cena, tutto bellissimo, poi sento un’amica di mio padre e mi invita da lei, al confine tra Mentone e Latte, a cinque minuti da casa. A dirla tutta io volevo andare a ballare ma Christian non era tanto d’accordo. E lì è stata tutta una questione di minuti e di destino...».
Cosa succede?
«Quando usciamo dal ristorante io avevo voglia di continuare la serata in un altro modo, dico fumo una sigaretta e andiamo?. Sarebbe bastata quella manciata di minuti a fare andare le cose in un altro modo. Invece... saltiamo in moto, avevamo da fare appena due gallerie ed eravamo arrivati. Ma subito, alla prima galleria, sento il boato di una moto che arriva dall’altra parte, alzo lo sguardo e me la trovo vicinissima. Boom. Cazzo è successo qualcosa mi dico, ma in realtà stavo già rotolando per strada, nell’altra corsia, ho rotolato per tantissimo, per 50 metri. Ho messo tutta la forza che avevo per fermarmi. Nella mia testa avevo la giacca di Prada di mia zia, nessuno che sapeva dove fossi, mia mamma era a Milano e non sapeva niente. Ho fatto per alzarmi e solo a quel punto mi sono accorta che avevo il piede quasi completamente staccato».
E gli altri che guidavano?
«Gli altri niente. Non sono neanche cadute le moto e nessuno si è fatto male. Tranne me. Destino».
Sei rimasta sempre cosciente?
«Sono rimasta sempre sveglia. Ricordo che pensavo che se avessi chiuso gli occhi, non li avrei più riaperti. I soccorsi ci hanno messo davvero tanto ad arrivare. Per fortuna è intervenuto un signore, un francese che mi ha messo la cintura come laccio emostatico per bloccare l’emorragia».
Ti sei accorta subito che avevi perso il piede?
«Sì, era come un film horror. Anzi, nemmeno le vedi scene così nei film dell’orrore».
Dove ti hanno portato?
«Prima a Sanremo ma ero troppo grave quindi a Pietra Ligure dove tra l’altro sono un centro d’eccellenza per l’amputazione perché purtroppo l’Aurelia è la strada che fa più vittime in tutta Italia. E niente, mi sono risvegliata in rianimazione ed era tutto vero. Avevo perso un piede. E ora c’erano lì tutti. Mia sorella, mio padre, la compagna di mio padre, mia mamma, mia zia è arrivata poco dopo perché in realtà non era andata a Cannes ma aveva preso un aereo per New York, quindi appena è atterrata è ripartita subito».
Cosa è successo al tuo risveglio?
«Ho chiesto a mia sorella l’ho perso vero?. Tra l’altro, ho sempre avuto la fobia dei piedi e lei mi ha detto li hai sempre odiati ora ne hai uno in meno. Voleva dire qualcosa di positivo a tutti i costi... Io avevo mille pensieri e non sulla mia gamba. La giacca di Prada della zia, la casa che non avevo sistemato, lo smalto rosso sui piedi appena messo...».
E come hai reagito?
«Bene, fin troppo e fin da subito in realtà. Vedevo tutti quanti stare molto male e non volevo dare questo peso. Un po’ per questo e poi perché ero viva... Comunque una batosta, uno dei complimenti che ho sempre ricevuto era che avevo un bello stacco di gamba e poi volevo fare la modella, l’attrice».
Cosa ti ha aiutato?
«Una modella brasiliana, Paola Antonini, ha perso una gamba in un incidente. Aveva un grande seguito, 2 milioni e mezzo di follower ed era bellissima, con delle protesi stupende tutte glitterate... quindi mi sono detta dai, proviamo. Già pubblicavo le mie cose normalmente come fanno tutti, la sedia a rotelle, l’ospedale, le prime fisioterapie poi c’è stato il passaggio. Da che ricevevo tanti commenti di forza sono passata a trasmetterla io agli altri. Poi l’incontro con Valentina Ferragni...».
Dove?
«Una sera ero a cena con un’amica e lei era al tavolo accanto al nostro. Le ho chiesto la classica foto, ho salutato il cane, non mi sono dilungata troppo ed è finita così. Dopo due settimane Valentina Ferragni inizia a seguirmi e mi scrive, mi spiega che mi ha riconosciuta perché una mia foto le era finita nella homepage di Instagram e mi dice ma tu, ci eravamo viste al ristorante, non mi ero accorta della protesi, caspita! Sei una forza, mi piacerebbe rivederti. Facciamo un pranzo?».
E?
«E ci vediamo. Uno spritz, poi la cena, lei e il suo ex fidanzato io e il mio ex fidanzato. Poi mi fa incontrare sua sorella Chiara che mi fa raccontare la mia storia nelle sue stories, e mi spinge a espormi perché avrei potuto dare forza anche agli altri. Così ho inizio a lavorare sui social, piano piano, qualche collaborazioni, all’inizio non in modo professionale. Poi sempre di più, mia sorella inizia a farmi un po’ da manager. Quindi io che abitavo a Mentone in quel momento, torno e vado a vivere a Como con lei. Fino a che...».
Fino a che?
«Fino a che entro in crisi. Ho 19 anni, sono di nuovo sola, in un’altra città, senza la mamma, il papà, mia sorella ha comunque la sua famiglia. Ognuno ha la sua vita e io non sono in quella di nessuno. Poi forse lì ho preso coscienza davvero del mio incidente. Ero andata sempre avanti, veloce, senza fermarmi a pensare, a coccolarmi anche un po’... scivolo giù ma decido di andare in un centro di riabilitazione. È il 2 febbraio 2020. Me lo ricordo bene...».
... scoppia il Covid.
«Già, io avevo deciso di mettere in pausa la mia vita e anche il mondo fuori si era messo in pausa. Comunque il confronto con le persone che ho trovato lì è servito. Ho capito che ce la potevo fare. E ce l’ho fatta. Poi è arrivato Giuseppe...».
Il tuo compagno?
«Proprio lui, tra poco marito. Ci siamo conosciuti in Sicilia. Lui skipper, io in vacanza. Ho capito subito che sarebbe stato il papà dei miei figli».
Ed eccoti qui. Tu, lui, una bella carriera e una bambina meravigliosa.
«Ella. Il mio grandissimo sogno che si realizza. Diventare mamma, con una mia famiglia, con i miei valori, con le basi solide che volevo io per vivere una realtà che non avevo mai vissuto».
Fate sempre avanti e indietro dalla Sicilia?
«Eh sì perché lui fa sempre lo skipper, e io lavoro un po’ a Milano un po’ a Roma dove conduco Teen Mom su Mtv. Ho capito che il mondo della tv mi piace di più, ora sono entrata anche in un’agenzia cinematografica. Nel futuro, chissà che non mi vediate in qualche film o serie tv. Quindi ho realizzato il sogno della mia vita. C’è voluto un po’... non tempo, sacrificio. Ci ho perso una gamba ma non poteva che succedere così e se non avessi avuto quell’incidente sarei finita molto male e molto prima».
Quali sono stati i problemi più grossi all’inizio senza la gamba?
«Mah sicuramente lo sguardo delle persone. Come si rapportavano a me... anche quando passeggiavamo all’inizio in carrozzina per Loano. Mi guardavano, sorridevano a questa bella ragazza sulla sedia a rotelle poi scendevano con lo sguardo, vedevano che non avevo una gamba e proprio sentivo il loro poverina... che pena. Ecco quello non l’ho tollerato mai. E quindi ho fatto di tutto perché quel poverina diventasse mmmm che figa!!, non lavorando però su quel poverina... che probabilmente era giusto sentirsi anche un po’, poverina».
Quante protesi hai?
«Ne ho 3, una da tacco, una per tutti i giorni e una per fare il bagno».
Quanto costano?
«La cuffia ad esempio che indosso prima della protesi costa mille euro e va cambiata almeno ogni sei mesi. Di piedi ce ne sono diversi e quelli variano. Quello da tacco ad esempio 5mila euro. Tutta la protesi 8/10mila euro circa la mia che è sotto il ginocchio, se vai sopra al ginocchio anche 90mila».
E lo Stato cosa ti passa?
«Niente, forse un piede ogni 4 anni. Perché la legge è ancora ferma agli anni ’90. Ci sono cose assurde, come il tagliandino per la sosta disabili che vale per 5 anni, come se mi potesse ricrescere la gamba. È sempre tutta una lotta per dimostrare che ne hai diritto. Oltre alle difficoltà, al dolore c’è anche l’ignoranza della disinformazione».
Per esempio?
«Per esempio la storia di Gardaland, ci sono stati anche commenti feroci tipo vabbè ora perché sei influencer vuoi essere avvantaggiata.... Esistono i disabili di serie A e di serie B e poi quelli di serie C. In questo mi vorrei tanto impegnare. Le barriere architettoniche sono il meno perché la barriera più grande è quella che c’è nella testa delle persone».